2. Brezza
In una casetta a due piani, di quelle che vengono disegnate anche dai bambini, con una porta al centro della casa, due finestre sopra e due ai lati dell’entrata e con un tetto con comignolo su un lato, abitava un uomo. Ci viveva da solo, almeno all’apparenza.
Ma quell’uomo non era un uomo normale. Quell’uomo aveva un dono: poteva sentire la voce del vento.
Si dice spesso che il vento urli quando soffia, ma quell’uomo avrebbe potuto confermare il contrario. Perché lui sentiva ciò che qualunque vento diceva, e sentiva parole. Vere e proprie parole.
In base a come soffiava il vento si poteva capire quanto esso fosse arrabbiato. Quell’uomo aveva sentito una volta un tornado, ed erano urla forti, piene di rabbia e di odio, tanto forti che gli avevano sanguinato le orecchie.
I venti però erano la maggior parte del tempo tranquilli, soprattutto a casa sua. Lì a volte soffiavano dei venti piuttosto energici, e tutti puntualmente prendevano in simpatia l’uomo, ma non sempre erano lì. Solo quando arrivava o andava via il brutto tempo si facevano vedere, quei birbanti.
Per il resto del tempo, da casa sua passava una leggera brezza. Quella che ti fa stare bene quando stai morendo di caldo.
Le persone non sapevano che per il paese dove anche l’uomo abitava c’era un viavai di brezze. Egli non aveva mai salutato due volte la stessa brezza, che ricordasse.
Quel giorno la brezza non era ben accetta dal villaggio. Era autunno e il minimo alito di vento faceva venire la pelle d’oca anche a chi era vestito a strati come le cipolle.
La brezza non era felice di ciò, ma rimase senza dubbio sorpresa quando qualcuno rispose alla sua delusione.
“Loro non capiscono che sei viva e che ti puoi sentir offesa.”
La brezza aveva raggiunto l’uomo mossa da curiosità. Lui non poteva certo vedere il vento, al massimo i suoi effetti, ma il vento lo osservava, eccome se lo faceva.
Tu mi senti.
“Io ti sento.”
Perché tu mi senti?
“Sono nato con questa abilità, e chi sono io per non usarla? Ho più amici, così.” aveva risposto l’uomo.
I venti non possono essere amici degli uomini. Noi siamo sfuggenti, possiamo esistere per pochi secondi come per una vita umana intera, ma non resteremo mai nello stesso posto.
“Lo so. Ho salutato molte brezze che passavano di qui.”
La brezza era confusa da quell’uomo. Fu il motivo per cui tornò il giorno dopo.
E quello dopo ancora.
E ancora dopo.
Le altre brezze diventavano vento quando anche lei si univa a loro.
All’uomo non importava. Ascoltava volentieri anche i litigi delle brezze.
L’uomo e la brezza si resero conto di amarsi dopo tanti incontri. L’ultima volta che la brezza passò da quel villaggio, in primavera, fu per dirgli addio.
Ho capito di amarti, ma un amore come il nostro è proibito. Me ne devo andare.
“Chi lo dice che è proibito? Noi possiamo stare insieme. Io ti sento, se ti sento vuol dire che possiamo comunicare e stare insieme!” esclamò l’uomo, che più facilmente stava soffrendo le pene d’amore.
Sai anche tu che non possiamo. Siamo troppo diversi. Conserverò questo ricordo per sempre, però, perché mai potrò amare un vento come ho amato te. Ora andrò in Norvegia, lascerò che la mia natura mi porti dove devo stare.
Furono le ultime parole che si rivolsero lì, ma l’uomo non volle darsi per vinto. Preparò le valigie e partì, senza dire nulla a nessuno.
Da tempo l’uomo era ammalato. Avrebbe viaggiato verso un altro luogo, e se avesse dovuto abbandonare la terra, lo avrebbe fatto stando con lei.
E così partì per la Norvegia, per ricongiungersi per l’ultima volta con la sua amata brezza.
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