~𝑅𝑖𝑐𝑐𝑎𝑟𝑑𝑜.~




La prima volta che facemmo sesso fu un sacco strana.


Prima di farlo c’era stato un momento di tensione incredibile. Litigammo perché dissi che dovevo andare a giocare con i miei amici, dopo che avevo passato un’ora da lei a dormicchiare guardando la TV.

Si, non ero stato proprio irreprensibile, ma ve l’ho detto, ero stanco.

La sera prima, peraltro, ero stato a ballare nonostante fosse un giorno feriale.

Eravamo andati al Pineta.

Mi ci aveva trascinato Nicola perché una tipa che veniva in spiaggia nel suo bagno, gli aveva chiesto di trovarle magari un ingresso vantaggioso. Lui aveva capito il messaggio subliminale ma gli serviva qualcuno che tenesse a bada le amiche di lei. E aveva chiamato me.

«Tanto, cosa te ne frega? La tua tipa manco lo saprà» mi aveva detto, convincendomi.

C'ero andato immaginando un gruppo di scemette bolognesi affascinate dal club d’alto livello di Milano Marittima.

Si era presentata invece la tipa che puntava lui e una sola amica, sui venticinque, che aveva una insana voglia del cazzo di riviera.

Mi fece gli occhi da gatta tutta la sera, anche se non era il mio tipo: una finta bionda ostentata, pitturata pesantemente di fondotinta extradurata.

Nicola in poco tempo era sparito con la tizia che puntava, lasciandomi in balia della belva che aveva iniziato a strusciarsi contro di me.

Trascinandomi a ballare, sfregando il culo sul mio pacco neanche fossi la lampada di Aladino. 

Era il delitto perfetto: la tizia che abita a centinaia di chilometri che ti chiede di scoparla in una discoteca dove nessuno sa nemmeno chi sei, mentre la tua tipa è a casa a dormire perchè il giorno dopo ha, dio santo, scuola.

Avevo già una tetta in mano quando avevo lasciato stare. Se scopavo quella, lei sarebbe ritornata tutta felice al paese suo, magari senza nemmeno ricordarsi il mio nome.

Avevo deciso di desistere quando mi aveva chiamato “Roby” e non “Riky”. Era stato strano rendersi conto che mi stava usando.

Probabilmente a cento miei conoscenti su cento, non gliene sarebbe fregato nulla di farsi usare.

Avrebbero scopato, la tizia pareva anche piuttosto esperta nel settore. Sarebbe stato un divertimento di una sera, come farsi due giri sulle montagne russe a Mirabilandia, saltando la fila.

Mi ero chiesto che merda avevo nel cervello a mollarla lì, dicendo che non stavo bene.

«Devo andare a sboccare, ho bevuto troppo» era stata la mia scusa bieca. Mi ero allontanato di dieci passi, iniziando a pensare a una scopata lasciata senza motivo, a Margot, alle bugie, a Riky, a Roby.

E mi era venuto veramente da sboccare, così ero andato veramente a casa. E a casa non mi ero sentito bene per nulla, facendo conoscenza con qualcosa che ancora non conoscevo.

Era il “senso di colpa”.




****



Il pomeriggio dopo ero uno straccio. Avevo dormito pochissimo, mia madre mi aveva sentito rotolarmi lungamente nel letto e alzarmi mille volte, e mi aveva fatto un interrogatorio che mi aveva prosciugato di energie mentali.

E quando mi sentii con Margot, mi chiese di passare da lei.

Mi addormentai mentre la coccolavo, e quando mi ripresi da quella specie di pisolino, arrivarono i guai: avevo sognato proprio lei che mi guardava con aria delusa, come se fosse la giudice che decideva se mi stavo comportando bene nella vita.

Ecco, il motivo del “senso di colpa”:

Margot che mi guardava come se fossi una delusione, nonostante fossi lì con lei, le dedicassi del tempo.

E questo mi fece un po’ perdere la bussola. 

«Accidenti, devo andare.» smaniai.

«Ma come devi andare?» mi chiese, sbalordita.

«Sì, a calcetto. È forse un problema?» le chiesi.

Mi pesava fare quella domanda perchè speravo che capisse da sola che non c’era da tirare la corda.

«Se è un problema? Sì, Riccardo, è un po’ un problema.» mi rispose, piantandosi davanti a me.

I miei peggiori incubi si stavano materializzando.

Avere una tipa che prendeva le decisioni per me.

«Come prego?» le diedi una seconda chance.

«Quando il calcetto, quando il bar, quando gli amici, dimmi Riccardo io e te stiamo insieme per cosa? Tanto per andare a dire alla gente che stai con qualcuno?»

«Ma che cazzo dici, Margot?» abbaiai.

E da quel momento iniziarono i dieci minuti che mi fecero capire quanto lei fosse totalmente nel pallone alla sola idea di lasciarmi.

Non diede di matto, non fece scene di gelosia.

Semplicemente ebbe una specie di attacco di ansia o qualcosa del genere, iniziò a fare fatica a respirare nel preciso istante nel quale le dissi di lasciarmi se avesse avuto da lamentarsi così tanto, sostanzialmente.

Era già successo qualche episodio simile al mare, con persone prese da cali di zuccheri o colpi di sole. Così non mi feci prendere dal panico vedendola in difficoltà persino a respirare.

Si, cazzo, non ero tranquillo, quello no, ma non sono mai stato uno che perdeva il sangue freddo.

La feci calmare, la feci respirare, perché spesso questo poteva bastare. 

E poi ero pur sempre il suo moroso, bastava trovare le parole giuste con cui prenderla, così iniziai con quello che aveva creato tutto quel casino. 

«Calma Margot. Non ti lascio, ora basta.» dissi, rimandando a più tardi un ragionamento serio su quanto ci fosse di vero in quella frase.

Bastò quello, non solo per calmarla, ma per accenderla improvvisamente, per farle dire addirittura che mi amava.

Non c’era bisogno che me lo dicesse, lo stava dicendo solo perché avevo risolto in quel momento il suo attacco. 

Era talmente accesa che, nello slancio per non avermi perso, mi disse che voleva fare sesso.

E io non dissi di no, perchè avrei dovuto?

Scopammo come era giusto fare, perché glielo chiesi ben due volte se fosse sicura, e poi perchè avevo lasciato passare buone mani pur di tenere la sua carta in mano.

Vergine, Margot era vergine.

Lo sospettavo ma non ne ero sicuro.

Forse era per quello che avevo tenuto in mano la sua carta? Non lo so, forse sì, forse mi stuzzicava l’idea di essere il suo primo, essere non solo il ragazzo dalle cui labbra pendeva, ma anche il ragazzo che le avrebbe fatto assaggiare per primo il sesso.

E poi mi impegnai anche in quella scopata.

Non feci una roba tirata via, feci di tutto perché le piacesse.

Mi aveva immensamente compiaciuto quel suo slancio verso di me, il fatto che fosse bastato dirle «Ok rimaniamo assieme» per farla sciogliere e concedermi per la prima volta tutto il suo corpo e non solo dei bacetti.

E poi, tra l’altro, non avrei più dovuto evitare l’argomento “sesso” con i miei simpatici amici di merda.

E per concludere, questo me lo ricordo, pensai che sarebbe stato più facile mollarla se il rapporto fosse stato consumato.

Mollarla senza averci fatto sesso, da sempre, quando si parlava tra noi, suonava come una delusione, come qualcosa lasciata a metà. E il sospetto che ci fosse qualcosa sotto. E io non volevo.

Inoltre mi riuscì la magia di farla venire al primo rapporto sessuale, che non è una cosa così scontata, belli miei.

Il mio amor proprio da maschio segnò vette molto alte in quei momenti, mentre lei gemeva sotto di me. Mi lasciai andare all’orgasmo proprio perchè mi sembrava una cosa molto soddisfacente farlo esattamente in quel momento.

Riempii un sacco il preservativo. Si vede che ero particolarmente carico, e mentre ancora pensavo a quanto era riuscita bene quella prima volta con lei, Margot mi ripetè quella storia dell’amore.

Potevo risponderle «Sì, Margot, ti amo tanto anche io», non mi sarebbe costato molto e l’avevo detto anche ad altre, anche con leggerezza. 

Io mica mi ero mai innamorato veramente di nessuna.

Sì, forse era successo in seconda media, ma era più una cotta che amore.

Dire «Ti amo», da quando ero cresciuto, era solo uno dei passaggi per farsela dare prima, l’amore era una cosa che non ci riguardava.

Che non mi riguardava.

Non parlavamo mai di amore, quando mai un mio amico mi chiedeva «Ma sei innamorato?».

E nonostante fosse la via più semplice, non glielo dissi, me lo tenni per me: nella nostra coppia un po’ pericolante, era più che sufficiente una persona che diceva cose più grandi di noi come «Ti amo».

Mi limitai ad accarezzarla e pensare che quella coppia fosse veramente un gran casino, ed io non ero abituato a quel tipo di casini.

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