Fanculo Monet.

-Bene, ragazzi, oggi parleremo di Impressionismo, qualcuno ne sa già qualcosa?-

Erano trascorse ormai alcune settimane dall'arrivo del professor Mobrici all'interno della scuola, e le cose sembravano andare abbastanza bene in quel piccolo liceo musicale.

Questo si ritrovò a pensare il docente Alessandro Inolti, mentre alle dieci inoltrate si accingeva a spiegare alla classe una piccola corrente di tutto il bagaglio artistico che si portava dietro.

Per Alessandro ogni cosa era arte, tutto, anche le piccole cose che lo circondavano e a cui non faceva molto caso appartenevano a una forma artistica qualsiasi.

E se non era così, erano comunque degli oggetti importanti, perché consistevano in una forma d'ispirazione per l'artista.

Il cielo, le stelle, o ancora meglio un bel cielo stellato, tempo fa nessuno sapeva dare una consistenza fisica o matematica al cielo, eppure l'essere umano ne è sempre stato affascinato.

E cosa fai quando una cosa ti affascina? Tendi ad immortalarla, con un bel dipinto o con una fotografia non importava assolutamente, l'importante era catturarne l'attimo esatto, senza modificarlo sotto nessun punto di vista.

-Era un po' questo che cercavano di fare gli artisti con la loro pittura en plein air, loro dipingevano le tele sul momento, non le portavano nei loro studi per ultimarle, perché altrimenti il loro ricordo sarebbe stato sfasato dalle loro emozioni, dalle percezioni dell'essere umano, che è diverso dall'artista.-

-A professò, ma qua so tutti sbiaditi..-

Alessandro si ritrovò a ridere per le parole di Niccolò, mentre scuoteva la testa e si alzava, iniziando a fantasticare ed immedesimarsi nella tecnica usata dagli impressionisti, per poterla spiegare il meglio possibile.

-Troviamo diverse figure in questa corrente, Niccolò, puoi trovare Manet o Monet i cui contorni dei soggetti rappresentati erano molto più sinuosi e privi di rigidità, proprio per l'immediatezza con cui venivano dipinti.
Oppure Degas, ad esempio, che utilizzava le foto per essere più preciso, così poteva tornare nel suo studio e dipingere con più calma e tranquillità.-

-È per questo che in questo dipinto.. Cavalli da corsa davanti alle tribune, Degas taglia dall'inquadratura parte dei cavalli? Perché non erano venuti nella foto?-

Il professore annuì all'affermazione della sua alunna, ringraziando mentalmente Degas per aver dipinto dei cavalli, sapendo quanto Francesca ne fosse ossessionata e sperando che questo l'avrebbe aiutata ad appassionarsi di più alla sua materia.

-Ma non è giusto! Poveri cavalli, questo è irrispettoso!-

-Sono contento di questo tuo interessamento, Francesca, sarò contento di sentire le tue opinioni a riguardo all'interrogazione, se deciderai di portarlo.-

Francesca sorrise dolcemente mentre si perse ad osservare il dipinto raffigurato sul proprio libro, storcendo il naso ogni volta che incontrava i corpi mozzati dei cavalli.

No, quell'artista non gli piaceva affatto.

-Una particolarità di Monet invece sono le ninfee..
Lui infatti abitava in una casa che dava su un lago, ogni volta che guardava fuori  dalla finestra vedeva le ninfee, e ogni volta la dipingeva.
Ha dipinto oltre duecento ninfee guardando sempre lo stesso stagno, il suo, e questo fa capire quanto può essere bella una cosa se la guardi sempre e solo con amore incondizionato.-

L'atmosfera che si creò era veramente piacevole, fra i volti sognanti di alcuni alunne e quelli scocciati dei ragazzi, ce ne fu uno, uno solo in particolare, che catturò l'attenzione di Alessandro.

Einar si era girato verso Filippo con un sorriso timido, che l'altro sarebbe rimasto anche a guardarlo per tutto il giorno, solo per vederlo sorridere sempre così.

-Filì, ma se fossi costretto ad osservarmi ogni giorno, per un motivo o per un altro, mi dipingeresti?-

Filippo in tutta risposta si ritrovò ad arrossire per qualche secondo, per poi scuotere la testa e sbuffare.

-Ma chi ci pensa a queste stronzate, dai..-

Alessandro sorrise, guardando fuori dalla porta e perdendosi nei suoi pensieri.

"È proprio vero che l'arte unisce i cuori."

Furono le urla di Ermal e Fabrizio, per l'ennesima volta, a farlo sobbalzare e tornare alla realtà, facendogli scappare anche una piccola risatina divertita.

"Nemmeno tutti e duecento i quadri di Monet potrebbero fare qualcosa per loro."

Eppure...

———

-A ricciolì, calmate su, pare che t'ho detto le peggio cose.-

-Calmate?!-

Ermal non era nervoso, assolutamente, solo che in quel momento il suo istinto omicida nei confronti di Fabrizio era salito alle stalle, come mai prima d'ora.

-Calmo?!
Tu.. tu mi stai dicendo di stare calmo?!
Hai versato il tuo stupido caffè sugli appunti che dovevo distribuire oggi in classe.
Non so tu, ma io lo prendo seriamente il mio lavoro.-

-Ma t'ho chiesto scusa Ermal, pensi che l'ho fatto de proposito? Sai che cazzo me ne frega degli appunti tuoi?-

Fabrizio era completamente demoralizzato, mentre guardava Ermal con espressione da cane bastonato, mettendogli una mano sulla spalla.

-Davvero Ermal, nun volevo.. è che la mattina sembro nrincojonito se nun bevo minimo tre caffè, soffro de insonnia e-

-Non me ne frega un.. piffero della tua insonnia!-

Ermal lo interruppe bruscamente, guardandolo male fino a quasi fulminarlo, mentre Fabrizio non faceva altro che pensare a quanto era stato dolce il collega nell'evitare la parolaccia, per poi mettere su quel broncio adorabile.

Adorabile, Fabrizio trovava Ermal decisamente adorabile, e fu con questa piccola certezza che si lasciò andare a una risatina divertita, guardandolo intensamente negli occhi.

Ermal, dal canto suo, che aveva lo sguardo di Fabrizio puntato addosso, si era lasciato per qualche secondo incantare dagli occhi -belli- che il romano si ritrovava, continuando però a mantenere lo sguardo omicida.

-Che hai da ridere?-

-Niente, sei carino.-

Quelle tre parole scivolarono fuori dalle labbra del collega con una facilità inaudita, facendo arrossire immediatamente entrambi.

Fabrizio, che già si era pentito di aver pronunciato quella frase, consapevole di quanto Ermal fosse imprevedibile.

Ermal invece, che non era abituato a permettersi di ricevere certi complimenti, si era dovuto abituare al rossore che era esploso d'un tratto, inaspettatamente, sulle sue pallide guance.

I pensieri erano tanti, troppi, ma entrambi pensarono di ricorrere alla stessa frase nello stesso momento.

-Beh, io vado in classe.-

Entrambi risero istericamente, ma durò per pochi secondi, perché poi Ermal tornò nella sua bolla fatta di tristezza e rigidità, avvicinandosi pericolosamente a Fabrizio.

-Che stai..-

Il viso di Ermal era pericolosamente vicino a quello del suo collega, che arrossì prontamente e boccheggiò con fare incantato, portando lo sguardo sulle sue labbra e chiedendosi quanto fossero morbide o che sapore avessero.

Il povero Ermal, ignaro di tutto, si era invece avvicinato semplicemente per abbottonargli la camicia, ma a Fabrizio ci volle un po' per capirlo.

-La prossima volta vestiti in modo più decoroso, siamo in una scuola, non in un bordello.-

Ermal si decise ad alzare lo sguardo, ritrovandosi quello perso e confuso di Fabrizio, che in quel momento avrebbe solo voluto sporgersi più in avanti e zittirlo con un bacio.

Il collega, però, non era dello stesso avviso, per cui mise fine a quel gioco di sguardi, sorpassandolo senza neanche salutarlo.

Ermal camminò a passo veloce lontano da lui, mentre Fabrizio rimase fermo in quella posizione per qualche minuto.

Andavano a ritmi diversi, ma una cosa in comune l'avevano: i loro cuori che battevano alla stessa frequenza, che ancora dovevano capire bene quale fosse, ma che non potevano evitare.

"Deficiente, sei un deficiente Fabrizio Mobrici."

Questo pensò Fabrizio, insultandosi da solo mentre riprese a camminare con lo sguardo basso e i pensieri alti fino a raggiungere Marte.

Camminò, perché se è vero che camminare fa passare ogni tristezza, a Fabrizio non sarebbe servito nemmeno farsi il giro della scuola dieci volte per scacciare quella sensazione.

Camminò, semplicemente camminò, ma lo fece in un modo così intimo e separatore dal resto del mondo, che si scontrò proprio con l'ultima persona al mondo che voleva incontrare in quel momento.

Elisa.

-Oh, ciao Fabrizio!-

"Tacci tua, che cazzo vole questa mo."

Fabrizio si ritrovò a sospirare, puntando gli occhi nei suoi e rattristandosi quando si rese conto che non erano per niente simili ai due occhi scuri e tormentati che aveva incontrato poco prima.

-Buongiorno a te, Elisa.-

-Allora, come ti trovi qui?
Gli insegnanti sono simpatici con te? E gli alunni?-

La donna gli fece quelle domande guardandolo con fare sensuale, mentre portava una mano ad accarezzargli la spalla.

-Sono.. sono tutti molto carini co me, e gli alunni m'hanno già preso a cuore.
Nun è stato troppo difficile ambientarme..-

-Mmh, meglio così!
Anche se, devo dirtelo, ho notato che non scorre buon sangue fra te e il professor Meta, non che mi sorprenda, siete così diversi, però mi rincresce se ti causa problemi.-

Fabrizio alzò un sopracciglio mentre la osservava attentamente.

"E te che cazzo ne sai de me?
Che cazzo ne sai de Ermal?"

Quella donna era capace di infastidirlo con quella superficialità, come se fosse così facile capire com'è fatto qualcuno, come se bastasse fare quattro chiacchiere con una persona per  capire cosa si porta dentro.

Lui era convinto che non sarebbe mai riuscito a scambiate due parole con l'anima di Ermal, perché era nascosta dietro mura impenetrabili.

Eppure quello sguardo, quel maledetto sguardo che il riccio gli rivolgeva lo faceva sentire nudo, spogliato della sua parte più debole, come se il riccio potesse rubargliene un pezzetto tutte le volte che lo guardava negli occhi.

-No, nun è nulla de che, semo solo spesso ndisaccordo pe cose de scuola, ma me sta anche simpatico.
Ora però è meglio che vado nsala professori, c'ho delle cose da fa.-

-Ma no, resta un po' qui con me a chiacchierare.-

Fabrizio si morse nervosamente il labbro inferiore, non sapendo come fare a liquidarla senza sembrare sgarbato.

La verità era che semplicemente voleva starsene un po' per conto suo, per chiudere il mondo fuori e riflettere sulla piega che stavano prendendo le cose in quel suo percorso scolastico.

-Io.. c'ho del lavoro da fa.-

-Il lavoro può aspettare!-

Nel frattempo, il riccio si era rifugiato nella sala professori insieme ai suoi amici.

Marco e Andrea Vigentini, infatti, stavano parlando animatamente fra di loro da almeno dieci minuti, richiedendo anche un confronto da parte di Ermal.

Ermal, però, era completamente immerso nei suoi pensieri, così tanto che non aveva la minima idea di cosa i suoi amici stessero discutendo, ragione per cui si ritrovò in completo imbarazzo quando...

-Ermal, tu cosa ne pensi?-

Vige aveva fatto quella domanda con una punta di sarcasmo, mentre fissava l'amico con le braccia conserte e uno sguardo di sfida.

Il riccio alzò velocemente lo sguardo, puntandolo in quello dell'amico e rivolgendogli un'espressione di panico, puro panico.

-Sì, umh, anche secondo me il cibo della mensa fa schifo.-

-Ermal, noi nemmeno ce l'abbiamo una mensa..-

Marco prese parola, facendo arrossire il riccio fino alla punta dei piedi, per poi mettere su un broncio improvvisato, mentre sbuffava per liberare la mente.

-Okay, non stavo ascoltando.-

Marco e Vige si rivolsero uno sguardo d'intesa, fissando poi il riccio in modo comprensivo e sedendosi accanto a lui.

-Ce l'hai ancora per stamattina?
Guarda che se è per gli appunti, possiamo benissimo aiutarti a riscriverli..-

-No! Non è per gli appunti, non mi importa di quello, è solo che non ne posso più di Fabrizio.
Ogni giorno non fa altro che combinare casini, il suo modo di fare mi destabilizza e non mi piace quando una persona non mi ascolta.-

Vige sospirò, prendendogli la mano e guardandolo in modo stanco e sincero.

-Ermal, ascolta.. non puoi pretendere di controllare tutte le persone che entrano nella tua vita, okay?
Non sono tutti come te, non puoi pretenderlo e non tutti sono bravi a rispettare i tuoi tempi o le tue condizioni.
Dovresti solo prendere le cose con più leggerezza, se una persona non ti piace la ignori.
Ma tu non lo fai, anzi, lo stuzzichi, cerchi il litigio.
A questo punto, quindi, penso che il problema non sia lui, ma tu.-

Quelle parole colpirono il riccio nello stomaco, dritto nel suo punto debole, portandolo a riflettere sugli ultimi avvenimenti accaduti.

Che lo stuzzicava era vero, ma che non lo sopportava pure, allora perché continuava a portare avanti tutto quel giochetto?

-Non tormentarti, Mh?
Cerca solo di guardare un po' dentro di te, so che c'è molto casino, ma il casino fa anche rumore, devi solo provare a capire a quale fracasso dare retta.-

Con quella frase, il riccio si decise ad alzarsi e a camminare fuori da quell'aula, concordando con se stesso che avesse bisogno decisamente di un po' d'aria.

Così si diresse verso il cortile, o almeno era quello il suo intento, che però venne tempestivamente bloccato da due voci che riecheggiavano nel corridoio vuoto.

-Ti ho detto che devi stare zitto, hai capito?!-

Riki urlò a gran voce contro Einar, guardandolo con un disprezzo tale, che Ermal sentì la tensione salire solo guardandolo.

-Riki, smettila, fammi tornare in classe.-

Ma il ragazzo non era dello stesso avviso, così lo bloccò per un polso, stringendo i denti.

-Brutto frocio di merda, come osi contraddirmi, eh?!-

Fu quando Riki spinse Einar contro il muro, che scattò qualcosa nella mente di Ermal, forse un ricordo, un ricordo vivido che si insinuò nelle crepe che il cuore di Ermal fin da piccolo aveva dovuto sopportare.

Allora lo fece, corse verso di loro e spintonò il ragazzo, allontanandolo dal suo alunno che dietro di lui stava tremando come una foglia.

-Vattene.-

-Ma prof-

-Ho detto vattene!-

L'urlo di Ermal fece gelare il sangue ad entrambi i ragazzi, facendo correre Riki in classe e scappare un singhiozzo a Einar, che si lasciò cadere contro il muro, prendendosi la testa fra le mani.

-Einar, da quanto va avanti?-

Il ragazzo scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore senza proferire una parola.

-Non posso aiutarti se non mi parli però..-

-Forse perché non voglio essere aiutato, non pensa?
Non si può aiutare una cosa sbagliata, alcuni nascono bene e altri restano sbagliati per tutta la vita.
Non posso farci niente, quindi adesso mi lasci in pace.-

Le parole pronunciate dell'alunno colpirono Ermal come uno schiaffo dritto in faccia, facendolo inginocchiare davanti al ragazzo per raggiungere la sua altezza.

-Einar..-

Si prese qualche secondo per osservarlo in modo triste, portando una mano sulla sua spalla con una fatica disumana.

Ermal odiava il contatto fisico, è vero, ma odiava anche vedere la gente in difficoltà, non poteva sopportarlo, per questo decise che quella volta, forse, era il caso di fare un piccolo sforzo.

-Einar, amare qualcuno non ti rende mai sbagliato.. perché dovresti pensarla diversamente?-

-Perché è.. non è normale.-

Ermal scosse la testa, lasciandosi scappare una risatina isterica, mentre asciugò con dolcezza quasi paterna la guancia del ragazzo con il dorso della mano.

-E con ciò? Non è normale, ma cosa lo è?
Non si tratta normalità o diversità, ognuno di noi si sveglia la mattina amando qualcos'altro.
Amando, non odiando.
E non importa se a renderti felice è Francesca, o Filippo-

-Cosa?! Io e Filippo non-

-Non sprecare fiato, Einar, se ne sono accorti tutti da almeno due anni!-

Einar arrossì violentemente, zittendosi poi dato il mancato coraggio di proferire parola.

-Stavo dicendo, che non c'è bisogno di persone normali al mondo.
C'è bisogno di persone felici.
E allora siate persone felici, perché di questo c'è bisogno, a nessuno deve importare come raggiungi l'orgasmo.-

Einar sgranò gli occhi per quel discorso, sorridendo poi dolcemente e piegandosi ad abbracciarlo forte.

-Grazie mille prof Meta, è quasi simpatico quando non è impostato come sempre.-

Ermal si irrigidì appena per quel contatto, ricambiando tuttavia la stretta come meglio poteva, staccandosi poi velocemente.

-Sì, sì, se ti azzardi a raccontarlo a qualcuno.. giuro che ti faccio un'interrogazione che parte da -2!-

Einar si alzò velocemente e scosse la testa, mormorando un "si figuri!", abbandonando subito dopo il corridoio.

-Interessante il tuo discorso, se solo tu fossi abbastanza intelligente da seguirlo.-

Ermal sobbalzò per quella voce, girandosi velocemente e sospirando per calmarsi.

-Cazzo, Ale, mi hai spaventato!-

Alessandro rise, avvicinandosi appena a lui e scuotendo la testa mentre guardava Ermal con espressione furba.

-Sai.. Monet diceva.. "Tutti affermano di comprendere la mia arte come se fosse necessario comprenderla, quando invece basterebbe amare."-

E poi se ne andò, lasciando Ermal solo e con mille dubbi ad assalire la sua mente.

Sospirò, facendo spallucce e continuando a camminare, continuando a sentire quella frase impressa nella sua mente.

"Quando invece basterebbe amare, quando invece basterebbe amare, quando invece basterebbe..."

I suoi pensieri vennero improvvisamente bloccati dalla vista di Fabrizio infondo al corridoio, che parlava con Elisa con un'espressione confusa sul volto.

"...amare."

Sorrise involontariamente e fece un passo, uno solo, prima di vedere Elisa sporgersi verso Fabrizio e poggiare le labbra sulle sue.

Sgranò gli occhi e aprì velocemente la porta dell'aula più vicina, entrandoci dentro e sbattendola violentemente, trattenendo il respiro.

Fanculo Fabrizio.

E fanculo Monet.


Spazio biscotto 🍪:

Eccoci qui, finalmente ho (quasi) introdotto tutti i personaggi di questa fan fiction.
PERDONATEMI PER LA FINE DI QUESTO CAPITOLO.
Ma era necessario alimentare l'ansia.
Prometto che mi farò perdonare. GIURO.

Voglio ringraziare come sempre la mia squad unaMETAfincheMORO perché mi sprona a continuare questa opera nata dalle loro menti.

Vi voglio bene💛

Grazie per essere arrivati fino a qui.

Alla prossima.

Erika 😈

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