Capitolo Quinto: Sparizione
"Il modo migliore di amare ogni cosa è quello di rendersi conto che ogni cosa può essere persa."
(GK Chesterton)
Punto di vista Rose
Alzai gli occhi al cielo divertita all'ennesima battuta squallida di Kolwin, che rideva da solo in risposta alle sue stesse parole. Il ragazzo era appoggiato al muro di un vecchio edificio, in cui eravamo venuti a passare il pomeriggio per staccare un po' dal caos che, negli ultimi giorni, stava conquistando la nostra città.
«La tua dignità cade sempre più in basso» decretò Nerble, tirandogli un sassolino che però colpì me, seduta al fianco di Kolwin, che rise ancora e scosse una mano nella sua direzione, cercando di dire qualcosa fra le risa.
Minuti dopo smise di agitarsi e scosse la testa divertito, mettendo le mani in tasca. «Siete voi che non sapete apprezzare del sano umorismo» ribatté, senza perdere il sorriso dalle labbra.
Mi spostai i capelli dietro le spalle, facendo cadere il sassolino che era rimasto impigliato in essi e gettai una finta occhiata torva al tiratore, che in tutta risposta fece spallucce.
Linae, la mia migliore amica, si alzò di scatto dal gradino su cui era seduta, stiracchiando le braccia.
«Che ne dite di andare a mangiare qualcosa? Ho un certo appettito» annunciò poi, iniziando a marciare verso il sentiero che ci avrebbe riportati sua strada principale.
«Anch'io avrei un leggero languorino, ora che mi ci fa pensare» esclamò Kolwin, alzandosi a sua volta e raggiungendo la ragazza, che continuava a camminare decisa, e lasciandomi da sola con Nerble.
Lo guardai, mentre si passava una mano fra i corti capelli verdi, prima di alzare un sopracciglio. «Che c'è?» mi domandò, scocciato. Scossi la testa e indicai i due con un cenno del capo, facendogli segno di raggiungerli. Cinque minuti dopo, eravamo quasi arrivati al locale preferito di Kolwin e lui e Linae non smettevano di elencare tutto quello che avrebbero ingurgitato da lì a poco. C'era una bella atmosfera, la tensione degli ultimi giorni sembrava averci concesso tregua.
Sobbalzai di sorpresa quando la suoneria del mio contatto olografico prese a suonare. Mi affrettai a tirarlo fuori dalla tasca, rispondendo alla chiamata senza neanche controllare chi fosse a cercarmi.
Il contatto olografico era l'evoluzione di quello che un tempo era chiamato cellulare. Era un piccolo cerchio, in cui inserivi vocalmente il nome dei tuoi contatti, che in questo modo avevano la possibilità di contattarti.
«Rose, torna a casa. Abbiamo un problema» esclamò subito la voce di mia madre, senza darmi il tempo di pronunciare una sillaba. Attaccò la linea non appena ebbe concluso di parlare e iuscii solo a sentire che rassicurava qualcuno urlandogli che stavo arrivando.
Provai a contattarla, mentre i tre ragazzi mi osservavano confusi da quando mi ero fermata in mezzo alla strada. Non riuscendo a ricontattarla, siccome non rispondeva, capii che l'unico modo per scoprire cos'era successo era tornare a casa. «Mi sa che per oggi chiudo qui, mia madre mi vuole a casa» mormorai agli altri, cercando di trattenere l'agitazione.
Stavo iniziando a preoccuparmi un po'. Cosa avrebbe potuto spingere mia mamma a volermi a casa così in modo così urgente? Non era da lei questo tipo di comportamento.
Mi allontanai a grandi passi dopo aver ricevuto i saluti dei ragazzi e in poco tempo mille scenari orribili mi inondarono la mente. Ero sicura che fosse successo qualcosa di brutto, me lo sentivo.
«RS, aspetta! Ti accompagno» sentii qualcuno urlarmi dietro, con tono affannato. Mi girai giusto in tempo per vedere Kolwin che capitombolava a terra con urlo poco virile.
Mi bloccai sul posto e guardai qualche secondo la strada che avrei dovuto percorrere, per raggiungerlo in fretta. Non volevo rallentamenti, avevo bisogno di arrivare a casa il prima possibile.
Gli porsi la mano per aiutarlo ad alzarsi e lo tirai su, sentendo un gemito di dolore da parte sua. Ritirò in fretta la mano dalla mia e si guardò il palmo con aria sofferente, serrando le labbra. Guardai a mia volta la mia mano e ci notai dei piccoli rimasugli di sangue fresco, probabilmente Kolwin si era ferito.
«Va tutto bene?» gli domandai, sperando che fosse solo un graffietto. Mi portai i capelli dietro le spalle, con la voglia di girarmi e correre a casa che era sempre più forte. Strinsi i pugni lungo i fianchi, mentre lui annuiva.
Riprendemmo a camminare in fretta.
«Mi sono solo sbucciato il palmo della mano, nulla di che» sminuì poi, rispondendo alla mia domanda senza guardarmi. In quel momento mi sentii egoista, non riuscivo a concentrarmi su quello che mi diceva, la mia mente era del tutto concentrata su quello che poteva essere successo a casa.
Per qualche minuto di camminata restammo in silenzio: ero persa nei miei pensieri e Kolwin mi osservava senza dire nulla.
Mi ridestai dai miei pensieri quando andai a sbattere contro qualcosa. O forse avrei dovuto dire qualcuno?
Guardai corrucciata la camicia che portava Kolwin, che avevo di fronte agli occhi, poi alzai lo sguardo «Cosa...?» gli domandai, in tono gentile, ma confuso. Mi mossi sul posto, adocchiando il cancello di casa mia a pochi passi.
Rimasi interdetta quando, pochi secondi dopo, mi abbracciò, senza rispondere alla mia domanda. Per un po' rimasi immobile, prima di ricambiare l'abbraccio chiudendo gli occhi.
In quel momento mi sentii in pace, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. Kolwin era la mia ancora e aveva il potere di calmarmi in qualunque situazione, spesso senza neanche aver bisogno di parole, come in quel momento.
Non so per quanto tempo rimanemmo così, abbracciati nel bel mezzo della strada, ma quando il momento finì mi sentii molto più calma.
«Grazie» il mio fu un sussurro, detto con un leggero sorriso sul viso. Non ricevetti risposta, ma riprendemmo a camminare in silenzio, fino alla porta di casa mia.
«Domani mattina ti passo a prendere per andare a scuola. Chiamami dopo» mi salutò così, prima di allontanarsi verso la direzione di casa sua, che non era poi così lontana dalla mia.
Presi il telecomando, che però mi sfuggii subito di mano a causa della velocità con cui lo avevo tirato fuori dalla tasca. Mi abbassai a prenderlo velocemente e, mentre premevo il bottone per lo smaterializzamento della porta, feci un respiro profondo, cercando di prepararmi a quello che avrebbe potuto raccontarmi mia mamma.
«Mamma! Sono a casa» urlai dall'entrata, dirigendomi a passo veloce verso la cucina, da dove provenivano parecchie voci che, accavallandosi l'una con l'altra, rendevano impossibile capire di cosa si stesse discutendo.
Il baccano si bloccò non appena feci la mia entrata nella stanza e mia madre mi venne subito incontro. Senza dire una parola mi abbracciò con forza, lasciandomi interdetta.
Le diedi qualche pacca sulla schiena e rivolsi un saluto silenzioso con il capo a mio padre e mio fratello Cotan, che avevano un'espressione tutt'altro che serena.
Quando mia madre si allontanò, mi concentrai sui miei fuori, che battevano a mille.
Una grande differenza fra umani e natalesiani era proprio il numero di cuori. Gli umani ne avevano solo uno, praticamente al centro del petto, mentre noi eravamo formati diversamente. Avevamo due cuori più piccoli a destra e sinistra del petto e uno più grande al centro. In verità, i natalesiani erano molto diversi dagli umani in molti aspetti fisici, anche se da fuori le uniche visibili a occhio nudo erano il colore gli occhi e i capelli.
Portai la mia attenzione su mio padre non appena lo sentii schiarirsi la voce. «AV è scomparso. Nelle ultime ore lo abbiamo cercato ovunque, ma di lui non c'è traccia» mi informò, con tono di voce esausto.
Si prese la testa fra le mani e fece un sospiro profondo, mentre mia madre lo stringeva come poco fa aveva fatto con me. Mi persi qualche secondo a vedere la scena, senza realizzare a pieno quello che mi aveva appena comunicato mio padre.
Da quando gli Originali avevano iniziato a prendere piede, sempre più scomparse misteriose di umani e ibridi si erano verificate nelle tre città che occupavano il pianeta di Natalesia.
Avevo preso poco e niente in considerazione l'idea che prima o poi sarebbe potuto capitare alla mia famiglia o perfino a me stessa. Solo il pensiero di ciò mi aveva sempre terrorizzato e ora, che questo era davvero capitato ad una persona che amavo, mi sentivo improvvisamente esposta e la sensazione di essere in pericolo iniziò a strisciare viscida dentro di me. Mi sedetti, sentendo le ginocchia venirmi meno. AV era scomparso. Me lo ripetei più volte, sentendo un dolore bruciante irradiarsi dal petto.
«Siete... siete sicuri? Potrebbe essere a casa di un amico» riuscii a domandare con un fil di voce. Mi sentivo la gola stretta in una morsa, pensando a cosa stesse passando mio fratello in quel momento. Magari era spaventato, pensai. Stava soffrendo? Mi portai le ginocchia al petto, stringendomi forte a me stessa. Stava soffrendo? Mi domandai ancora una volta e le lacrime iniziarono a rotolare pian piano lungo il mio viso.
Le mani mi tremavano, speravo in una risposta negativa. Speravo che loro non avessero controllato dai suoi amici e che dopo averlo fatto sarebbe uscito fuori che mio fratello stava bene, che era al sicuro e che sarebbe tornato presto a casa. Che stava bene.
Cotan mi rispose subito «Ieri pomeriggio è uscito, ma la sera aveva mandato un messaggio a mamma in cui le diceva che sarebbe rimasto a dormire da Jin8jei. Oggi non l'abbiamo visto tornare, così papà ha chiamato casa di Jin8jei, ma lui ci ha detto che AV non è mai arrivato a casa sua, ma non se ne era preoccupato perché era impegnato. In poche parole, è da ieri pomeriggio che AV è sparito nel nulla, non neanche sappiamo se quel messaggio l'abbia inviato davvero lui»
Lo ascoltai con gli occhi spalancati, cercando di cogliere ogni più piccolo dettaglio nel racconto, alla ricerca di qualcosa che avesse potuto farmi capir che mio fratello non fosse davvero scomparso.
Le ore seguenti furono orribili. Un susseguirsi di pianti e idee improbabili per giustificare l'assenza di AV. Ogni ora che passava era peggio della precedente, ogni ora era un colpo in più contro la speranza che sarebbe andato tutto bene.
Mio padre era uscito mezz'ora fa, per andare a denunciare la scomparsa di mio fratello. Aveva esitato a lungo, p aveva sperato fino all'ultimo che la scomparsa di AV fosse solo un terribile malinteso. Quello in cui ancora speravo io.
Mia madre, che si era chiusa nel suo silenzio da ormai quasi due ore, mi guardò qualche istante, prima di sussurrare qualcosa. Le feci segno di non aver capito e me lo ripeté, alzando di poco la voce rispetto a prima.
«Vorrei che tu smettessi di andare a scuola, RS. Solo per un po'» disse, mentre si torturava con le mani il lembo del maglione che indossava. Rimase a guardarmi insicura, in attesa di una mia risposta, di una mia qualunque reazione.
Non scossi la testa, non annuii. Era una pessima idea, smettendo di andare a scuola non avrei risolto nulla, ma in quel momento ero assente, non era la mia priorità. Dov'era AV? Perché non tornava?
Guardai Cotan in cerca di un supporto ma capii subito che stava evitando il mio sguardo, sembrava a disagio in quel momento, ma soprattutto era esausto. Come biasimarlo? In questi giorni la sua vita si stava distruggendo piano piano e lui non aveva il potere di fare nulla per impedire che ciò accadesse.
Tornai a guardare mia madre e scossi con decisione la testa. «Non voglio smettere di andare a scuola, mamma. Sai che gli studi sono importanti per me, non possiamo permettere che un gruppo di rimbecilliti blocchi la nostra vita» esclamai, nervosa come non lo ero da tempo. Mi ero sempre considerata una persona molto tranquilla, ma in quel periodo avevo perso il controllo più di una volta.
Quello che mi aveva chiesto era assurdo. In questo modo avremo fatto il loro gioco, avremo dato a gli Originali quello che stavano cercando e troppe persone si erano già lasciate distruggere dalla loro crudeltà.
Mia madre mi fulminò, con gli occhi ancora lucidi di pianto. «Non posso permettermi di perdere un altro figlio. Non ho fatto nulla per evitare che a te e ai tuoi fratelli succedesse qualcosa e la scomparsa di tuo fratello ne è il risultato, Rose. Cerca di metterti nei miei panni, casa è l'unico posto sicuro per te e per Cotan, adesso»
Passarono dei minuti di completo silenzio, poi sentii dei passi e la figura di mio padre fece capolino all'entrata della cucina. «Domani partiranno le ricerche» si limitò a dirci, anche lui privo di energie per continuare quell'estenuante serata.
A quel punto mi alzai e, dopo aver dato una veloce buonanotte a tutti, andai a riposare anche io, pur sapendo che quella notte non sarei mai riuscita a dormire.
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