Tuono

Quando il commissario Resperi entrò nella gioielleria di Marcello si trovò davanti un uomo con lo stesso atteggiamento degli ultimi quattro proprietari di esercizi commerciali che aveva visitato nel giro di un'ora.

Il colloquio con la bella Teresa e il suo amico di cui aveva già scordato il nome gli aveva fatto comunque scattare qualcosa nella sua mente investigativa.

Se il gioielliere subiva le angherie della malavita, molto probabilmente anche altri negozi della zona erano nella sua stessa situazione; così aveva deciso di fare un salto nella lavanderia all'angolo, nel ristorante che si trovava sulla stessa via, al tabaccaio e al negozio di scarpe lì accanto.

Tutti i proprietari si erano dimostrati immediatamente diffidenti nei riguardi dello sconosciuto appena entrato nel loro negozio, avevano indossato una maschera di cortesia e avevano cominciato a fare vaghe domande, come se fossero loro a dover indagare su di lui e non il contrario.

Marcello non fu da meno; la sua parlantina di venditore però gli fruttò ben poco, perché presto Resperi giocò a carte scoperte, così come aveva fatto con gli altri negozianti.

«Mi è stato riferito che lei naviga in cattive acque.»

Immediatamente Marcello sbiancò in viso, lo sguardo saettò alla porta di ingresso, come se si aspettasse che da un momento all'altro entrassero i due energumeni per impedirgli di dire qualsiasi cosa.

Vedendolo così in difficoltà, il commissario provò ancora a rassicurarlo: «Sono qui per aiutarla, si fidi di me.»

La voce di Marcello venne fuori con un sussurro, quasi avesse paura che potessero ascoltarlo: «Lei non può aiutarmi, nessuno può farlo.»

«È il mio mestiere, sono qui per proteggerla. Ma lei mi deve dire cosa è successo.»

«Proteggere me?» quasi non credeva alle sue orecchie. Quell'uomo credeva davvero di poter fare qualcosa solo perché indossava un distintivo?

«Certo! Le assicuro che quegli uomini non le faranno più del male.»

«E come pensa di riuscirci?»

«Noi li arresteremo e...»

Marcello però non gli permise di continuare: «E cosa? Quei due magari finiranno pure dietro le sbarre, ma manderanno qualcun altro!»

«La sorveglieremo, faremo in modo che...»

Lui però lo interruppe ancora: «Cosa? Farete in modo che non mi facciano ancora del male?»

Resperi annuì, ma il sorriso sarcastico del gioielliere lo fece desistere dal continuare.

«E la mia famiglia? Come potrete assicurarmi che non faranno del male alla mia famiglia?»

Il commissario guardò quell'uomo negli occhi e vide solo la disperazione che albergava nella sua anima; o forse no, c'era anche qualcos'altro: c'era la paura, certo, ma anche la rassegnazione. Era davvero convinto che le forze dell'ordine non avrebbero riordinato assolutamente nulla nella sua vita.

Ma lui era bravo nel suo lavoro, lo sapeva e voleva che anche Marcello se ne convincesse.

«Faremo tutto ciò che è nelle nostre possibilità, ma abbiamo bisogno del suo aiuto. Mandi sua moglie e sua figlia in vacanza, da qualche parte per un po' di tempo. Ci permetta di installare delle telecamere e dei microfoni. Abbiamo bisogno di prove per incastrarli e, una volta arrestati quei due, potremo risalire la piramide. Ma, la prego, da qualche parte dobbiamo pur cominciare. Mi aiuti ad aiutarla.»

Carlotta e Isabella lontane da tutto quello schifo? Dove mai avrebbero potuto essere al sicuro? Non sapeva nemmeno fin dove avevano potere quei due bastardi. E se le avessero trovate? E per quanto tempo? Come poteva fidarsi della polizia? Avrebbe rischiato la sua vita, ma la sua famiglia...

Tutte queste domande e tante altre ancora si accavallavano nel cervello di Marcello senza trovare nemmeno una risposta.

Eppure quel poliziotto era ancora lì, fermo davanti al suo bancone, con l'aria risoluta, quasi ad assicurargli che, se anche adesso era confuso, lui avrebbe sbrogliato tutta la matassa.

Possibile che fosse così certo delle sue capacità?

«Signor Marcello, lei non è solo e non è il solo.»

Quelle parole scossero la sua mente con un boato, un tuono che lo fece sobbalzare nell'animo.

Era sempre stato solo, il problema se l'era creato lui e la soluzione doveva trovarla lui, mentre ora quel commissario gli stava dicendo che non toccava a lui risolvere quel guaio.

Sentì qualcosa salirgli in gola direttamente dallo stomaco e poi su, fino agli occhi; li sentì inumidirsi e poi sfogarsi di calde lacrime.

La voce di Resperi, ferma nelle sue convinzioni e rassicurante, ripeté ancora una volta: «Si fidi di me.»

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