Rovo

Marcello sollevò la testa da dietro il bancone e accolse la coppia appena entrata in modo professionale, come sempre, come se in realtà la mascella e la spalla non gli facessero un male cane.

Per fortuna quei bastardi non gli avevano lasciato segni evidenti sul volto, che potessero fare insorgere domande scomode da parte dei clienti, o che addirittura li facessero dubitare della sua buona condotta, spingendoli a non frequentare la sua gioielleria.

Certo, tecnicamente la sua non è più una buona condotta, ma lui era un brav'uomo, non stava facendo del male a nessuno, ed era costretto a compiere tutti quei lavori alternativi solo per il bene della sua famiglia.

O almeno erano quelle le scuse che si raccontava.

«Buon giorno, signor Marcello. Gli affari sono calati un bel po' o sbaglio?» L'uomo poggiò il gomito sulla vetrina del bancone con noncuranza, come se non fosse entrato solo in quel momento per la prima volta.

Immediatamente un brivido gli percorse la schiena, al ricordo di altri due uomini che si erano comportati in modo così spavaldo solo qualche settimana prima.

Lo sguardo volò alla donna in piedi accanto a lui: chi erano questi due e che volevano da lui?

«Non... non siete qui per comprare, immagino.» Forse erano in combutta con quegli altri. Forse doveva dire solo di sì anche a loro.

«No, non siamo interessati a comprare, hai ragione. Ma siamo interessati alla merce.»

Marcello si lasciò sfuggire una risatina isterica: «Se è una rapina, posso dirvi che avete sbagliato posto.»

La donna aprì bocca per la prima volta: «Sappiamo che non è un posto sicuro. È per questo che siamo qui.»

Ora era confuso. Passò lo sguardo da uno all'altra, provando a indovinare le loro intenzioni.

«Ah... signor Marcello» l'uomo gli parlò come a un bambino a cui va spiegato come funziona il mondo. «Sappiamo in che guaio ti sei cacciato, ma per tua fortuna abbiamo deciso di darti una mano.»

Di che stavano parlando quei due? Come potevano sapere...?

«Abbiamo parlato con sua moglie» La donna sembrava avergli letto nella mente.

Il sangue gli si gelò all'istante. «Isabella...» il cuore volò a sua figlia.

«Sta bene. Stanno bene» si affrettò a tranquillizzarlo Teresa, «ma non possono vivere in questo modo, né può farlo lei.»

La sua voce era più gentile, lei era cordiale. Guardò di nuovo l'uomo: lui era più... lui era... uno sbruffone. Sì, non sembrava avere intenzioni malvagie, sembrava... sembrava...

Lo guardò più attentamente, aveva la sensazione di averlo già visto da qualche parte.

«Ascolta» tornò a rivolgergli la parola, distogliendolo da quei pensieri «dicci cosa è successo e cercheremo di risolvere la situazione.»

Questa volta il gioielliere si lasciò andare a una sonora risata. «Voi due? Volete risolvere la situazione? Forse non avete capito di chi stiamo parlando. Quegli uomini sono entrati in casa mia, hanno minacciato mia moglie e mia figlia e mi hanno picchiato, davanti a loro, Cristo santo! Davanti alla mia famiglia!» Le lacrime vennero fuori insieme all'urlo.

Stava attraversando l'inferno, aveva la mente e ora anche il corpo dilaniati da tutta quella situazione. Si sentiva imprigionato in un rovo, tanto fitto che ogni movimento, ogni tentativo di fuga gli era impedito. Le spine lo pungevano, lo graffiavano, lo martoriavano nell'animo e nulla, nemmeno la luce, riusciva a raggiungerlo.

E questi due? Questi due credevano di potergli tendere una mano? Cosa mai avrebbero potuto fare per lui? E soprattutto... «Perché siete qui?» chiese con tutta la stanchezza che aveva in corpo. «Cosa pensate di ottenere? Cosa volete da me?»

Lucio infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse la collana di ambra bianca, che avevano rubato solo qualche giorno prima, lasciandola penzolare davanti ai suoi occhi: «Questa. Ma vera, stavolta.»

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