~𝑅𝑖𝑐𝑐𝑎𝑟𝑑𝑜.~
Il fatto è che era veramente già finito tutto, quando quelle tre idiote piombarono nella stanza di Margot a starnazzare che io avevo tradito, tradito e tradito.
Come se fossero loro le sentinelle di quel cazzo di rapporto che non poteva essere gestito da noi.
Trattavano Margot come una sorellina scema, da controllare per evitare che cadesse nel fiume o si folgorasse infilando le dita nella presa della duecentoventi.
E trattavano me come la bestia infame che non meritava quel fiorellino.
Ma che cosa volevano?! In base a come erano girate, Margot per loro poteva essere una stupida palla persa oppure la cosa più importante del mondo.
La differenza la facevo io: se non c’ero la infamavano, se ero nei paraggi la difendevano con unghie e denti, dipingendola come una vittima.
Quella troia di Monica era alle spalle, già quasi dimenticata.
Un lavoro da cameriere già partito, che mi consentiva di avere due spicci in più e non mi costringeva ad avere discussioni con i miei a ogni pasto.
Vedevo Margot per un quantitativo di ore che mi sembrava più che ragionevole. Scopavamo o ci rilassavamo, il tempo ci passava bene, o almeno a me dava l’idea di passare bene, senza sussulti, senza casini.
Non era amore? Non lo so. Era un tempo sospeso, dove il nostro rapporto continuava a navigare tranquillo, e soprattutto dove nessuno mi rompeva le palle.
Dove non si litigava, non si era gelosi, non ci si metteva i bastoni tra le ruote per cazzate legate alla merda che si portava dietro ogni sacrosanto rapporto sentimentale stretto di cui ero stato testimone nei miei anni da adolescente.
Molti miei amici avevano avuto rapporti sentimentali più o meno profondi.
Partivano titubanti, diventavano appassionati e totalizzanti tanto che li vedevi scomparire per uno o più mesi perchè esisteva solo la loro “lei” e poi partivano le litigate, li vedevi rispuntare al bar chiedendo cosa facevamo sabato, e poi scoprivi che erano in crisi o in pausa e dopo poco si lasciavano.
Solo noi mantenevamo quella giusta distanza che ci permetteva di non litigare mai veramente.
Certo che litigavamo, e che io pensavo spesso di lasciarla per provare cose nuove, ma poi tornavo sui miei passi, ed eravamo sempre a posto.
Sarebbe andata così anche quella volta se non fossero arrivate quelle tre stronze.
Mi scusai, ovviamente, mi scusai profondamente, e lo feci perchè credevo che fosse giusto farlo.
Forse, se fosse successo mentre ancora mi scopavo Monica, avrei detto qualcosa come «Sai una roba, Margot? Alla fine meglio così, meglio non vedersi più».
Ma era successo lontano da quei momenti, e così chiesi scusa, lo feci con un trasporto che non credevo potessi mettere in una fase come quella e per diversi attimi pensai che potesse prendere sul serio quello starnazzare, che potesse lasciarmi a lei.
«Mi avevi convinto al "senti"» mi disse, «Ti amo da morire Ricky, lo sai».
Dovevo dirle «Ti amo»? Si, avrei dovuto dirlo, ma non sarebbe suonato troppo opportunista dirlo proprio in quel momento? Non l’avevo mai detto e l’avrei dovuto dire proprio dopo che lei aveva scoperto le mie scopate clandestine di nessun valore ma pur sempre scopate? No, non era la miglior soluzione, assolutamente.
Sarebbe stato come voler mettere una pezza.
Mi limitai a baciarla, a dirle che era importante. Non scopammo nemmeno, ci limitammo a coccole, era giusto così.
In quel momento la priorità era riportare il rapporto a prima di quel fattaccio, e nei giorni successivi accadde esattamente quello: tornammo pian piano a essere i due di prima, sebbene il tempo fosse quello che era.
Il mio lavoro era in un pub di Milano Marittima, mi occupava tutte le sere tranne il lunedì, non era leggero ma era pagato abbastanza bene, e mi consentì di capire alcune cose interessanti che mi permisero di vedere il rapporto tra me e Margot con una luce diversa.
Daniela, che era entrata urlando nella camera di Margot, era stata lasciata da Marco. Lei faceva la paladina delle donne, lui l’aveva presto rimpiazzata con una ragazza parecchio figa, che qualcuno diceva facesse la cubista al Pineta.
Probabilmente era solo una diceria, ma il fisico ce l’aveva, e anche alla grande.
Marco aveva fatto l’upgrade passando a lei. Daniela era una bella, non lo metto in dubbio, ma la tipa nuova era meglio.
Avevo sempre pensato che lui fosse un idiota. Era un trafficone, uno con amici loschi a volte parecchio più grandi di lui, che vedeva gente in angoli bui dei parchi o nei parcheggi vuoti della zona artigianale.
Eppure lui girava con una BMW serie 3 e io chiedevo in prestito la macchina di mia mamma.
Lui lasciava Daniela per mettersi con delle fighe da urlo.
Lui passava ore in giro a cazzeggiare, e io facevo il cameriere.
****
Me ne resi conto verso la fine di gennaio.
Dopo quasi un mese di lavoro ero molto stanco, vedevo Margot per fare sesso e sentirmi fare domande futili su come andasse il lavoro e chi incontrassi al locale.
Un paio di volte venne al locale con le amiche a bere qualcosa, e per tutta la sera tenne una espressione di disagio.
Era ovvio come fosse andata: l’avevano convinta ad andare a dare un’occhiata se stessi facendo o meno l’idiota con le tipe, per controllarmi.
Ma lei non era come loro, era meglio.
E poi sinceramente non era posto per trovarsi una, era più facile trovarla andando a ballare.
Qualche volta andai anche, ma ero troppo stanco per avventurarmi nel dare addosso alle ragazze nonostante i miei amici spingessero perché lo facessi.
Per loro, Margot mi aveva perdonato a parole, ma erano sicuri che le tipe, vendicative com’erano, non avrebbero mai perdonato del tutto, e io sarei stato costretto a una posizione di subalternità.
«Ti sei fatto beccare e adesso se ci vuoi stare di nuovo con lei, sarai sempre uno scalino sotto, perché hai tradito. Tanto lo sai che è così» mi disse Nicola, con piglio sicuro.
Mi ero scottato, era vero, ma in fondo pensavo che non fosse come la diceva lui, che si potesse rimediare, che Margot era cotta di me, ci sarebbe passata sopra.
E poi ci fu una cosa che mi mise molto di malumore: Filippo venne un paio di volte al pub in compagnia di Anna.
Sì, esatto, l’amica di Margot, quella che poteva aprirci una voliera con tutti gli uccelli che aveva preso nella sua vita.
Avevano l’aria di fare i piccioncini, non in maniera palese, ma nemmeno tanto velata.
«Filo, ma ti vedi con Anna seriamente?» gli chiesi, un pomeriggio in cui lo incontrai mentre usciva da una tabaccheria.
«Mhm, si dai. Mi piace, è una sportiva, non si fa tanti problemi».
«Ci credo, è una mezza vacca» replicai quasi scocciato.
Filippo era tutto sommato ingenuo, e non aveva moltissime esperienze. Era quello che più spesso si faceva portare a spasso nei pochi rapporti che aveva avuto.
«Mi ha cercato lei, sono tranquillo. Poi è stata abbastanza onesta nel dirmi tutto. Ma lo sai che non ho molti problemi a riguardo» mi disse, tranquillo.
Filo Massari aveva avuto una storia con una ragazza che prima aveva detto di essere lesbica e poi era stata con lui correggendo il tiro e dicendo che era bisex.
All’epoca ero fortemente convinto che le ragazze bisex fossero semplicemente delle ragazze molto troie.
Evidentemente il buon Filippo, pensavo, fa il ragazzo tranquillo ma il genere Maialona gli piaceva se andava così liscio con Anna Double Face.
«Buon per te, ma occhio al cesto di lumache».
«Pensa per te. Riky, di Anna sai troppo poco per giudicarla. E poi, è più facile che finisca male a te, sinceramente».
«Cosa intendi?» gli chiesi, molto infastidito da una replica fuori luogo.
Mi guardò con aria ironica.
«Margot ti terrebbe su il cazzo mentre le scopi la migliore amica, per quanto è cucinata di te. E tu che fai? Ci fai sesso per riempirti il tempo che non stai al bar o non scopi con la prima che passa a ballare. La dai per scontata» mi disse, poi fece una pausa mettendo su un ghigno quasi malefico, «Ma prima o poi lei si caverà il prosciutto dagli occhi, e ti brucerai».
Massari, che ciondolava per la città facendo finta di fare l’universitario e strimpellando con quattro coglioni come lui, che voleva farmi la morale.
«Quante cazzate Filo, scopati la tua mezza lesbica e non rompermi le palle se devi dire ‘ste cazzate».
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