TUONO

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Una falena ronzava pigra attorno alla lampada a incandescenza, sbattendo più volte contro il bulbo arroventato.

Che cosa cercava?

Perché, pur sapendo cosa la aspettasse, inseguiva gioiosa la morte?

Non riuscivo a comprendere la logica che spingeva le creature a farsi volontariamente del male.

Sto delirando, pensai girandomi sulla stretta brandina da campo. Ho bisogno solo di un po' di riposo. Cercai di convincermi, ma sapevo di mentire a me stesso. Mi passai una mano tra i capelli, avevo la febbre, ero stanco, troppo. Stanco di guardarmi alle spalle; stanco delle grida di dolore e dell'odore di carne bruciata; stanco di vedere volti, che ormai consideravo amici, dilaniati da un'esplosione; stanco di vedere la paura nei grandi occhi scuri dei bambini. Forse era un pensiero egoistico da parte mia, in quel momento, in quel luogo, ma volevo disperatamente tornare a casa.

Vivo.

Un'altra esplosione, come il rombo di un tuono non troppo lontano. Scattai in piedi, sapevo che da lì a poco altri feriti sarebbero arrivati, altri corpi da cucire o segare, altro sangue, altro dolore. Ero un medico di guerra e questo era il mio dovere.

Uscii fuori dal container che conteneva gli alloggi del personale e mi diressi all'ospedale da campo, in attesa dell'inevitabile scia di sangue e carni che sarebbe arrivata di lì a poco. La camionetta bianca di Medici Senza Frontiere si arrestò davanti alle stanze che fungevano da pronto soccorso. Mi ravviai i capelli, poi indossando i guanti di lattice, corsi incontro ai barellieri.

"Che cosa è successo Robert?" chiesi con aria stanca a uno dei grossi infermieri che trasportavano i feriti.

"C'è stata un'esplosione dottor Jones, un'autobomba vicino al mercato, ci sono centinaia di feriti almeno la metà saranno portati qui: è il posto più vicino..." Gli occhi di Rob erano lucidi di lacrime, era al limite, ormai riconoscevo quello sguardo distrutto dalla sofferenza; era lo stesso che avevamo tutti noi i primi mesi, poi ci si abituava a tutto: al dolore, al sangue, ai corpi laceri e resi irriconoscibili dalle esplosioni... ci si abituava al dolore di una madre che piangeva il proprio figlio, ai bambini che correvano reggendosi sulle stampelle, perché mutilati da una granata.

Ci si abituava o se ne usciva distrutti.

Questo era ciò che mi ripetevo costantemente, ma mentivo a tutti, persino a me stesso.
Ero al limite anch'io, ormai ne riconoscevo i sintomi e non sapevo per quanto ancora sarei riuscito a indurire il mio cuore, quanto dolore sarei riuscito ancora a sopportare.

Ero un medico volontario, avevo deciso di aiutare gli altri, era stata una mia scelta, avrei sopportato, non sarei fuggito lasciando sole le persone che avevano bisogno del mio aiuto. Avrei sopportato.

Per quanto ancora però... pensai, mentre il volto sfigurato di una ragazzina mi si parò davanti.

"Trauma facciale da esplosione!" dissi con un tono professionale "Container 1" continuai. Perso nel mio lavoro, non mi accorsi delle ore che trascorsero frenetiche.

"Dottor Jones, Andrew sta bene?" Aprii gli occhi lentamente. No, non stavo per niente bene. Avevo la nausea, l'odore di carne bruciata infettava ancora l'aria, e la testa mi pulsava dolorosamente.

"C-cosa mi è successo?" chiesi con la mente in subbuglio. L'ultima cosa che ricordavo era il rosso del sole che sfiorava l'orizzonte alzandosi in cielo poi nulla, il vuoto.

"E' svenuto!" rispose una calda voce dall'accento straniero.

Una nuova sirena di allarme sferzò le mie orecchie rompendo l'immobile silenzio del momento. Altri feriti sarebbero presto arrivati al campo. Cercai di alzarmi, un capogiro mi costrinse a stendermi di nuovo. Mi sentivo terribilmente debole e totalmente inutile. "Andrew, ha la febbre alta, ha bisogno di fermarsi..." mi voltai cercando di mettere a fuoco il volto del mio interlocutore, anche se sapevo perfettamente di chi si trattasse.
Avevo bisogno di guardarla in volto, di essere rassicurato dai suoi occhi, i suoi meravigliosi occhi color cioccolato.

"Jasmine!" sussurrai, battendo ripetutamente le palpebre. "Io devo andare, h-hanno bisogno di me!" esclamai con le residue forze che mi restavano.

"No! Non può andare, non sarebbe utile a nessuno in queste condizioni!" Obbiettò con fermezza, mentre con una mano mi respingeva giù sulla brandina. I miei occhi furono attirati da quelle dita ambrate che tenere si appoggiavano sul mio petto ansante.

Poi solo il silenzio a fare da cornice a quel momento così strano e magico; un lungo, imbarazzato silenzio e all'improvviso, tenera, delicata e tremula come ali di una falena, una carezza sfiorò il mio viso. Chiusi gli occhi mentre assaporai nella mia mente la freschezza del suo tocco sulla mia fronte accaldata.

Allungai una mano cercando di sfiorarla, quella delicata falena, ma ero solo, lei era andata via o forse era stato solo un sogno, un meraviglioso sogno, frutto del mio febbricitante delirio.
Chiusi gli occhi, volevo dormire, sognarla, ancora e ancora, forse per sempre.

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