~𝑅𝑖𝑐𝑐𝑎𝑟𝑑𝑜.~



Ero veramente cotto.

Avevo fatto tardi per l’appuntamento con Margot e il giorno dopo avevo lavorato come un pazzo. Non avevo avuto un solo minuto di respiro, stretto tra le richieste di clienti e quelle dei padroni e dei colleghi.

Compresa quella stronza di Sofia che mi guardava come se le avessi buttato sotto il gatto, piuttosto che uscire con una sua amica. Una uscita assolutamente innocua, peraltro.

Ingoiai anche quel rospo, perché volevo vivere sereno, specialmente sul lavoro. Mi ero detto che non dovevo discutere con quella, era tempo perso e sicuramente lei avrebbe fatto di tutto per farmi discutere con Margot, parlando male di me, del mio carattere, magari inventandosi pure flirt con turiste, pur di eliminarmi dai giochi.

E così, vuoi o non vuoi, arrivò la fine di quella giornata. Stavo per accendere lo scooter per tornarmene a casa quando fui incantonato da Nicolino Fancazzista. Veniva avanti tutto impettito con i suoi capelli biondarelli perfettamente ordinati, quando io puzzavo di sudore e bestemmie.

«Oh Riky, ieri sera sei uscito con Occhiblu?» aprì, senza nemmeno salutare.

«Sì, ma una cosa tranquilla».

«Quindi non l’hai scopata».

«E tu, ti sei fatto le seghe ieri sera, vero?» replicai sulla difensiva, cercando di evitare che si allargasse «E poi se le scopi subito si stufano».

Sul lato delle femmine, Nicola un po’ mi metteva in soggezione perché era bravo con le tipe. Ci sapeva fare. Non lo avevo mai visto farsi mettere i piedi in testa da nessuna. All’epoca potevo considerarlo una sorta di modello.

«Dipende come le scopi, pistolino» ridacchiò lui, poi proseguì «Senti, vado a prendermi qualcosa giù dalla piadinara, ma volevo sentire da te due cose a riguardo».

«Ti devi fare le seghe pensando a quella con cui esco?» domandai, diffidente per come stava andando quel dialogo.

«No, idiota, avevo fatto un pensierino alla sua amica, quella rossa che sta con lo scimmione grande».

«Uh, che brutto abbinamento. Lui è un coglione. Lascialo stare, ti metti nei casini» avevo risposto.

Lo pensavo veramente. Marco aveva l’aria di essere il classico tipo a cui piaceva attaccar briga. Almeno un paio di volte avevo lasciato cadere commenti pessimi. Quando c’erano sia la Sofy che lui, erano momenti complicati per me.

«Vabbè ma se scopiamo mica lui deve per forza venire a saperlo» ridacchiò Nico.

Ci avviammo verso la piadinara. Io spingevo lo scooter con un piede, appoggiato mollemente al manubrio, lui andava con le sue gambe. Mi parlò di quanto gli piaceva l’idea di andare con Daniela e, nello stesso tempo, farla sotto il naso a Marco. Quando fummo al chiosco, incrociammo Filippo e Giancarlo.

«Oh, Riky, ma chi avevi a bordo ieri sera? Le hai messo il casco in testa perché ti vergognavi?» mi accolse quest’ultimo, da vero amico.

«Voi quando distribuivano la simpatia, eravate in fila per avere il cazzo piccolo» li apostrofai, tirando dentro anche Nicola che ridacchiava alla battuta.

«No dai, serio, chi era?» insistette.

«È una che viene al mio bagno. Una amica della Sofy, la barista stronzetta».

«Uh, madonna, la Sofy, condoglianze» replicò Filippo, facendo la faccia dispiaciuta, «lei è veramente una gran cagacazzo. Spero che la sua amica non sia così».

«No, no, tutt’altro, è una tranquilla».

«L’hai scopata?» chiese Giancarlo senza peli sulla lingua.

«No Gian, altrimenti tua sorella si ingelosisce».

«Te l’ha preso in bocca per lo meno?» rincarò senza fare una piega.

«Ehi, non avevo pensato a questa ipotesi» aggiunse Nicola, deluso per essere stato colto in fallo.

«Che amici del cazzo. Sentite: l’ho limonata, le ho palpato un po' il culo in lungo e in largo e fine. Tanto si vede che è cucinata già del tutto. Avrò tempo di scoparla senza doverlo fare per forza in spiaggia che poi arriva il primo marocchino e ci porta via portafoglio, borsetta e tutto. E poi facciamo pure la figura dei coglioni».

E a dire il vero lo pensavo veramente. Andare a fare sesso in spiaggia, o anche a limonare con un po’ di foga, era rischioso: c’era gentaglia che girava per l’arenile portando via gli effetti personali delle coppiette che si appartavano. Non era infrequente trovare portafogli svuotati malamente di contante, nei pressi della passerella.

«Che saggezza il nostro Riccardino» ridacchiò Filippo, «comunque hai fatto bene. Lei non è una turista, non hai l’urgenza di spanarle i buchi prima che riparta. Questa abita qui, prenditi il tuo tempo, magari riesce a spuntarti-».

«È quello che dico io» replicai senza farlo nemmeno finire, «Non ho mica così fretta, in spiaggia tanto lo sai che qualche tipina da seguire c’è sempre, poi la prossima settimana arriva giù la Rigoni».

Nicola si irrigidì, avevo colpito nel segno.

«La Rigoni lasciala stare, la Rigoni è mia e non la puoi toccare nemmeno per sbaglio. La Rigoni ragazzi, giuro che me la faccio quest’anno, giuro come è vero che mi chiamo Nicola. Ve lo giuro».

«Nico, la stessa frase l’hai detta anche l’anno scorso e l'anno ancora prima eppure hai portato a casa il nulla cosmico» lo punzecchiai di nuovo.

Sapevo che sarebbe finita a urla in faccia se continuavo così.
Filo lo sapeva quanto me, ed era finito a fare da paciere.

«Non fare lo scemo Riky dai. Nicola su sta cosa è serio»

«Per forza» aggiunse Giancarlo, «la E gli manca nell’alfabeto delle scopate».

L’alfabeto delle scopate era una cosa che Nicola aveva preso sul serio. Teneva conto di tutti i nomi delle tizie con cui andava, divise per lettera, e puntava a concludere l’alfabeto. Gli mancavano alcune lettere molto ostiche come la O, ma anche, stranamente la E. E la Rigoni di nome faceva Elena. Ecco perché il suo accanimento.

«Scusa Nic, non ti romperò più le palle a riguardo» mi scusai, con un finto dispiacere.

«Va bene, va bene. Sei perdonato».

Ero riuscito comunque nell’intento di spostare l’attenzione dal mio appuntamento della sera prima. Ancora dovevo ben capire cosa significava per me quella cosa.
Margot mi piaceva, ed ero veramente convinto che fosse cotta di me. Volevo continuare a vederla e volevo continuare a tenerle le mani strette addosso.

Ma non ero a mio completo agio con i miei amici nel parlare di questa storia perché continuavano a sottolineare gli aspetti fisici del rapporto. Anzi, a ben vedere nemmeno gli aspetti fisici, quanto proprio gli aspetti sessuali.

Non era colpa loro, era così, era abitudine metterla giù dal punto di vista del sesso. Era normale chiedere a un amico cosa ci aveva fatto con una ragazza, ed era normale aspettarsi che ci avesse fatto per lo meno qualcosa. Perché erano turiste, erano qui per divertirsi, erano qui per provare esperienze nuove.

«Bon, ragazzi, io vado a casa, sono in piedi dalle sette di stamattina e mi fumano i piedi, statemi bene. Mica come voi che non fate nulla dalla mattina alla sera».

«Io studio» disse Filippo, che effettivamente si era iscritto all’università dopo aver finito l’ITIS, ma non seguiva quasi nessuna lezione e spesso, quando beveva una birra in più, ammetteva senza problemi di essersi iscritto a Scienze dell’Informazione soprattutto per rimandare l’anno di leva militare.

«Io curo le pubbliche relazioni del mio stabilimento» disse Nicola, il cui padre aveva uno stabilimento balneare poco più in là di dove sgobbavo io. Ma lui non ci lavorava quasi mai, stava in giro ad intortare ragazze, possibilmente turiste.

«E io sono Gigi D’Agostino» replicai, accendendo lo scooter e ripartendo pigramente per casa mia.

Qualche attimo dopo mi si affiancò Filo in bici.

«Sei bellino così» mi disse.

Lo guardai storto, anche perché non capivo cosa intendesse, ma mi limitai a replicare con un classico «Cazzo vuoi?» e un mezzo sorriso.

«Lei ti piace, non ci stai andando per scoparla. E fai bene».

«Tu cosa ne sai?».

«Non lo so, infatti. Vivitela tu, ‘sta storia» aggiunse, girando a sinistra.

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