Capitolo Secondo: La comunità
"Tra le persone
veramente istruite non c'è
discriminazione"
(Confucio)
Punto di vista Axel
«Buon appetito» esclamò con enfasi mia madre, dando inizio all'ennesima colazione condivisa della comunità.
Mi guardai intorno, mentre il rumore delle posate si confondeva con il chiacchiericcio generale, e mi chiesi perché non trovavo il coraggio di andarmene da quel posto. Oltre alla mia famiglia, non avevo ragioni per rimanere.
Facevo parte di questa comunità di umani da quando ero nato, ma la realtà in cui ero costretto mi stava stretta da anni; da quando avevo provato sulla mia pelle cosa significava essere discriminati per un qualcosa su cui non si aveva potere.
Questa comunità era nata quasi un secolo fa, risultato di un gruppo di umani terrorizzati all'idea di "mischiare" il loro sangue con quello dei Natalesiani. Le persone, nonostante lo scorrere inesorabile del tempo, conservavano ancora una mentalità chiusa, degna dell'epoca dalla quale provenivano i loro nonni.
«Axel?» chiamò mia sorella Natalie, con una nota di confusione nella voce. «Ci sei? A che stai pensando?» si bloccò per un attimo, poi riprese a parlare «Non è buona educazione fissare le persone» mi fece notare infine, prendendomi il mento fra le dita e voltandomi verso di lei con un gesto agile.
Le spostai la mano, rivolgendole un'occhiata esasperata «Hai ragione» le risposi comunque, alzando gli occhi al cielo.
Mi rivolse un piccolo sorriso, felice del contentino che le avevo rifilato, e annuì, tornando a dedicarsi alla sua colazione.
«Con permesso» esclamai dopo qualche minuto, a voce abbastanza alta affinché mia madre, seduta qualche posto più in là, mi sentisse. Mi rivolse un sorriso zuccheroso e una breve occhiata, prima di tornare a conversare con le sue amiche e vicine di casa.
Scappai, quasi letteralmente, da quel salone. Afferrai al volo il mio zaino, che giaceva come ogni giorno di fianco al portone principale, e fui fuori, lontano da quell'atmosfera soffocante.
Mi sentivo esausto e non erano neanche le dieci del mattino. Del resto, mi sentivo sempre così quando ero in compagnia della comunità. Era difficile fingersi qualcuno che non ero, stare attento ogni volta che aprivo bocca per paura di dire qualcosa di sbagliato. Avevo la costante sensazione di essere fuori posto, in mezzo a loro.
Mi fermai al confine che separava il nostro quartiere dal resto di Lesia. Era uno stacco netto: le case in mattoni si fermavano e lasciavano spazio alle più moderne case a cui erano abituate le persone "normali". La strada di ciottoli era forse l'unica cosa che ci univa al resto della città, fondendosi al cemento di Lesia.
Eravamo parte di due realtà completamente diverse, realizzai ancora una volta. Quasi come se non abitassimo lo stesso pianeta, come se non vivessimo sotto un solo cielo. Rimasi qualche istante a fissare il vuoto: io da che parte stavo? La verità era che non mi sentivo a casa né con gli umani, né con i natalesiani.
Perso nei miei pensieri non mi ero reso conto di essermi bloccato in mezzo alla strada come un idiota, quindi mi affrettai ad riprendere la camminata, consolandomi all'idea che magari sarei arrivato in ritardo e sarei potuto andare dritto in aula, senza aspettare fuori al gelo.
«Ehi, ehi, alieno! Hai freddo?» sentii urlarmi dietro una voce, seguita da un coro di risate divertite. Non mi voltai neanche, ignorando gli imbecilli di turno, come di routine.
La mia vita era un susseguirsi di situazioni in cui faticavo a controllarmi. Mi imponevo di non reagire, mai. L'odio genera altro odio, era un dato di fatto, e l'ultima cosa che volevo era farmi dei nemici.
Arrivato di fronte alla scuola, mi appoggiai a un muretto, messo in ombra da alcuni alberi, e osservai quello che mi circondava.
Mi sarebbe piaciuto essere come loro, mi ritrovai a pensare per l'ennesima volta. Avevo una bella vita, tutto sommato: una famiglia, una carriera scolastica soddisfacente, una casa. Amavo quello che avevo, amavo la mia famiglia nonostante non condividessi le loro idee, ma non ero felice.
Quello di sentirmi un natalesiano, uno di loro, era un pensiero, un desiderio ricorrente. La consapevolezza che non sarei mai riuscito a realizzarlo mi faceva sentire impotente.
«Hai sentito le ultime novità?» borbottò una ragazza a qualche metro di distanza, con tono di voce esageratamente alto. Mi lanciò un'occhiata di sbieco, come per assicurarsi di aver attirato la mia attenzione, e sorrise divertita in direzione dell'amica che aveva al fianco.
«L'altro giorno in piazza c'è stata un'altra manifestazione contro gli umani. Mia madre dice che probabilmente li rispediranno a casa prima della fine dell'anno.» Mi guardò ancora, questa volta senza curarsi di essere notata, e mi squadrò da capo a piedi con sguardo divertito.
Penssi che quella ragazzina fosse ridicola. Era inutile dare peso a quelle manifestazioni, erano come le comunità contro i natalesiani: sapevano solo parlare. Non mi ero mai interessato granché a loro, non ce ne era motivo.
Il mio sguardo venne attirato pochi secondi dopo dalla figura minuta di quella che era, a parer mio, la più ragazza più bella dell'Istituto. Parlava spensierata con dei suoi amici, inconsapevole dei miei occhi puntati su di lei, e gesticolava mentre raccontava qualcosa.
I lunghi capelli, viola e rosa, erano chiusi in due code alte ai lati della testa e ondeggiavano insieme a lei a ogni movimento.
Sapevo qualcosa sul conto, avevo cercato di informarmi senza passare per un maniaco: si chiamava RS ed aveva solo due anni meno di me, frequentava il sesto anno ed era un'ibrida. A volte ridevo pensando a cosa sarebbe successo se mi fossi presentato con lei a casa.
Più tardi, in classe, seduto al mio posto, ero preso a insultarmi mentalmente: diciotto anni e non ero capace neanche di presentarmi ad una ragazza.
«Buongiorno, ragazzi» la voce autoritaria del professore mise a tacere tutti in pochi secondi, dando il via alla prima lezione di storia dopo le vacanze.
Non si scomodò a chiederci cosa avessimo fatto in quei giorni e gliene fui grato. Non ero certo l'unico umano della scuola, ma uno dei pochi che viveva nella comunità. Raccontare dei ritrovi, a cui i miei genitori mi avevano obbligato a partecipare, che avevano riempito le mie giornate mi avrebbe messo a disagio.
«Oggi interrogo» annunciò con semplicità il professore, ottenendo come unica risposta il silenzio.
Fece un segno del capo a Jol57, seduto come sempre in prima fila, e il ragazzo lo raggiunse in poche falcate, pareva quasi contento di essere stato chiamato.
Mi scappò un sorriso , sapendo che quel giorno Jol avrebbe semplicemente aggiunto un altro bel voto alla sua collezione. Chissà come andava RS a scuola, mi domandai.
«Mi parli della storia dell'Unione, partendo dal principio» gli ordinò il professore, mentre sfogliava con attenzione l'ologramma del nostro libro di testo. Era solito farlo all'inizio di ogni singola lezione, avevo il sospetto che quel libro lo conoscesse a memoria.
Jol57 si schiarì la gola e iniziò a parlare con tono di voce non molto alto, fermandosi subito a causa di alcune risatine, che l'insegnante troncò battendo una mano sulla cattedra.
Tutte le volte era la stessa storia, quando Jol57 veniva interrogato. Era un ragazzo mingherlino, piuttosto basso e timido. E soprattutto, era umano. Veniva spesso preso di mira dai nostri compagni di classe, fin dal primo anno, ma per fortuna erano gli ultimi mesi che passavamo qui, in questa scuola.
Una volta che il professore riuscì ad ottenere il silenzio, Jol cominciò a spiegare.
«Natalesia e la Terra in principio erano due mondi le cui popolazioni vivevano indipendenti le une dalle altre. Gli umani sbarcarono sul nostro mondo a seguito di vari disastri, che distrussero gran parte delle zone abitabili»
Il professore lo interruppe «Di che tipo di disastri stiamo parlando? Furono solo quelli a portare l'umanità sull'orlo dell'estinzione?» gli domandò, alzando un sopracciglio con fare scettico.
Il ragazzino, evidentemente seccato da quell'interruzione, riprese il suo discorso.
«No, non furono solo quei disastri naturali a portare alla miseria del pianeta. Mezzo secolo dopo l'inizio del duemila, sulla Terra scoppiò una guerra dalle conseguenze catastrofiche, che noi conosciamo con il nome di "Terza Guerra Mondiale dell'umanità".»
Una ragazza in seconda fila alzò la mano, corrucciata, e domandò in tono confuso: «Non era già passato un secolo intero, quando scoppiò?»
Jol57 scosse la testa con energia «No. La grande guerra ebbe inizio nel 2052 e si concluse nel 2078, solo perché le condizioni in cui versava il pianeta ne rendevano impossibile la continuazione. A causa di ciò anche lo sviluppo tecnologico della Terra subì un immediato arresto. Nell'anno 2113 il pianeta non era ancora riuscito a riprendersi, tali erano i danni provocati. Proprio in quell'anno cadde, sulla Terra, il primo ast-» Jol57 venne bruscamente interrotto dal suono stridulo dell'allarme.
Mi guardai intorno spaesato per un attimo, mentre nell'aula scoppiava il panico.
Angolo Autrice
Buonasera/buongiorno a tutti. Come state?
Secondo voi cosa potrebbe aver fatto scattare l'allarme? Cosa ne pensate delle prese in giro che subisce Axel?
Ringrazio la dolcissima Roxy-00 e 20gabriele01 per l'aiuto che mi hanno dato anche con questo capitolo. Grazie ^.^
A presto
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