Prologo: Farfalla nera

Il rintocco delle catene legate ai suoi polsi e alle sue caviglie, era un tintinnio lento e spietato. Era seduta per terra, tra lo sporco e la fuliggine che impestavamo la stanza e con la testa chinata tra le gambe raccolte fra le sue braccia esili e scarne. In quella prigione mascherata da stanza c'era solo una finestra di ferro battuto, una piccola quanto il suo potere, ma che almeno le dava la possibilità di vedere il cielo coperto di bronzo che rivestiva Alvarez, e un lampione stradale caricato a Lacrima, che illuminava l'oscurità avvolgente di quello strano posto. Dei rumori soffusi venivano dalla porta a fianco, li riconosceva appena, ma riusciva comunque a distinguere le parole che si stavano scambiando. Quei Fae stavano dando una festa.
Strinse le mani fredde e callose sul suo vestitino bianco e sgualcito, poi alzò lievemente la testa.
Lì, sotto quel cielo buio, una farfalla dalle ali nere aleggiava elegante e leggiadra. Lei alzò la mano, cercando di afferrarla, ma le sue dita toccarono invece il freddo gelido del vetro. Quel vetro che le pungeva i polpastrelli e le negava la libertà. Una piccola lacrima cristallina scivolò dai suoi occhi marroni e si posò sulle guance arrossate.
Era da sola.
Da sola in un mondo difficile che non la riconosceva.
Sì, da sola in un mondo grigio di dolori e sottomissione. Quello stesso mondo che non la riconosceva e perciò gli aveva negato quella cosa che ogni persona aveva diritto ad avere...
Un nome.
Fece scivolare la sua fronte sui mattoni di pietra gelida che rivestivano il muro, sotto al vetro di quella finestra infelice ~Nessuno mi salverà mai...~ pensò lei ~Questa casa è la mia prigione~
     Silenzio...
     Lacrime...
     Disperazione...
     E poi... ancora silenzio.
     La terra sobbalzò all'improvviso. Era come un terremoto. Lei si parò le testa sotto le braccia, facendo cigolare le catene che la intrappolavano, mentre il suo cuore martellava nel petto e il fiato le moriva in gola ~Cosa sta succedendo?~ si fece prendere dal panico. Ansimava più di quanto avesse mai fatto prima, provava una paura indescrivibile. Alzò lo sguardo verso la solita finestra di pietra e ferro battuto, e allora lo vide...
     Una crepa marchiava il bronzo intenso della cupola e si allargava ad ogni sobbalzo della terra. Ad ogni sobbalzo. Ad ogni sobbalzo. E la terra tremava fragilmente. Instancabile. Tramava ancora. Ancora e ancora. E ancora, allargando la crepa sempre di più.
     Si sentì un ultimo battito, poi un'enorme lastra di bronzo battuto si staccò dalla cupola, e quelle creature avanzarono alla luce di un cielo azzurro che la ragazza dal vestito bianco e sgualcito non aveva mai visto prima.
Avevano zanne lunghe e affilate. Un ruggito profondo che ti rimescolava le viscere, mentre i loro occhi rettili squadravano il nuovo territorio e muovevano meccanicamente gli artigli. I loro corpi lunghi ed eleganti erano ricoperti di squame colorate, squame che si stendevano in quattro zampe muscolose e terminavano in una coda lunga e corazzata. Alcuni di loro erano temprati da qualche cicatrice, altri sfoggiavano corna e tratti anfibi.
Erano loro, i nemici più temuti dalla razza Fae.
Quelle creature...
Erano i draghi.
Una furia dal corpo tendente alle sfumature del bordeaux che variavano in quelle più eleganti del rosso scarlatto, sfoggiò un grido di battaglia, un ruggito atroce e poderoso. La terra tremò ancora e lei non ebbe più la forza di guardare quello che sarebbe strato uno dei più attivi spettacoli mai narrati nella storia Fae. Il suo cuore era il martello di un fabbro, mentre cercava di lavorare una spada di ferro. Il fiato spezzato riecheggiava con ansiti brevi. E la sua fronte madida, grondava piccoli rivoli di sudore.
Sentiva i boati dei loro ruggiti, il rumore degli edifici che crollavano sotto il potere della loro ira divina, e i loro passi infidi. La voce di una donna si distingueva tra le grida dei Fae, tra le suppliche delle madri che chiedevano di risparmiare la propria prole, e tra il fracasso dei detriti che si distruggevano su quello che una volta era il suolo della città di Caracole. <<Avanti!>> li guidò la voce di quel demonio che la ragazza tanto temeva d'incontrare in prima persona <<Uccidete tutti. Di Caracole non deve restare neppure il ricordo!>>
Il calore delle stanza aumentò, aumentò fino a raggiungere temperature esponenziali, poi un forte rumore e.... sì, e vide solo la polvere. Il tetto cadde dal cielo, lei si forzò a non gridare. Polvere, assi di legno, e roccia e mattoni precipitarono sul suo corpicino gracile.
Polvere e fuliggine ovunque. Rumori confusi erano i nipoti più piccoli usciti da quella grande ondata di distruzione, e la ragazza era quasi sicura che sarebbe morta. I detriti l'avevano sommersa, l'aria si faceva sempre più stantia, contaminata dal fumo e dalla polvere. I suoi ansiti si fecero più affannati, più bisognosi d'ossigeno, ma ormai l'aria era finita. Le sue palpebre si fecero più pesanti, strinse la fatica tra le unghie mangiucchiate e cercò di resistere alla mano fredda della morte. Ma... resistere a quella stanchezza? Resistere a quel sonno che la chiamava era davvero possibile? Vi meditò su attentamente, ma la risposta era quella. No, non era possibile.
Chiuse gli occhi e si abbandonò al freddo abbraccio della morte. Un pezzo di roccia le cade sulla testa e la accompagnò nel suo oblio senza luce. Era tutto buio, non vide più nulla. Camminava in un corridoio fatto di tenebre, mentre le solite domande che tormentavano la sua vita, continuavano ad assillarla. Un ombra nata dai rimpianti le cinse la schiena "Chi sei?" non aveva la risposta. Un ombra nata da un anima misguidata si strinse al suo braccio "Perché sei nata?" neanche questa volta aveva la risposta. E in fine un ombra nata dalla lacrima di un dio le afferrò le gambe "Che cos'è la felicità?" ci rimuginò un po', ma non ne trovò la risposta. Forse tra tutte, quella era la domanda che la tormentava maggiormente.
~Cos'è la felicità?~
~Cos'è la felicità?~
~Che cos'è davvero la felicità?~ doveva scoprirlo. Quelle ombre l'avrebbero tormentata fin quando non lo avrebbe scoperto, ma per scoprirlo doveva vivere, e per vivere doveva svegliarsi. L'oscurità posò le sue dita lunghe e affusolate sulla sua pelle nivea. La ragazza spalancò gli occhi e urlò con tutta la voce che aveva in gola.
La gola le bruciava, faceva quasi male per colpa dello sforzo costante, ma non riusciva a fermarsi. Quelle ombre non potevano raggiungerla, non di nuovo ~Non di nuovo!~ gridò nella sua mente. Continuò a dimenarsi alla rinfusa, senza il minimo autocontrollo. Fuori controllo e soprattutto fuori da qualsivoglia limite umano. Si fermò quando la sua testa scontrò una superficie dura come il ferro, e allora dovette soffocare un gemito ricolmo di dolore tra i denti.
Si accorse solo allora che in realtà lei era ancora viva. Le travi di legno erano crollate sul suo corpicino, ma per non so quale grazia divina, nessuna l'aveva schiacciata. Era nascosta in un rifugio di detriti e macerie. Tentò di scostare i primi sassi per cercare di improvvisarsi una via di fuga, ma il suo corpo era troppo debole e malnutrito per riuscirci. Forse era la vita che provava ancora una volta a prendersi gioco di lei. Forse era la vita che le aveva allungato il suo tempo sulla terra per farla sentire ancora più impotente e incapace di liberarsi dalle catene che bloccano il suo cuore spezzato. Le catene di legno e detriti che le negavano la libertà, mentre le solite di ferro di erano staccate dai loro supporti e adesso sibilavano versi metallici.
Si accasciò a terra e respirò lentamente, lentamente... lo scalpitio lento dei passi di una persona catturò la sua attenzione. Il suo cuore smise di battere, mentre una consapevolezza si faceva strada nella sua mente. I draghi avevano invaso la sua città e stavano uccidendo chiunque osava pararsi dinnanzi al loro cammino. Ingoiò un groppo di saliva e sgranò gli occhi. Un drago stava raggiungendo ciò che restava di quella camera di pietra e presto l'avrebbe uccisa. Fece l'unica cosa che le venne in mente, si finse morta e sperò che i draghi avrebbero scambiato quel suo grido ricolmo di dolore per l'ultimo della sua vita.
Mantenne una palpebra lievemente dischiusa per studiare la situazione. Vide due stivali di pelle lavorata calpestare i detriti, delle piccole fiammelle soffuse svolazzarvi intorno. La creatura arricciò il naso e si lasciò andare in un verso roco e gutturale, uno così profondo da entrarle fin sotto la pelle e farle tremare la spina dorsale. Quei piedi che si muovevano con passi lenti ed eleganti si girarono verso di lei, fino ad arrivare davanti al cumulo che l'aveva sommersa e ostruirle la visuale. La creatura si inginocchiò, ma lei riuscì a distinguere solo dei pantaloni bianchi a palloncino dall'incredibile fattura. Purtroppo il suo viso era schermato da una cortina di fumo, e lei -con quei due occhi rossi per le lacrime e l'irritazione dovuta alla polvere- non riusciva a distinguerne i tratti, quindi attese.
La creatura posò una mano sulla sua guancia per accarezzarla con una mano estremamente lieve e delicata. Vezzeggiò il suo viso per un po', poi le chiese: <<Sei morta?>> aveva una voce gentile, forse un po' preoccupata. Ma di voci così affabili e melodiose, lei non ne aveva mai sentire prima.
     Così la creatura attese una sua risposta che però non gli arrivò mai. Avvicinò lentamente il viso al suo e si concesse una manciata di secondi per inalare il suo strano odore <<Sei viva...>> stabilì lui in fine, il drago, la creatura del male, l'affascinante angelo della morte che era caduto dal cielo per portarla con sé all'inferno.
Lei aprì gli occhi di scattò. Come aveva fatto a scoprirla? Se lo chiese, ma quella domanda perse subito la sua importanza. Lui le accorciò le catene con uno strattone deciso delle mani, e infine la liberò dai detriti, facendo molta attenzione a non ferirla. Usò le sue due braccia forti e coperte di squame, per posarla sul fondo di quel cumulo di detriti che un tempo era il pavimento della sua stanza.
Voleva parlare, ma proprio non sapeva come iniziare un discorso con lei, una creatura di cui pure l'aspetto dimostrava una fragilità dannosa e particolare. Si rilassò e avvicinò ancora una volta il viso al collo della ragazza, poi ne annusò il profumo e fece un passo indietro <<È strano>> proferì <<Tu non sai più di purità, ma nemmeno hai mai saputo di gioia, anzi sembrerebbe che tu non sappia di niente che non sia l'odore della tristezza. Però...>> rimugghiò tra le sue parole e fece un respiro profondo <<Se studiato bene, il tuo profumo ha pure qualcosa che si direbbe diverso da qualsiasi altra cosa io abbia mai sentito prima>> aprì gli occhi e le rivolse uno sguardo intenso <<Dimmi, tu chi sei, ragazzina?>>
Lei sollevò la testa e gli rivolse uno sguardo timido. Notò che il drago era in posizione eretta, sfoggiava un fisico possente e due ali lunghe che muovevano le particelle polvere. Non aveva mai visto una creatura tanto spaventosa quanto maestosa come quella, e non saperne i tratti fisici gli conferiva un velo di mistero<<S-Sono un umana...>> rispose semplicemente, forse balbettando un po' troppo. Scosse la testa. Creature immortali, incapaci di mentire, ma in compenso bravissime ad ammazzare. Era pure fin troppo tranquilla per quella situazione.
<<Va bene, ragazzina>> il drago piegò un po' la testa e la guardò sorridendo <<Mi hai detto cosa sei, però io volevo sapere il tuo nome>>
<<Il mio nome...>> rabbuiò la ragazza <<Io non ho un nome...>>
<<Non hai un nome?>> il viso della creatura si corrugò in un'espressione sorpresa. Si avvicinò ancora una volta alla ragazza, raccolse una manciata dei suoi capelli tra le dita e se le lasciò cadere dolcemente sulla pelle. Erano fili di luce che gli lambivano le squame bordeaux in una carezza molto lenta <<È un peccato...>> fece scivolare la mano sotto il suo mento e lo sollevò con cura <<Una ragazza così giovane e bella merita un nome adatto alla sua luce, ho ragione?>>
<<La mia luce?>>
Le sue labbra si incresparono in un ghigno tagliente e storto, simile alla lama ricurva di un machete <<Sì, mia luce. Tutti abbiamo una luce e tu sei oro, oro sporco, ma pur sempre oro. L'oro è la luce>> increspò il cipiglio, poi i lineamenti del suo viso si rilassarono in un'espressione più tranquilla <<Mi piace il tema della luce su di te, Luce. Che ne dici se da oggi tu ti chiamassi Lucy? Lucy di Caracole...>> quel nome... detto dalle sue labbra quel nome aveva un suono così melodioso e seducente da riuscire persino a persuaderla.
<<Lucy di Caracole>> lei socchiuse gli occhi e si beò nel suono di quel nome, del suo nome. Fece un sorriso tremante <<Lucy di Caracole mi piace molto>>
Il drago avvolse la mano gelida della ragazza con la sua più grande e calda <<Vieni con me>> le disse.
Lucy abbassò la testa. Il battito del suo cuore si fece più lento e rassegnato <<Ho capito>> sussurrò con una mano premuta sul petto. Era premuta là, proprio dove il fiato della persona nasceva e moriva <<Devi uccidermi, non è così?>>
<<Io...>> la creatura dalle squame di lava essiccata tirò un sospiro profondo. Squadrò la ragazza minuziosamente, da testa a piedi senza lasciarsi sfuggire nessun piccolo dettaglio. Era così piccola, le sue braccia esili, il viso -per quanto apprezzabile- troppo incavato per colpa di quel suo fisico pericolosamente magro. Si avvicinò una mano alla faccia e coprì un colpo di tosse ~Dannazione~ digrignò i denti e puntò gli occhi sulla ragazza <<Sei fortunata...>> le sussurrò con una voce profonda e quasi grottesca <<Io non uccido chi non ha mai provato felicità in vita sua, sarebbe troppo crudele persino per un drago spietato come me>>
Si girò di spalle e la trascinò via da quel cumulo di devastazione, mentre il tintinnio delle catene che legavano le ragazze riecheggiava lentamente, accompagnando lo scalpitio dei loro passi.
     Lucy abbassò la testa "Io non uccido chi non ha mai provato felicità in vita sua" le aveva detto. Ciò significava che prima l'avrebbe resa felice, e poi l'avrebbe uccisa.
     Non vedeva altre traduzioni...

*Angolo autrice*
Ciao a tutti e benvenuti nella mia nuova Fanfiction, cosa ne pensate? Spero che vi possa piacere.
Felice anno nuovo.
-Aseant

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