26. Lamento
Essere l'unico sopravvissuto ad una sparatoia suonava come una cosa bella (eri vivo) e insieme brutta (eri vivo solo tu). Almeno, questo era ciò che Stefano aveva sempre pensato vedendo film e leggendo libri.
Nella realtà, essere l'unico sopravvissuto ad una sparatoia faceva schifo. Solo tu eri vivo, e i bastardi che avevano sparato controllavano sempre se c'erano dei sopravvissuti.
Stefano era per terra dietro la scrivania ed era vivo. Probabilmente l'unico, ma non poteva esserne certo, non aveva la visione periferica o la voce fuoricampo che rivelava che erano morti tutti tranne uno.
Era vivo e aveva una pessima ferita alla spalla che gli faceva un male cane. E non poteva stringersela, o medicarla, perché lo avrebbero visto e finito senza un secondo pensiero.
Doveva fingersi morto, ma la spalla faceva dannatamente male e la sua faccia era bloccata su una smorfia di dolore. Essendo a faccia in giù sarebbe rimasta nascosta, ma il suo respiro si sentiva abbastanza bene e i suoi lamenti pure.
Fa' che arrivi qualcuno. Fa' che arrivi la polizia.
Gli uomini arrivarono dov'era lui e Stefano si impegnò per trattenere il respiro e restare assolutamente fermo.
«Qua ce n'è uno.» disse una voce femminile.
«È morto?» rispose una voce.
«Ha una pozza di sangue attorno che mi stupirei del contrario. Che dici, devo dargli un colpetto?»
«No, non perdiamo tempo, la polizia arriverà a momenti.»
Li sentì allontanarsi e Stefano espirò tutta l'aria dai polmoni, trattenendo un lamento conseguenza dell'aver trattenuto troppo il fiato con una ferita del genere.
Quando sentì la porta chiudersi rotolò su un fianco e si afferrò il braccio ferito, gemendo di dolore.
«Ah, sapevo che eri vivo, sentivo il tuo cuore nel silenzio.»
Stefano si girò di scatto, ritrovandosi un mitra puntato contro.
«Addio.»
Uno sparo, poi il buio.
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