~𝑅𝑖𝑐𝑐𝑎𝑟𝑑𝑜.~


«Dimmi una roba» mi aveva chiesto Nico un pomeriggio in cui stavo al bar, «ma quella cosa di Filo, come la vedi?»

«Come la vedo? Saranno problemi suoi, tanto quella è come il pidocchio. Salta di ospite in ospite».

«Mica come la tua marmotta, che è ancora in letargo. Dico così perchè, belli miei, pian piano vi state accasando tutti. Con delle svitate, ma vi state accasando».

«Bell’amico! Ti racconto come vanno i fatti miei, e mi rispondi che mi scopo una svitata. D’ora in poi non ti dico più nulla» ribattei scocciato.

Giancarlo, che sfogliava la Gazzetta dello sport svogliatamente, alzò gli occhi dalle pagine rosa.

«Sarà mica che ci devi nascondere qualcosa?» ridacchiò, «La tua tipa e la tipa di Massari non sono amiche? Finisce che scopriamo che sono molto amiche».

«Ma chi fa l’uomo delle due?» chiese Nicola, mal celando le risate.

Usare la parola “Lesbica” ancora nella seconda metà degli anni novanta non era facile, la parola “Bisessuale” era praticamente sconosciuta a quasi tutti quelli che conoscevo.

E persino Margot non l’aveva mai usata quando parlava di Anna.

Io avevo cercato di capire il punto di vista di Margot, il fatto che Anna fosse sua amica, ma quello che mi era rimasto era che Anna fosse una specie di troia con qualche giochetto in più nell’arsenale della sessualità.

Una ragazza che saltava da un maschio a un altro con una facilità del genere era una troia.

Non esistevano altre parole per definirla, per quanto ne sapevo all’epoca.

Le lesbiche, nella nostra mente, erano degli esseri nati incidentamente femmine, ma che avevano caratteristiche estetiche maschili (poco seno, capelli portati corti, felpe e jeans larghi).

Si diceva che fosse lesbica la figlia di uno di quelli che aveva la bancarella della frutta al mercato, dato che lei aiutava spostando cassette di mele come se fosse Bud Spencer.

Le persone bisessuali, ve lo giuro, praticamente non esistevano per noi.

Nel mio mondo che trasudava insofferenza per ciò che non era “normale”, Anna era stata la prima ragazza che avevo saputo darsi questo appellativo, ma a me rimaneva l’idea che fosse una affamata di sesso e basta, quindi una troia, il discorso filava in pieno.

O almeno pensavo.

«Sentite» li ripresi, «al posto di dire cazzate, dopo che ho staccato siete a ballare da qualche parte o andate da qualche parte a fare i froci, per rimanere in argomento?».

«Stai attento a usare quella parola con me, camerierino» subito replicò Giancarlo «Le lesbiche possono anche andare bene a voi, ma i froci li brucerei tutti».

«Dillo a me, a lavorare in certi ristoranti a Milano Marittima ne trovi quasi di continuo» rivelai, come se fosse il quarto segreto di Fatima.

Ed era iniziata una specie di piccolo elenco di posti e modalità in cui gli omosessuali si palesavano, brutalmente concluso da Giancarlo che aveva detto «Peggio per loro se si fanno vedere nella loro frociaggine, potrei “dimenticare” di andare a salvarli se rischiano di affogare».

«Senti, Baywatch» gli chiesi, «sto ancora aspettando che tu mi dica dove andate a ballare dopo».

E così, dopo essere riuscito a liberarmi dalla mia serata come cameriere, ero arrivato davanti al Maskenada.

Nico e Giancarlo dovevano essere dentro già da un’oretta, ma non era necessario che li vedessi per forza, o meglio, di Giancarlo me ne fregava il giusto, Nicola invece conosceva un paio di baristi che ci avrebbero fatto bere gratis.

Invece beccai il primo praticamente subito, scocciatissimo, e il secondo non sembrava molto più sereno.

«Che avete combinato?» chiesi loro.

«Dai, andiamo al bar che cambiamo due consumazioni» mi rispose Nico, prendendomi sottobraccio e lasciando Giancarlo nero, su un divanetto.

Non fece tempo a fare quattro metri che sbottò.

«Mai, mai, mai. Mai più. Ricordamelo in eterno: mai più ascoltare lui, ok?».

«Ha insistito lui per venire qua?» chiesi.

«Certo, ovviamente, a me non piacciono i posti con tutta sta marmaglia finta fighetta. Ma mister Giancarlo doveva assolutamente vedere una che, dai, lasciamo stare».

«Ha preso picche».

«Certo, cazzo! Certo che ha preso picche! Questa s’è appena lasciata, è normale che ancora ci pensa e non ci pensa».

«Tu grande esperto, dovevi dargli qualche consiglio».

«Ma scherzerai. Poi a me le rosse così accese non mi piacciono, mi sanno di falso» poi ci aveva pensato su, «provaci te, sei la persona adatta».

«In che senso?» mi misi sulla difensiva.

«Che così ti passi la serata. Hai lavorato tutte queste ore, povero cocco, avrai bisogno di svagarti. Lei deve svagarsi perchè è da poco single, te devi svagarti dal lavoro. Perfetto» e dopo aver sorriso, aggiunse «E poi a quell’idiota starebbe come una camicia nuova che te la scopassi te».

«Sarà, ma stasera non avevo nemmeno tutta questa voglia di dar su a uno scarto di Ginko» replicai, più che altro pensando che Giancarlo se la sarebbe presa, ed era estremamente pesante quando se la prendeva.

«Stai diventando proprio un catorcio d’uomo. Tra qualche settimana ti ritroverai a guardare Sanremo sul divano, a commentare i cantanti in gara. A telefonare per mandare il voto, tipo ai Jalisse».

«Questo è un colpo basso, e lo sai».

«E allora, che ti frega. Provaci. Tanto lo sai che se le vai a genio, ex o non ex, te la dà» e poi mi guardò aggiungendo, ironico «Non sarà mica che ti preoccupi su chi ti aspetta a casa in cameretta?».

«Ma piantala, e chi sarebbe ‘sta tipa?».
Nico me la indicò, una tipa dai capelli rosso fuoco, assieme a un paio di amiche già allegre.

Non ci mettemmo molto a incrociare lo sguardo, e pur non morendo dalla voglia di darle addosso, me la lavorai un po’, pensando che in fondo, un po’ di divertimento dopo una serata di lavoro, non sarebbe stato male.

Quando mi si strusciò addosso senza mezzi termini, quasi mi stupii e feci la prova del nove appoggiandole una mano su un fianco e facendomi due passi indietro.

Nico ridendo come un matto, disse qualcosa come «Che fai, scappi?».

Lei, come da manuale, non aveva mollato la presa, facendo un rapido movimento per sistemarsi il vestitino ma in realtà cercando di far uscire le tette qualche altro centimetro.

Non ci volle più di uno sguardo per vederla riavvicinarsi, prendermi l’altra mano e portarsela al culo.

Vi ci vorrei vedere, con due occhi del genere a guardarvi, e una mano che spinge la vostra sulle rotondità del suo culo.

La limonai pesante, pensando che un esordio del genere poteva solo migliorare.

E quando mi mise la mano sul pacco, pensai che s’era fatto il momento di fare un salto al bagno.

Ne voleva, non c’erano dubbi.

Fu una scopata nemmeno tanto veloce, dentro al bagno lei ebbe qualche titubanza, stette un sacco con la mia erezione in mano, quasi indecisa sul da farsi.

Quando finimmo, mi chiese se mi andava di uscire non nello stesso momento, e a me era stato bene: in fondo non mi faceva impazzire l’idea di essere beccato da qualche conoscente a scopare con una semisconosciuta dentro al cesso di una discoteca.

Che poi la gente parla, e di casini ne avevo avuti a sufficienza.

Uscii, ma non c’erano facce conosciute.

Sospiro di sollievo quasi.

A mio modo di vedere, avevo compiuto finalmente il delitto perfetto.

Pensavo che Margot non l’avrebbe mai saputo, come altre cose che avevo fatto.

Ma quella era la prima così strong che ero convinto potesse passare veramente sotto silenzio.

Mai avrei immaginato che mi avesse seguito, e che poco più in là avesse provato a farsi una sveltina con un barista, senza avere il coraggio di portare a termine la missione.

Mai avrei immaginato che Margot avesse un angolo di vita che non mi rivelava.

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