3. Abissi

Leonardo stava affogando.

Stava affondando nell'abisso nero, e per quanto cercasse di tenersi a galla, il liquido in cui era immerso era denso come fosse petrolio, troppo per poter nuotare.

E così stava cadendo nel buio.

Cercò di opporre resistenza, di tornare a galla, ma presto i suoi arti smisero di muoversi. Presto smise di combattere, anche se i suoi polmoni supplicavano per dell'ossigeno.

Toccò il fondo dell'abisso e lì rimase. Il nero attorno a sé era opprimente, togliendogli le energie.

Poi in lontananza sentì una voce.

«Leo! Ascoltami, Rebecca non ti ha tradito, l'hanno costretta ad aiutarli! È ancora nostra amica!»

La voce di Sebastiano, ovattata, lontana, ma Leonardo l'avrebbe riconosciuta ovunque.

La rabbia iniziò ad avvolgerlo. Avevano usato Rebecca contro di lui, sapendo che avrebbe sofferto se se la fosse trovata come nemica, sapendo che mai l'avrebbe uccisa, neanche se significava così poter uccidere quei maledetti individui in divisa rossa.

Alzò lo sguardo e iniziò a nuotare.

Quella era la sua psiche. Il suo cervello. Non importava che il loro Sommo Capo lo avesse costretto con i suoi poteri lì dentro.

Quella era la sua testa e lì dentro comandava lui.

Risalire dagli abissi fu faticoso, ma sapeva che stava per uscirne. Non sarebbe rimasto lì a morire, sepolto nel suo inconscio.

Comandato da lui, Il liquido si era fatto meno denso, più semplice da attraversare, sebbene non fosse comunque come acqua. Altro promemoria che nessuno poteva farlo morire nella sua stessa testa, contro il suo consenso. 

E infine una mano sbucò oltre la superficie del liquido nero. Leonardo urlò di rabbia e si issò fuori di lì.

Aprì gli occhi e si ritrovò nella cella dove era stato rinchiuso. Davanti a sé, il Sommo Capo lo guardava incredulo.

Gli occhi di Leonardo si piantarono nei suoi, furioso. «Tu fai tanto il grande capo, che sa tutto, ma sai cosa? Non contro di me. Credevi di sapere tutto solo perché hai sondato la mia mente?! In realtà, tu di me non sai proprio un cazzo!»

Le braccia erano state incatenato al muro, le gambe no, così si alzò in piedi. Non poteva raggiungerlo, ma di certo poteva spaventarlo.

«Credevi di potermi affogare nell'abisso? Tu hai idea di quante fottute volte sono finito laggiù, senza che avessi nessun motivo per venir fuori?! Così tante da perdere il conto, ma ogni santa volta io sono venuto fuori! Credevi di potermi uccidere nel mio stesso terreno, bastardo?!»

Leonardo aveva sofferto tantissime volte. Era caduto nell'abisso innumerevoli volte, a partire da quando aveva perso Alice. Ma ne era sempre uscito.

«Ho avuto sofferenze che mi hanno spinto laggiù. Un incantesimo non ha lo stesso potere di quelle.» concluse fissandolo negli occhi con furia.

Il Sommo Capo lo guardò per un lungo momento e fece un lieve sorriso.

«Tu invece credi di essere imbattibile, Leonardo Bianchi, ma vedremo su questo chi avrà l'ultima parola.» 

E uscì dalla cella, lasciandolo solo.

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