Tristis, Tristis
One Shot
Parole: 1000
I RAGAZZI IN QUESTA STORIA SONO ENTRAMBI MAGGIORENNI!!
🪻
Hai detto che mi avresti raggiunto.
Hai detto che mi avresti sorriso ancora, che avresti guardato il Sole con me e ti saresti addormentato quando la Luna sarebbe sparita dal cielo. Hai detto che mi avresti protetto, che mi avresti abbracciato con quelle tue braccia spesse, che non avremmo mai più visto una pistola in vita nostra, che avremmo baciato il tramonto insieme e intrappolato il cielo nelle nostre tasche.
Mi hai mentito, Ash?
Perché mi hai mentito?
Continuo a chiedermelo. Continuo a guardare la lettera che mi è arrivata ieri mattina e la sola cosa che riesco a fare è guardare la data. Due giorni. Due giorni in cui io ho sorriso alla mattina e riso alla notte. Due giorni in cui immagino il momento in cui ti avrei rivisto, quando le nostre dita si sarebbero toccate di nuovo, quando ti avrei detto che tu per me significavi.
Significavi più di quanto fossi disposto ad ammettere, ma per te avrei fatto questo sforzo Ash.
Ti parlai della mia prima gara una volta. Tu mi guardavi, sorridevi come se avessi avuto davanti il regalo più bello del mondo, ed io ero scioccamente felice. Mi bastavano i tuoi occhi addosso per sentire di poter vincere contro ogni mostro, di poter combattere ogni guerra ci si sarebbe parata davanti. Mi sbagliavo, Ash. Non avrei dovuto ingoiare le parole che premevano per uscire, né trattenere quelle che di notte mi facevano battere il cuore allo stesso ritmo delle pale di un aereo in moto.
Mi sono chiesto solo dopo, che sarebbe accaduto se mi fossi finalmente deciso a lasciare da parte le mie paure e decretare la verità. Dirti quelle due paroline che sembravano bruciare in gola come lava.
Che cosa saremo stati ora, Ash? Quanto mi avresti sorriso ancora? Come mi avresti preso per mano nell’attraversare la strada? Quanto mi avresti amato?
Non lo so. Tutti questi interrogativi mi hanno logorato così tanto che ho passato la notte seduto sulla sedia del mio tavolo, con la lettera in mano e la testa fissa sull’inchiostro. Ho passato la notte a fissare le parole e sperare che improvvisamente cambiassero, che le lettere iniziassero a muoversi e variassero di significato. Ma non è accaduto. Nonostante io ci sperassi così tanto da sentire le dita tremare, quelle mi hanno sbeffeggiato con il loro ghigno beffardo e mi hanno strillato addosso la verità.
La verità, che mi ha colpito assieme ai primi raggi del Sole, alle quattro del mattino.
Tu sei morto.
Sei morto.
Morto, deceduto, defunto.
Sulla lettera, le parole suonano come grandi signorotti locali, quelli con i baffi e l’orologio nel taschino del gilè. Quelli che contano i minuti basandosi sul denaro che guadagnano e bevono vino nei calici di cristallo. Mi disgustano. Osservo le lettere, il loro colore nero, la scritta in grassoccio.
Il tuo nome.
Non mi sembra affatto appartenerti. È come se ti stesse troppo piccolo. Un nome che non calza al suo proprietario come una scarpetta alla sua principessa. Non ti sta sulle spalle, ce le hai avute sempre troppo ampie. Hai portato da solo fardelli che qualcuno di così piccolo non dovrebbe mai portare. Hai sempre tenuto le labbra cucite, Ash. Non so se fosse per la tua diffidenza o per scelta, ma non hai mai permesso a nessuno di entrarti nel cuore, figurati, sfiorarti l’anima.
Certi segreti, lo so, sono venuti via con te.
In una bara.
Mi dispiace così tanto, Ash. Capisci cosa intendo? È come se ti squarciassero qualcosa dentro. Una lama così affilata che ti taglia le ossa. È una katana, così spessa e tagliente che mi perfora anche il cervello, me lo manda in frantumi. Divento uno di quei pesci palla che boccheggiano e se ne stanno tranquilli nel loro fiumiciattolo, vivono senza preoccupazioni. Vorrei poter essere un pesce, Ash. Vorrei potermi gettare dalla finestra del salotto, - quella senza zanzariera, perché l’ho rotta con la mia goffaggine - e raggiungerti. Ti stringerei così forte.
Così forte che ti mancherebbe il fiato.
Vorrei ridarti il respiro, Ash. Privarmi dei miei battiti per dartene la metà. Non mi importa se sarà la mia vita a dimezzarsi; è meglio un’esistenza a metà, che una intera senza di te. Tu sei il mio cuore, Ash. Non c’è pena che non affronterei per poterti sorridere ancora un po'. Per avere il viaggio che volevamo fare insieme, per poter ottenere un po' di felicità. Giusto un pizzico. Perché c’è gente che vive tutta una vita felice e noi non ne possiamo avere neppure una briciola? Perché?
Perché Dio ci odia così tanto?
È quello che mi sono chiesto stamattina, mentre la consapevolezza mi faceva quasi sdraiare a terra. Sono stato a guardare il muro per quelle che sono state senza dubbio ore. Quando ho smesso, è stato perché hanno suonato alla porta. Non avrei neppure aperto se non fossero stati così insistenti.
Mi sono trascinato sino alla serratura, ho poggiato la mano sulla maniglia, non mi sono neanche pulito le guance sporche di lacrime. Ho schiuso la porta.
Il mio mondo si è rovesciato ancora, mi sembra di immaginare. Mi sembra di avere le allucinazioni, è quello che dico ad alta voce. Sbatto le palpebre, mi sorreggo allo stipite della porta, un palmo appoggiato al petto dove il mio cuore batte così forte da far male. Sei tu a scostarmi, mi chiedi il permesso, entri in casa mia.
«Ciao, Eiji.» dici.
Sei nel mio salotto, con la giacca di pelle nera, quella che ti sta come sulle spalle di un dio. Ciuffi dello stesso colore del Sole cadono sulla tua fronte nivea. Sei splendido come un tramonto, o un’alba. Parli, con quella voce che sa di cristallo e miele al contempo. Sorridi, muovi le mani nelle tasche e ti dondoli un po' sulle gambe.
Ed io rischio l’infarto.
«Ash…» biascicò. Mi sembra una maledetta visione.
Tu annuisci. Hai un ché di divertito nello sguardo, abbozzi una curva con le labbra.
«In persona, Eiji.»
Mi basta. Anche se fossi un fantasma, non mi importerebbe. Ti corro incontro, ti afferro tra le mie braccia, ti stringo così forte che mi vengono le vertigini. Piango, piango così tanto sulla tua spalla che mi appaiono chiazze rosse sotto gli occhi. Ma mi va bene, mi consoli tu, mi abbracci, mi respiri addosso.
E te lo dico.
Te lo dico in un sussurro, mentre tu quasi cadi all'indietro.
Ti amo, ti ho sempre amato.
Ancora di più oggi.
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