Pane
Si stavano dirigendo in sala da pranzo quando suonarono alla porta.
«Chi è, papà?» chiese subito la bambina incuriosita.
«Non lo so. Ora lo scopriamo.» Nel momento in cui Marcello aprì la porta di ingresso, gli gelò il sangue, il sorriso che sua figlia gli aveva donato era scomparso, disintegrato dalla vista dei due energumeni che lo ricattavano.
Gli occhi erano ipnotizzati da quello più alto, che nonostante fosse più indietro faceva benissimo percepire la sua possanza.
L'altro elemento disturbante era quella lama di luce che emanava il ghigno di quello più basso e secco; Marcello non ricordava un momento in cui non avesse quel sorriso beffardo sulla faccia.
«Buona sera, signor Marcello. Disturbiamo? Eravate a cena?»
Il gioielliere si espose istintivamente in avanti per coprire la figlia: «Isabella, vai da tua madre.»
La bambina però non fece in tempo ad allontanarsi che Carlotta li aveva già raggiunti: «Marcello, chi è a quest'ora? Oh...» la donna si bloccò sui suoi passi e fece cenno alla figlia di raggiungerla.
«È tutto a posto? I signori sono tuoi conoscenti? Vogliono fermarsi a cena con noi?» Carlotta era una donna sveglia, ma in una situazione del genere non sapeva davvero come comportarsi: compiacere, scappare? L'istinto le gridava di afferrare la mano di Isabella e fuggire.
Conosceva suo marito e sapeva che quella non era gente che lui potesse frequentare, eppure erano fermi sulla soglia a squadrarsi con troppa familiarità.
«Non preoccuparti, i signori stanno andando via. Tu e Isabella potete tornare di là.» La voce del marito era ferma, come il suo sguardo, dritto davanti a sé. Non se lo fece ripetere due volte e tornò indietro in sala da pranzo con la figlia.
Quando sentì il rumore della porta che si richiudeva, Marcello ebbe la forza di parlare direttamente con gli strozzini: «Cosa ci fate qui? Non vi basta venire in gioielleria? Dovete anche spaventare mia moglie e mia figlia?»
Quello basso (non aveva mai saputo i loro nomi e probabilmente non gli importava neppure conoscerli) si fece una risata a sue spese. «Spaventarle? Tu forse non hai ancora capito come si spaventa la gente.» E senza che la sua vittima potesse prevedere nulla, si ritrovò accasciato sulle ginocchia a seguito di un pugno nello stomaco.
Tossiva, respirava forte, strizzava gli occhi.
«Tu ormai lavori per noi e se abbiamo voglia di venire a casa tua lo facciamo, hai capito?» Gli prese il bavero della camicia e lo sollevò quel tanto per assicurarsi la sua attenzione.
«Anzi, sai cosa facciamo? Accettiamo di buon grado l'invito della tua cara mogliettina.» Si rialzò, fece un cenno al compare e si diresse nella stessa stanza dove aveva visto scomparire la donna e la ragazzina.
L'altro spintonò con un calcio il padrone di casa e si chiuse la porta alle spalle; quando vide che quello non si rialzava, lo afferrò per un braccio e lo trascinò con la forza in sala da pranzo.
Marcello sentì la spalla slogarsi in un movimento anomalo, un bagliore di dolore gli accecò la vista.
La tavola imbandita per la cena di famiglia splendeva nel suo candore, Carlotta teneva molto ai dettagli: le giuste posate, i perfetti abbinamenti, diceva sempre che le piaceva anche "mangiare con gli occhi".
Quando il primo uomo entrò sbattendo la porta contro il muro, la trovò seduta su una sedia con in braccio la bambina; entrambe sussultarono per lo spavento.
Poi arrivò il secondo che si portava quello che aveva le sembianze di un sacco pieno di stracci, mentre lì sotto, dolorante, si poteva indovinare ancora il padre di una e il marito dell'altra.
«Papà!» urlò la piccola.
La madre cercò subito di bloccarla, stringendola contro se stessa: ormai era chiaro che un'irruzione del genere non era casuale, né avrebbe avuto un lieto fine.
«Sto bene... Isabella... Sto bene.» Per non far spaventare ancora di più la figlia, Marcello si fece forza e in qualche modo riuscì a mettersi in piedi: doveva proteggerla, non sapeva ancora come, ma doveva farlo.
«Sì, Isabella, papà sta bene, guarda.» Quello basso, sempre lui, gli afferrò i capelli e lo costrinse a tirare indietro la testa. «Adesso potremmo anche sederci qui, tutti assieme, e gustarci la cena che la bella Carlotta ha preparato. Potremmo parlare del tempo o del campionato. Ma tu sai che non abbiamo tempo da perdere, vero?» Gli sussurrò a un centimetro dalla faccia dolorante.
Nonostante questo, riuscì ad annuire. «Cosa vi serve?»
«Oh! Finalmente si parla di affari!» Il ghigno sembrò diventare ancora più ampio. «Prima di tutto sembra tu abbia scordato che il dieci del mese è passato da un bel pezzo...»
Per rinforzargli la memoria, quello alto lo prese per il colletto e gli tirò un pugno in pieno viso: si sentì uno strano rumore di ossa, mentre lacrime e saliva si mischiavano sul pavimento.
«Inoltre... Mi stai sentendo?» Gridò anche se era a pochi passi da lui, come se sapesse che quel dritto potesse averlo stordito. Marcello invece gli serviva vigile, doveva capire cosa doveva fare.
L'uomo scosse la testa lentamente, non riusciva a parlare per il dolore, ma avrebbe detto sì a qualunque cosa, ancora una volta.
«Bene... Dicevo... Domani arriverà un bel carico, uno di quelli che già so dirai che ci impiegherai tanto tempo. Ma ormai ti conosco, tu non userai più queste inutili scuse con noi, giusto? Sarà tutto pronto per l'inizio della prossima settimana.»
Ancora gioielli da falsificare. Quando sarebbe finita tutta quella storia? Quando lo avrebbero lasciato in pace? Quando sua moglie e sua figlia non sarebbero più state in pericolo?
Le guardò, seduta una sull'altra, tremare come foglie al vento d'autunno, spaventate... no, terrorizzate da quegli uomini che avevano invaso casa loro, la loro intimità, e che lo stavano umiliando peggio di un animale davanti ai loro occhi.
Un altro pugno gli arrivò all'improvviso sulla mascella, facendo volare schizzi di sangue ovunque, sulla tovaglia, sui piatti, sul pane.
Carlotta e Isabella urlarono, gli implorarono di fermarsi, ma era come se non esistessero per quegli uomini, non in quel momento almeno.
«Mi sembri distratto, signor Marcello. Sei sveglio? Hai capito? Hai capito?» ripeté urlando sempre più forte.
«Sci-ii...» biascicò cercando il fiato tra il sangue e la saliva.
«Bene. Allora,» si voltò verso Carlotta «purtroppo decliniamo il suo invito, ma spero ci sarà presto un'altra occasione per riparare.»
Uscì dalla stanza senza più voltarsi, mentre quello alto lasciava cadere per terra il corpo ferito di Marcello e lo seguiva fuori dall'abitazione.
Isabella singhiozzava tra le braccia della madre, Marcello era riverso a terra ed emetteva gorgoglii sommessi. Carlotta guardava la sua tavola imbandita e non le sembrava più così bella, ora che aveva perso il suo candore, ora che il sangue di suo marito era sulla tovaglia, sui piatti, sul pane.
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