Sentiero
L'ombra proiettata dalla luce delle scale la raggiunse prima dei suoi occhi, precedendo i suoi passi.
Quando la vide, immobile sulla sedia, con una bretella della canotta scivolata sull'omero, le cosce lasciate scoperte da un paio di pantaloncini e lo sguardo fisso sul suo volto, si fermò.
«Bentornato.» Un saluto che non aveva nulla di benevolo.
Si lasciò sfuggire uno sbuffo dalle labbra, scosse la testa e si richiuse la porta alle spalle. «Che accoglienza calorosa» la canzonò.
Il piede che teneva ancora poggiato sulla seduta di legno cominciò a formicolare. Decise di liberarlo, per posare con noncuranza quella gamba sull'altra, così che fosse chiaro anche a lui che si sentiva perfettamente a suo agio.
«Che ti aspettavi? Che ti corressi in contro e ti saltassi al collo?»
Lucio allungò la mano fino all'interruttore alla sua sinistra e finalmente quello spazio assunse una dimensione definita: un monolocale, quattro pareti in croce, un letto, un tavolo, tre sedie, chissà perché tre poi, quando in quello spazio riusciva a muoversi a malapena una persona sola.
Aveva tolto la giacca e ampie chiazze di sudore marcavano la stoffa della camicia bianca sia sotto le ascelle che lungo la schiena.
Quella giacca, ormai inutile, venne abbandonata ai piedi del letto a una piazza e mezza, un letto comunque troppo grande per quel posto.
Ciò che non aveva mai abbandonato era il suo sorriso, il suo stramaledetto sorriso, che faceva capolino anche ora attraverso la perfetta dentatura. «Ho la strana sensazione che se mi saltassi al collo in questo momento non sarebbe un'esperienza piacevole.»
"Stronzo" pensò. Era sempre stato uno stronzo. Ed era la cosa che più la intrigava, maledizione!
Lo osservò percorrere quel breve quanto tortuoso sentiero delimitato dal mobilio scadente, per oltrepassarla e raggiungere l'angolo cottura. In quell'appartamento tutto era un angolo: l'angolo giorno, l'angolo relax, l'angolo notte, perfino la porta del bagno era in un angolo.
Lo stronzo prese la moka dallo scolapiatti, riempì la base con l'acqua del rubinetto, poi recuperò il caffè dal pensile sulla destra; ogni suo gesto era preciso, metodico. Lui non lasciava nulla al caso.
La giusta dose di polvere, l'intensità perfetta della fiammella del gas, perfino la lentezza con cui si voltò a guardarla mentre aspettava che salisse il caffè.
«Si può sapere dov'eri finito? A quest'ora avremmo potuto essere alla stazione.»
Lucio osservò la bottiglia sul tavolo, indovinando solo un paio di dita di birra attraverso il vetro. Tornò serio in un istante. «Ci sono già stato alla stazione.»
Teresa sgranò gli occhi, incredula alle sue parole.
«E non fare quella faccia.» Rieccolo, quello stramaledettissimo sorriso. «Se avessi voluto partire senza di te, ora non saremmo qui a fare questa non-conversazione, non credi?»
Stavolta fu lei a sbuffare: aveva ragione, ovviamente.
Ancora qualche secondo e dal beccuccio cominciò a gorgogliare il liquido marrone. Lucio si voltò di nuovo per sollevare il coperchio della caffettiera, si avvicinò per annusare il profumo e il vapore gli si appicciò al viso.
«E allora perché ci sei andato?»
Spense il gas, prese due tazzine e smezzò il caffè tra loro due; quando gliene porse una, Teresa la avvolse con le dita affusolate.
«Guarda che scotta» la ammonì.
Per tutta risposta, lei avvicinò il coccio alle labbra e bevve tutto d'un fiato, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi marroni.
Lucio rise di gusto. «Contenta tu!» Si sedette di fronte a lei, diede un sorso al caffè, poi lo fece riposare accanto alla birra: la brina si fece largo fino alla tazzina, attraverso il sentiero segnato dalle venature del legno. Per un momento, un breve momento, si chiese se anche lui sarebbe riuscito a raggiungerla di nuovo, a fare in modo che si fidasse di nuovo.
Tornò a guardarla, stava ancora aspettando una risposta, non se l'era dimenticato. Né l'aveva dimenticato lei.
«C'era qualcosa che non quadrava» spiegò.
«Quando?»
«Sin dall'inizio, da quando siamo entrati.»
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