Natale in casa Holmes

{25.12.1993, Horsham, casa di Wanda e Timothy Holmes}

Quando si trattava di addobbare la casa per Natale, Wanda Holmes non amava affatto trattenersi. Aveva imparato, con gli anni, ad affinare i gusti, ad unire il raffinato al kitsch in modo da creare una vera e propria winter wonderland che non facesse male agli occhi. Era quindi possibile vedere la tenuta degli Holmes illuminata da piccole luci che percorrevano il profilo del tetto e delle finestre in maniera discreta e complementare al rosso dell'intonaco e poi, nel giardino, un Babbo Natale che si muoveva e diffondeva i classici canti natalizi assieme alle sue renne ed altre decorazioni che cambiavano ogni anno. Anche l'interno della casa seguiva lo stesso trend: un albero immenso e arricchito di palline colorate occupava un angolo del salone, altri fili di lucine ponevano l'accento su diversi aspetti dell'arredo e vi erano sparsi qua e là soprammobili rappresentanti i personaggi più evocativi del periodo.
Charlotte ammirava sempre a bocca aperta tutta quella meraviglia. A soli sette anni era sempre più rapita dalla magia del Natale, dalla bellezza che si poteva trovare anche nei posti più comuni grazie ad un fiocchetto in più. Mycroft non poteva fare a meno di sorridere e accarezzarle la testa quando vedeva le lucine riflettersi nei suoi occhi d'ambra, pregando che rimanesse sempre dolce e innocente. Sperando che non crescesse mai, che rimanesse sempre piccola così.

Le aveva sistemato il cappottino color carta da zucchero prima di scendere dall'auto e le aveva tenuta stretta la mano per evitare che corresse via e rischiasse di farsi male. L'aveva avvertita che c'erano dei lastroni di ghiaccio e le sue scarpette di vernice nera avevano le suole troppo lisce per poterle permettere di non scivolare. Trattenne una risata nel vederla compiere dei passi esageratamente cauti, lasciando intravedere i collant bianchi che aveva faticato tanto a farle mettere. Riuscirono ad arrivare alla porta sani e salvi e, appena le fu data la possibilità, la bambina si precipitò dentro e saltò subito in braccio al nonno.

"Lotte!" la sgridò bonariamente Mycroft, appendendo il suo cappotto all'appendiabiti e sistemandosi i corti capelli castani. "Spogliati almeno, fa troppo caldo."

La bambina borbottò qualcosa e Timothy rise di cuore. La fece tornare a terra solo dopo averle dato un bacio su entrambe le guance.

"Papà ha ragione, togliti il cappotto o rischi di ammalarti, stellina."

Charlotte annuì seria seria, slacciandosi con cura i bottoni uno ad uno e lasciando l'indumento poi a Mycroft, che lo appese vicino al suo. Rimase poi a guardarlo, gli occhi grandi e le mani che si stropicciavano impazienti davanti alla gonnellina rossa. Mycroft si piegò sulle ginocchia per poter essere alla sua altezza e le sistemò una ciocca di capelli dorati dietro l'orecchio.

"Qual è la regola?" le chiese con un sopracciglio alzato.

"Guardare e non toccare!" rispose prontamente lei, saltellando sulle gambe dall'impazienza di correre a vedere come era allestita la sala. Mycroft annuì e le sorrise.

"Puoi andare. Ma ricorda che so tutto quello che succede di là." si rialzò e la guardò correre nel salone.

Era sempre così felice e spensierata, un vulcano di energie a cui ancora non si era abituato. Lui di sicuro non era così e non lo erano neanche Sherlock e Eurus. Forse era una prerogativa degli Holmes essere più riservati degli altri, oppure era Charlotte che era ancora più energica di chiunque altro avesse mai conosciuto. Non era semplice starle dietro, riuscire ad avere quel pizzico di vitalità in più per riuscire a controllarla. Lo metteva a dura prova da sette anni a quella parte, era stato spesso sul punto di mollare tutto ed affidarla ad altri, ma avrebbe mentito a sé stesso se non avesse ammesso che erano solo minacce che si autorivolgeva. Piccole strategie di psicologia che lo portavano a voler dare di più per smentire quella fastidiosa voce che gli diceva che non era in grado di occuparsi di lei e che non sarebbe mai stato adeguato.
Era vero, era difficile e stancante, soprattutto in quel periodo in cui aveva moltissime cose per la testa. Ma doveva dare atto a quello che dicevano tutti. Ne valeva la pena quando la vedeva sorridere, quando lo abbracciava anche se lui non lo voleva, quando gli diceva, mezza assonnata, che gli voleva bene.

"Ah, conosco quello sguardo." ridacchiò Timothy. Mycroft si girò a guardarlo e ogni volta si stupiva di quanto fosse simile a Sherlock, l'unico che aveva ripreso effettivamente i tratti degli Holmes, quegli zigomi alti e le labbra spigolose. Lui era più simile alla famiglia di sua madre, i Manners, con i suoi occhi grigi, il mento sfuggente e il naso a punta.

"Non so di cosa tu stia parlando, papà." dissimulò Mycroft, sistemandosi i polsini della giacca scura che indossava.

Timothy scosse la testa e si avvicinò a lui. Allungò le mani per potergli stringere meglio la cravatta e mettergliela più dritta. Era un uomo, ormai, aveva ventisette anni ma per Timothy non era cambiato niente. Lo vedeva ancora come il ragazzino che si allacciava la cravatta storta e rimaneva chiuso in camera a studiare e a leggere. Era ancora quel sedicenne con gli occhi grigi pieni di paura davanti al nuovo mondo dell'università - lui non era d'accordo nel fargli saltare degli anni scolastici, ma Wanda aveva insistito talmente tanto che non aveva potuto dirle di no - e quel ventenne dal cuore spezzato dalla morte dei suoi unici amici e una responsabilità troppo grande da tenere sulle spalle.
Gli lisciò le spalline della giacca, togliendogli qualche piccolo pelucco dalla stoffa. Gli sorrise, dandogli anche una piccola pacca affettuosa sulla guancia.

"Lo sai bene, invece." si spostò di lato, incamminandosi assieme a lui verso il salone. "Come si trova a scuola?"

"Bene, direi. Non c'è il suo amico Leslie, ma c'è un altro bambino a cui si è legata molto." si fermarono sulla porta e la guardarono osservare ammirata il grande albero attaccata alla gonna di Wanda. "David Godfrey. Ho fatto delle ricerche, sembra una famiglia rispettabile. Il padre è ammiraglio della Royal Marine." concluse e Timothy scosse la testa.

Era incredibile come non le permettesse di avvicinarsi neanche per sbaglio a qualcuno se prima non sapeva ogni cosa di quella persona. Si ricordava che anche con Leslie aveva fatto di tutto per scoprire se vi erano motivi di sospetto nei suoi confronti. A parte una multa per il furto di un paio di occhiali da sole da parte di un lontano cugino, non era riuscito a trovare niente e si era dovuto rassegnare a vederla stringere amicizia con quel bambino. Non che gli dispiacesse, lei poteva essere amica di chi voleva. Il problema era che a quell'età l'amicizia si doveva estendere per cause di forza maggiore anche ai genitori. E Dio solo sapeva cosa aveva dovuto sopportare Mycroft per il bene della bambina, per permetterle di divertirsi ed essere felice mentre lui fingeva di interessarsi ai discorsi di Margaret Prescott.
Lasciò Timothy sulla soglia e si avvicinò alla madre e la piccola. Wanda aveva i capelli biondi tirati su da un mollettone, così che non le andassero negli occhi, e indossava un semplice e sobrio abito scuro coperto da un grembiule da cucina bianco e rosso. Guardava con dolcezza la bambina ancora aggrappata alla sua gonna ed intenta a studiare ogni singolo ornamento dell'albero.

"Lotte, avanti, lascia andare la nonna, ha di sicuro molte cose da fare." le disse piano, attirando la sua attenzione. La piccola spostò appena la testa e puntò i suoi occhioni grandi e tondi in quelli di Mycroft.

"Papà, guarda!" allungò il braccino per indicargli un punto dell'albero più in alto, verso la cima. "La nonna ha fatto una pallina per me!"

"Oh, ma davvero?" girò attorno alla madre e prese in braccio Charlotte, avvicinandola piano all'albero e a quella decorazione di legno che Wanda aveva commissionato ad una sua amica del club di lettura. "Chiedi alla nonna se puoi prenderla in mano per vederla."

La bambina guardò prima il dischetto di legno e poi la nonna, le labbra appena separate e le gambe che dondolavano attorno al busto di Mycroft.

"Posso?" chiese semplicemente, indicando l'oggetto dei suoi desideri.

Wanda ridacchiò e si limitò ad annuire, entrando in cucina seguita dal marito. Piano, Charlotte prese in mano la decorazione e se l'avvicinò al viso. Toccò l'incisione, un disegno molto semplice che rappresentava un Babbo Natale e il suo nome in caratteri eleganti. Concentrata com'era nell'ammirare l'oggetto, non sentì neanche il veloce bacio sulla guancia che le diede suo padre - un gesto che avrebbe voluto ricordare, da quanto era raro e fuori dall'ordinario.

"Rimettiamolo a posto, adesso. Poi vediamo se la nonna ce lo vuole dare da portare via, mh?"

Charlotte annuì energicamente e si sporse appena per rimettere la decorazione sul ramo. Riuscì ad infilarla con cura senza farla cadere e sorrise nel vedere il suo operato. Si fece poi mettere giù, corse ad aprire un mobiletto e tirò fuori uno dei suoi libri che aveva lasciato a casa dei nonni. Si arrampicò sul divano e si accoccolò nell'angolo, cominciando a sfogliare quel volume che ormai sapeva di sicuro a memoria. Mycroft sbirciò la copertina e notò che si trattava di una versione semplificata de Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. Era uno dei suoi libri preferiti, glielo aveva letto molte volte negli anni scorsi e non se ne stancava mai. Ne aveva una copia in qualsiasi posto andasse, anche nella casa delle vacanze.
Venne distratta dalla lettura solo quando sentì dei passi scendere le scale e avvicinarsi alla stanza. Chiuse il libro e scattò in piedi, correndo veloce incontro a Sherlock, impedendogli addirittura di entrare in sala e costringendolo a fermarsi sulla porta. Gli aveva stretto le gambe in un abbraccio forte e aveva sollevato la testa per guardarlo con occhi adoranti.

"Zio Sherlock!" esclamò felice, facendogli intendere con un paio di piccoli saltelli che voleva essere presa in considerazione e salutata a sua volta. Sherlock fece una smorfia.

"Spostati." disse semplicemente, la voce un po' impastata. "Dio, devi essere sempre così appiccicosa?" sbuffò.

Charlotte lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e lo guardò delusa. Mycroft scattò immediatamente, andando dalla bambina per stringerla contro il suo fianco e accarezzarle la schiena. Guardò poi il fratello barcollare verso il tavolo e sedersi su una delle sedie, pesante come un elefante sebbene fosse tanto magro da far temere per la sua salute.

"Sherlock, è solo una bambina!" gli sibilò contro. Sherlock alzò un sopracciglio, guardandolo con quegli occhi azzurri che erano così simili a quelli di Wanda.

"Non ho detto niente di male." replicò, passandosi le mani sul viso.

Mycroft aprì la bocca per dire qualcosa, ma Charlotte riuscì a divincolarsi e correre nuovamente dallo zio. Per quanto ci provasse a tenerla lontana da lui, almeno finché non fossero riusciti a sistemare quella faccenda, era impossibile. Lei lo venerava, ogni volta che lo vedeva il mondo spariva ed esisteva solo lui. Nel bene e nel male, era tremendamente legata a Sherlock, e nel profondo Mycroft sapeva che era un sentimento ricambiato. Era per quel motivo che gli faceva più male di quanto desse ad intendere doverli separare ed inventare scuse sul perché non potesse andare a trovare lo zio. Ma come poteva farlo quando ogni minuto con lui poteva metterla in pericolo, poteva farle del male?
Non riuscì a fermarla quella volta, però, e in cuor suo sperò che Sherlock trovasse abbastanza lucidità per trattarla bene. Gli si arrampicò in braccio e gli si sedette sulle gambe, ignorando il verso di disapprovazione che era uscito dalla gola del moro. Appoggiò la testa contro il suo petto, vicino al suo cuore, e Sherlock trattenne per un secondo il respiro.

"La nonna ha fatto una pallina per me, hai visto?" esclamò allegra, non notando la contrazione della mascella dello zio, gesto che però non passò inosservato a Mycroft. "E ci sono tanti regali! Babbo Natale ha portato tante cose anche per te, zio! Anche se non sei stato tanto bravo... Ma gliel'ho chiesto io nella letterina!" terminò, guardando speranzosa verso il giovane uomo.

Sherlock inspirò a fondo e chiuse la mano sinistra in un pugno. Colse lo sguardo severo di Mycroft, che cercava di dirgli senza parlare di non pronunciare alcuna parola che potesse farle del male. Sollevò appena un angolo della bocca in un sorrisetto di scherno, guardando poi la bambina ancora seduta sul suo grembo. Esitò qualche istante prima di aprire la bocca.

"Non è arrogante? 'Gliel'ho chiesto quindi lo ha fatto', no, Charlotte, non funziona così. Tutto quello che viene fatto nel mondo ha un secondo fine. E di sicuro non viene fatto perché una stupida ed insignificante bambina lo chiede!" sbottò, guardandola spalancare gli occhi e trattenere il fiato. "E soprattutto è da idioti pensare che una creatura sovrannaturale che gira il mondo in una notte su una slitta con delle renne volanti dia ascolto a chiunque. Ed è da idioti continuare a pensare che Babbo Natale, o Santa Claus o comunque lo si voglia chiamare, esista!" ringhiò, facendola scendere dalle sue gambe in malo modo, rischiando anche di farla cadere.

Charlotte rimase qualche istante ferma a guardare Sherlock, due grossi lacrimoni incastrati agli angoli degli occhi e il labbro inferiore che tremava. Mycroft sentì il cuore gemere nel vederla così triste il giorno di Natale a causa della persona che amava di più al mondo, ma aveva lo stomaco infiammato di rabbia nei confronti di suo fratello ed era quello il sentimento prevalente. Si avvicinò e appoggiò una mano sulla testa della bambina.

"Piccola, vai in cucina a dare una mano ai nonni." le disse semplicemente, causando una risata di scherno da parte di Sherlock. Lo fulminò con lo sguardo mentre Charlotte correva via. "Ti diverte così tanto?"

"Molto, sì. Perché sei diventato un rammollito." spiegò candidamente, guardando il fratello.

Mycroft lo osservò, lo studiò e gli bastò un secondo per capire tutto quello che doveva. Gli occhi azzurri cerchiati di rosso, il respiro affannato, il leggero tremolio delle mani. Aveva anche la voce leggermente impastata, evitava il contatto visivo diretto per evitare che gli altri si accorgessero delle sue pupille in continua contrazione, ora dilatate e ora piccole come punte di spilli. Allungò una mano di fronte al suo volto e lo guardò serio.

"Dammi la lista." gli disse asciutto. Sherlock sogghignò.

"Non so di che parli."

Mycroft si chinò verso di lui, appoggiandosi al tavolo con una mano e allo schienale della sedia con l'altra. I ricci neri risaltavano contro la sua pelle candida come un'ala di corvo sulla neve. Aveva un leggero accenno di barba e, anche se si era lavato, continuava ad avere quell'odore fastidioso addosso. La preoccupazione per la sua condizione e la paura di vederlo morire per la sua stessa mano erano soppiantate dalla rabbia per il suo comportamento, la sua sconsideratezza.

"Non farmi perdere tempo ad elencare tutti i motivi per cui so che ti sei drogato prima di scendere. Mamma e Charlotte potrebbero sentire, e non ho intenzione di affrontare questo discorso con loro! Quindi dammi la lista." scandì per bene ogni parola, dandogli ad intendere che non aveva alcuna intenzione di stare ai suoi giochetti, non quel giorno, non dopo quello che aveva fatto a sua figlia.

Sherlock lo fronteggiò ancora per qualche istante con lo sguardo, poi sospirò e prese un foglio di carta dalla tasca interna della sua giacca. Lo consegnò riluttante a suo fratello, che lo prese in mano forse con troppa foga e lo spiegò mentre si rimetteva dritto con la schiena. Lesse con attenzione i nomi di tutte le sostanze che il fratello aveva assunto e nascose il biglietto in una delle sue tasche. Incrociò quindi le braccia sul petto e lo guardò accigliato.

"Dovrai chiederle scusa." gli comunicò.

Lo osservò quindi prendere gradualmente consapevolezza di quello che gli stava attorno e di quello che aveva fatto. Sherlock si passò allora le mani sul volto e sospirò, realizzando che lo aveva fatto ancora, le aveva fatto del male mentre lei si comportava solo secondo la sua età. Mentre lei non faceva altro che dimostrargli il suo affetto e la sua voglia di coinvolgerlo nella sua vita.

"È irreparabile?" si azzardò a chiedere. Mycroft scosse la testa e si sedette di fianco a lui.

"No. Le hai solo detto che Babbo Natale non esiste, ma prima o poi doveva scoprirlo." giocherellò con il bordo di un tovagliolo, distogliendo lo sguardo dal fratello. "Ci vuole ben altro perché smetta di volerti bene. Ti adora, parla sempre di te."

Sherlock si concesse un piccolo sorriso, abbassando lo sguardo.

"Spero che sappia che..."

"Lo sa." lo interruppe prontamente con un piccolo sorriso. "Sa che le vuoi bene più di chiunque altro. Ma a volte ha bisogno che tu glielo faccia vedere. Non le basta saperlo, vuole sentirlo. Non è come noi, fratellino, lei necessita di conferme." spiegò.

Rimasero in silenzio fino a che Charlotte non tornò saltellando per avvisarli di lavarsi le mani che era pronto da mangiare. Si misero quindi tutti a tavola, Mycroft lasciò che fosse Sherlock a sistemare la bambina in segno di scuse e come richiesta di pace. Per fortuna era ancora troppo piccola per provare rancore e lo screzio era già stato dimenticato. Pranzò quindi seduta in mezzo al padre e allo zio, le due persone che l'amavano di più al mondo, e non poteva sentirsi più felice e fortunata.
Nonostante le premesse, il pranzo passò tranquillo, così come l'apertura dei regali e il momento dedicato ai giochi di società. Charlotte, con l'aiuto dei nonni, riuscì addirittura a convincere Mycroft e Sherlock a giocare a Monopoly. O meglio, Mycroft e Charlotte facevano coppia contro gli altri tre. La scusa ufficiale era che era ancora troppo piccola per poter comprendere appieno le regole del gioco, ma in realtà sapevano tutti che almeno in questo modo non avrebbe dovuto giocare lui in prima persona. Era rimasto quindi seduto al tavolo con la bambina in braccio, a sussurrarle all'orecchio cosa doveva fare e a contare i soldi al suo posto.
La giornata passò quindi tranquilla, senza ulteriori scenate da parte di Sherlock o capricci di Charlotte. Anzi, durante il pomeriggio avevano sancito la loro pace quando si erano messi sul divano per continuare con la lettura di Dorian Gray. Lei si era di nuovo arrampicata sulle sue gambe, ma questa volta Sherlock l'aveva tenuta stretta e le aveva sorriso. Avevano rinunciato al the e alla cioccolata calda per non alzarsi ed interrompere quel contatto, per evitare di separarsi. Mycroft vedeva che Sherlock si sentiva in colpa per come l'aveva trattata prima, per averla ferita, e per questo motivo cercava di rimediare in tutti i modi. Le aveva anche permesso di mettergli un cappello di Babbo Natale in testa!

Il pomeriggio fu più docile di quanto si immaginasse Mycroft da quella mattina. Sherlock era stato molto calmo, considerate le sue condizioni, ed era riuscito a far dimenticare alla nipote quel piccolo incidente. Ci era riuscito così bene che separarla da lui per portarla a dormire fu un'impresa non indifferente. Entrambi avevano preso a lamentarsi non appena Mycroft aveva accennato alla necessità che Charlotte andasse a letto, affermando che era in piedi dalle sette di mattina e che la vedeva che sbadigliava e aveva gli occhietti stanchi. Quando riuscì a convincerla ad andare di sopra per mettersi il pigiama e filare a nanna, stampò un grosso bacio sulla guancia di Sherlock e lo abbracciò con la foga impacciata dei bambini.

"Ti voglio bene, zio. E non sono arrabbiata per prima." gli sussurrò all'orecchio prima di raggiungere Mycroft, che la attendeva con la mano aperta.

Salutò anche i nonni e salì le scale assieme al padre, che la accompagnò nella sua vecchia camera. Non era cambiato quasi nulla lì dentro, era sempre tutto nel perfetto ordine in cui l'aveva lasciata. C'erano ancora i suoi libri, la sua scrivania di ciliegio, il suo vecchio armadio intarsiato. Ma, dal momento che ora la usava lei quando dormiva dai nonni, era stata decorata con alcuni poster di cartoni animati e film, c'erano altri libri di fiabe tradizionali e l'armadio era pieno di vestitini dai mille colori.
La aiutò ad infilarsi il suo pigiama rosso con su le renne che lei aveva tanto insistito per avere proprio per quel periodo di Natale. La sospinse poi verso il bagno, così che si lavasse i denti mentre lui le tirava indietro le coperte. Prese un libro da una mensola, Canto di Natale di Charles Dickens, e lo nascose dietro la schiena quando lei tornò in camera. Si infilò sotto le coperte e guardò Mycroft con gli occhioni.

"Beh, buonanotte." disse mentre si chinava a darle un bacio sulla fronte. Lei però si spostò e incrociò le braccia, facendo il broncio. Mycroft fece finta di non capire il perché di quella scena, inclinando la testa di lato.

"Non mi hai letto Canto di Natale! Lo fai sempre, tutti gli anni!" si lamentò.

Mycroft ridacchiò, scuotendo la testa e spostando il braccio così che il libro fosse ben visibile anche a lei. Glielo fece dondolare davanti.

"Credevi me ne fossi scordato?" chiese, sedendosi sul letto di fianco a lei.

Vide i suoi occhi illuminarsi e la sentì avvicinarsi a lui. Si appoggiò contro il suo fianco, una delle sue manine abbandonata contro il suo stomaco e la testa posizionata proprio sotto il cuore. Mycroft perse qualche istante a guardarla, si riempì gli occhi di quella testa dorata e quegli occhi dolci. Non era il tipo da smancerie, lui, non lo era mai stato, ma erano i momenti come quelli che gli facevano scoppiare il cuore di gioia. Quando la vedeva così, in quelle posizioni, quando si abbandonava completamente a lui fiduciosa che non le avrebbe mai fatto del male e la tenesse sempre al sicuro, desiderava fermare il tempo e vivere quegli istanti all'infinito. Desiderava che rimanesse sempre piccola così, sempre la sua bambina che si fidava ciecamente di lui e gli voleva bene. Vederla crescere ogni giorno, diventare sempre più grande e indipendente non era semplice. Sapeva che un giorno non avrebbe più avuto bisogno di lui, che se la sarebbe cavata da sola e che se ne sarebbe andata, ma non era così sbagliato desiderare che quel momento arrivasse il più tardi possibile.

"Papà?" lo richiamò con la sua vocina acuta, alzando la testa. La prima volta che lo aveva chiamato così era stato a Natale e, nonostante fossero passati sette anni, ancora Mycroft percepiva un brivido lungo la schiena ogni volta che sentiva quella parola. "Non sgridare lo zio Sherlock. Io lo sapevo già che Babbo Natale non esiste. Facevo finta perché non volevo che ci rimanevi male."

Mycroft la guardò per qualche istante poi rise sommessamente. Come aveva fatto a non accorgersi che stava fingendo? Era stato troppo accecato dalla volontà di rendere magico questo periodo per lei o era stato troppo impegnato col lavoro? Ma di una cosa era certo: nonostante tutto, Charlotte era molto più Holmes di quanto potesse sembrare.

"Che ci rimanessi, Lotte. E se sgrido lo zio Sherlock è perché se lo merita." replicò e le arruffò appena i capelli. Charlotte gonfiò le guance, infastidita da quel gesto tanto che cercò immediatamente di rimettersi a posto la chioma. "Ma ora zitta o non ti leggo più niente!" la ammonì.

Lei annuì e si strinse di più a lui, accoccolandosi per bene contro il suo fianco. Guardava anche lei le pagine, osservando i disegni che accompagnavano le parole di uno dei più grandi scrittori del loro paese.

"Ti voglio bene, papà..." borbottò ad un certo punto, la voce impastata dal sonno e gli occhi socchiusi.

Mycroft sorrise, accarezzandole i capelli e guardandola con dolcezza. Si stava addormentando ma cercava di lottare contro Morfeo per ascoltare la fine della storia. Era testarda, esattamente come lo erano stati i suoi veri genitori, e non le piaceva arrendersi neanche a quelle piccole cose.

"Anche io, amore mio. Non sai quanto" sussurrò, e forse un po' sperava che lei non lo avesse sentito.

Quel piccolo sorrisetto mentre finalmente si abbandonava al sonno, però, era una conferma del fatto che avesse compreso ogni parola. E in fondo, molto in fondo, a Mycroft non dispiaceva affatto.

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[Note autrice]

Non avevo intenzione di scrivere uno speciale di Natale, almeno non per quest'anno. Avevo in mente una sorta di Canto di Natale contrapposto all'originale, ma ci sarebbero stati troppi spoiler pesanti riguardo la storia principale, Gabbia dorata (andate a leggerla se volete conoscere meglio Charlotte!). Quindi, dopo giorni di arrovellamento perché ehi, alla fine una piccola storiella di Natale era d'obbligo, mi è venuto in mente questo.
L'origine di tutto è stata l'immagine di una Charlotte bambina che dice a Mycroft di non credere a Babbo Natale ma di aver fatto finta solo perché non ci restasse male (e ovviamente, nella storia, il tempo verbale sbagliato è voluto). E quindi niente, tutto il contorno di dolcezza è venuto fuori da solo.

Ho deciso di pubblicarlo oggi, 14 dicembre, perché è a metà strada tra l'inizio del mese e il giorno di Natale - e non centra affatto che sia anche il mio compleanno, assolutamente. Non è niente di speciale o di particolare, in effetti, solo uno spaccato della vita di Charlotte e Mycroft quando lei era piccola. Una piccola perla su padre e figlia, su quanto siano legati e quanto lui tenga realmente a lei e sia in grado di farlo vedere se e quando vuole. Una cosina piccolina per entrare meglio nella loro dinamica familiare e anche per indicare quanto forte sia sempre stato il rapporto tra Charlotte e Sherlock, anche quando lui si drogava e la trattava male. Insomma, semplicemente una storia per mostrare che anche gli Holmes sanno amare.

Spero quindi che vi sia piaciuta. Lasciatemi una stellina e un commento, se vi va, e passate a dare un'occhiata anche a Gabbia dorata. In questa storia Charlotte è più grande (19/20 anni), c'è anche John tra i personaggi principali, ci sono omicidi, intrighi, indagini e, spero, suspense e diversi colpi di scena.
Vi ringrazio ancora per aver letto questa storiella e se deciderete di dare una possibilità alla principale. You're all amazing ♡

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