~𝑅𝑖𝑐𝑐𝑎𝑟𝑑𝑜.~
Per la prima volta nella mia vita sentimentale, mi vergognai.
Lasciato scoperto da una sorta di protezione morale dei miei amici, preso alla sprovvista dallo sguardo di Margot puntato addosso, mi vergognai di quel bacio ricevuto da Marzia.
A me di Margot in quel momento fregava il giusto, lei era ai miei piedi, ma forse, e dico forse, di Marzia me ne fregava ancora meno.
Tanto lo sapevo che era solo un momento di divertimento per lei.
E così, quando Margot uscì di corsa dalla pizzeria dopo avermi visto, le corsi dietro, in un impulso che non aveva niente di razionale.
Tanto che, mentre le correvo dietro, pensavo che lo stavo facendo senza nemmeno sapere cosa le avrei detto.
Pensavo solo a qualcosa tipo che avremmo litigato, avrei detto che non doveva prendersela, che sarebbe stato diverso, lei avrebbe pianto, poi mi avrebbe abbracciato e io in quell’abbraccio avrei sentito che in fondo anche quello stava passando.
Così facendo, sarei rimasto coerente con quello che ero: il padrone di quella relazione.
«Margot aspetta!» urlai, più con stizza che con disperazione.
Non volevo certo sembrare uno di quei ragazzi patetici che corre dietro a una ragazza implorando delle scuse.
Volevo semplicemente che tutto quello finisse presto, e l’unico modo era quello solito: mostrare durezza.
Lei si bloccò al mio richiamo così perentorio.
«Ricky, cosa ti ho fatto per meritare questo?» mi chiese, già sull’orlo delle lacrime.
Avrei voluto ricacciargliele negli occhi quelle lacrime, non servivano a nulla, eppure erano sempre pronte a sgorgare dai suoi occhi.
«Margot. Smettila di fare queste scene da-».
Il mio nome urlato, poi un tremendo bestemmione, alle mie spalle.
Filo che avanzava con gli occhi furiosi.
«Hai finito?! Te lo chiedo di nuovo: hai finito?!».
«Filo non ti ci mettere pure te, sono questioni tra noi» replicai quasi ringhiando.
«Ma col cazzo che non mi ci metto. Mi ci metto eccome, dato che, dal tuo punto di vista, il tuo rapporto con Margot è questione tua e dei tuoi cazzo di amici di merda che ti ritrovi».
«Di cosa stai parlando? Sei fuori! Le mie questioni con Margot sono solo mie e sue. Tu non c’entri un bel niente. Nessuno qui c’entra un bel niente!».
Mi ritrovai ad alzare la voce oltre quello che avrei voluto.
Con Margot non ci sarebbe stato bisogno di arrivare a quei decibel, ma con Filo era necessario.
Non sarebbe bastato essere perentori: lui era un maschio, e i rapporti tra maschi erano diversi da quelli tra un maschio e una femmina.
Dovevo prepararmi a tutt’altra discussione.
«Guardati dentro» mi disse, «anche stavolta userai quelle frasi di merda per far sembrare lei il problema? Il problema qui, se non l’hai capito, sei tu che ti fai dettare la vita sentimentale dai tuoi amici, che i sentimenti non sanno nemmeno dove stanno nell’enciclopedia. Devi uscire dalla parte del chiavatore romagnolo, cazzo! Hai una persona di fianco!».
«Lo so perfettamente qual è la mia parte e so perfettamente gestirmela con Margot, e lei sa cosa deve fare e cosa può fare» replicai, arrabbiato per il suo pippotto che pensavo fuori luogo. «Il fatto che lei sia qui, che stavamo per parlare prima che venissi a rompere i coglioni, lo dimostra».
«Sai cosa dimostra? Dimostra solo che ti vuole talmente bene che si sta consumando appresso a uno come te, si sta distruggendo. E tu cosa fai? Lo racconti coi tuoi “amici” e ci ridete sopra» poi fece un verso, non saprei nemmeno definirlo, una specie di ringhio di rabbia, «Ti stimi che ce l’hai ai piedi, che puoi farle fare quello che ti pare, che lei ci sarà sempre per te anche dopo le stronzate più grosse. Ma cosa cazzo aspetti a dirle che non te ne frega nulla di lei, che si consumi del tutto per amore? Ma quanto sei maledettamente stronzo Riccardo?!».
Partii con un destro senza nemmeno rendermene conto.
Volevo semplicemente zittirlo ma non ci sarei mai riuscito con le parole.
Lo sfiorai solo perché fu lesto a spostarsi di fianco, e fu altrettanto lesto a rifilarmi un calcio ad altezza ginocchio, mandandomi a terra dolorante.
Poi mi saltò sopra, bloccandomi le mani e si avvicinò al mio orecchio.
«Ricordati che sono Filo Strano. Ricordati che, per voi, sono sempre stato quello mezzo pazzo. Tratta bene Margot o giuro che mi vendicherò su di te come manco te lo immagini. Nessuno. E dico, nessuno, merita quello che le stai facendo. Piuttosto lasciala, ma devi avere il coraggio delle tue azioni da bastardo. Altrimenti sarai sempre un patetico burattino nelle mani di quelli che chiami “amici”. Patetico».
Il «Filo, no, ti prego!» di Anna lo aveva fatto desistere dal fare altro contro di me, non so bene cosa.
Perchè Massari aveva ragione, ai tempi delle scuole elementari lo chiamavano Filo Strano per una lunga storia, dove aveva dimostrato di non essere perfettamente a posto.
Sulla porta del ristorante c’erano sia la sua tizia, con lo sguardo terrorizzato, che Margot.
Era evidentemente impossibile che loro cenassero lì.
Filo si alzò liberandomi le mani e disse alle ragazze che non aveva più fame.
Margot rimase un lungo attimo a guardarmi.
Non so cosa mi aspettassi da lei, forse che dicesse qualcosa che troncasse tutto, che avesse la forza per fare quello che io non ero in grado di fare.
Invece mi porse la mano, e mi aiutò ad alzarmi.
I nostri sguardi si incrociarono, vidi come se fosse sul punto di fare un ennesimo passo.
Poi Anna la chiamò con voce rotta, lei non si fermò oltre, e si allontanò con gli altri due.
Io mi feci mille domande dopo essermi rimesso in piedi.
Lavorai come un robot, senza dare senso a quello che facevo: volevo solo andare a casa, stendermi, uscire da tutto quello.
Quel tendermi la mano per l’ennesima volta, dopo l’ennesima cazzata, cosa significava esattamente?
Non andai a ballare quella sera, anche se, a dire la verità, avevo quasi paura a rimanere da solo con i miei pensieri.
Sapevo che non sarebbe stato semplice dopo una sera in cui mi erano stati sbattuti in faccia i miei comportamenti, dopo che avevo cercato di picchiare un mio amico, e dopo un gesto come quello di Margot.
Davvero ero un “patetico burattino”?
Davvero i miei amici dirigevano così tanto la mia vita?
Erano gli amici di una vita.
Avevano dei difetti e a volte avevamo discusso, non lo nego, ma non erano mai venuti meno all’amicizia, al legame che ci teneva assieme.
Le loro critiche, a volte anche sprezzanti, erano uno sprone a migliorarsi, a non essere vittime dei sentimenti, a non essere deboli, remissivi, schiavi della persona che avevamo davanti.
Ogni loro appunto mi aveva dato una mano ad essere diventato quello che ero: un ragazzo forte, non subalterno, perfettamente padrone dei rapporti con le tipe.
Non ero uno stronzo, come sosteneva Massari, che invece si faceva portare a spasso al guinzaglio da una zoccoletta.
Margot, con quel gesto, aveva risposto per l’ennesima volta con un registro completamente diverso da quello che io avevo sempre tenuto con lei in pubblico.
In pubblico, ecco.
Pensai molto a quel mio essere Dottor Jeckyll e Mr. Hyde, a quei momenti in fondo così intensi con lei da soli, e alla distanza che invece tenevo da quel rapporto quando ero in pubblico, con altri, con i miei amici.
Dormii malissimo quella notte.
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