CAPITOLO 10
La Festa delle Divinità.
Un evento che ogni anno vedeva protagonista indiscussa Atlis e le varie Tribù che la abitavano: quel giorno, la città sembrava dipingersi di striscioni vari e colorati, le strade agghindarsi di fiori, riempirsi di profumi inebrianti, di vecchie storie di uomini e donne, ormai avanti negli anni, che ricordavano la loro gioventù, di grida gioiose sia dei grandi che dei piccini scalpitanti.
La mattina che anticipava il tutto era sempre così: caotica e viva, bruciante di trepidazione e gioia, linfa vitale che scorreva negli animi di coloro che operavano in armonia, seppur appartenenti a culti differenti; in fondo era l'essenza stessa della festa: la collaborazione di uomini e donne per qualcosa che andava ben oltre la comprensione umana.
E, come ogni anno, la sua Tribù, insieme a quella della Coccinella, collaborava nella rappresentazione della loro storia, delle loro origini, di ciò che erano e ciò che sarebbero sempre stati.
"Le storie servono a insegnare gli errori del passato, per correggerli nel presente e impedire che avvengano in futuro."
Era questo ciò che gli ripeteva suo padre: la Tribù della Tartaruga aveva il dovere di preservare la storia perché "Il passato non si può cambiare, Wayzz. Ma da esso, possiamo essere persone migliori"
Il suono di voci squillanti, passi scattanti, andirivieni di gente che si dava da fare per gli ultimi ritocchi giunse nitido all'interno delle mura del laboratorio; la luce proveniente da fuori entrò soffusamente all'interno, scorrendo delicatamente sulla parete vicina e sfiorando dolcemente alcuni libri, riposti a formare una pila, e qualche oggetto sparso qua e là lungo l'enorme tavolo da lavoro. Un silenzio quasi religioso che contrastava con il tripudio di voci e colori che si mescolavano senza alcun ordine, ma a lui andava bene così: Wayzz stirò le braccia verso l'alto, sentendo i muscoli tirare sotto la pelle e l'aria trattenuta uscire lentamente dal naso. Sentì la stanchezza mordergli le spalle nonostante la mattina si fosse rivelata poco produttiva: aveva medicato un'anziana, e disinfettato un ginocchio sbucciato di un bambino caduto per terra.
Niente che l'avesse occupato intensamente.
Eppure quella sensazione di debolezza, di irrisolutezza che lo attanagliava non intendeva abbandonarlo: abbassò lentamente le braccia, poggiando i propri gomiti sulla superficie scura mentre nel suo sguardo castano si leggeva la sua preoccupazione.
Il grimorio davanti a lui si presentava come un libro comune, almeno nella copertina, ma il vero problema si rivelava quando esso veniva aperto, svelando il tesoro che si celava all'interno: ogni pagina destinata ad una Divinità differente presentava tecniche di combattimento con le loro relative armi, abilità che un comune essere umano non poteva possedere, affiancati da quel cantico che ancora non era in grado di decifrare del tutto.
Espirò ancora una volta profondamente, passandosi una mano tra i capelli castani e massaggiandosi la cute, tenendo gli occhi rivolti alle pagine, quasi in un atteggiamento di sfida.
L'avrebbe scoperto in un modo o nell'altro quando il libro si sarebbe deciso a vuotare il sacco...
«Puoi stare zitto quanto vuoi ... capirò cosa celi.»
Doveva capire assolutamente il contenuto e i vari segreti che esso celasse e soprattutto, avrebbe dovuto avvertire Noroo al riguardo.
Solo allora si rese conto che stava parlando da solo con un libro e stava assumendo lo stesso atteggiamento di Tikki quando si metteva a parlare da sola con le cose quando non obbedivano al suo volere.
«A noi due!»
Ricordava la prima volta che aveva sentito quella storia: era seduto su una delle tante rocce sporgenti sul lago che, tranquillo e silenzioso nel suo movimento, specchiava il paesaggio che lo circondava, compreso il ponte completamente in pietra che lo sovrastava. Ricordava di essersi specchiato per un tempo che a lui parse infinito, insieme alla sua unica amica: le aveva confessato di non amare particolarmente il colore della sua veste, definendola color carciofo, tuttavia lei aveva sorriso ma non lo aveva deriso e come sempre, gli mostrò un lato diverso delle cose, il suo lato positivo.
«Wayzz, è il colore dei prati e delle foglie. È il colore della natura.»
È così che aveva definito il colore della sua tunica: il colore della natura.
Tikki gli raccontò quella storia, seduta con le gambe a penzoloni e i piedi che giocavano con l'acqua del fiume, schizzando pure se stessa.
Le aveva raccontato quella storia con cura, con dedizione, con passione: lo aveva visto quel luccichio nei suoi occhi blu, quello scintillio nascosto negli occhi di chi fosse coinvolto emotivamente.
E lui era rimasto così, fermo ad ascoltarla rapito.
«Siamo diversi da loro Tikki.»
«È vero! Siamo diversi. A noi è stato concessa la capacità di cambiare.» concluse sorridendo sinceramente.
La capacità di cambiare.
E fu impossibile per lui non pensare quanto e cosa avrebbe cambiato quel libro.
La porta cigolò avvisando l'entrata di qualcuno; Wayzz chiuse il libro con uno scatto veloce della mano, nascondendolo sotto altri volumi, affinché non desse nell'occhio tra i vari cumuli di testi che affollavano il piano da lavoro, facendo scivolare lo sguardo sulla figura davanti a lui.
«Plagg»
Plagg entrò senza troppe cerimonie, chiudendo la porta alle sue spalle; il silenzio, che fino a quel momento lo aveva trascinato in una concentrazione estenuante, fece spazio al suono dei passi lenti e sicuri di Plagg che avanzava verso il centro della stanza, con lo sguardo fisso su quello di Wayzz. E per la prima volta, il giovane seguace della Tartaruga lo vide con gli occhi di una certa Coccinella: un gatto dagli occhi verdi che scrutava la prossima preda, solo che lui non poteva rivelare quel segreto che vedeva coinvolte già due persone.
Wayzz sostenne lo sguardo fiero di Plagg, fermo al centro della stanza con qualcosa tra le mani, cercando di restare calmo, di non dare a vedere la sua irrequietudine, studiandone i movimenti: perché Plagg era uno dei tanti che non doveva sapere!
«Tikki mi ha incaricato di lasciarti questi.» disse Plagg mostrando il piccolo cesto di vimini, rompendo così quel silenzio diventato pesante.
Wayzz espirò lentamente, sentendo la sua anima alleggerita da un peso non indifferente: Plagg non aveva visto niente, per sua fortuna.
O per fortuna di Plagg si ritrovò a pensare.
Si alzò dall'enorme sgabello, superando il grande tavolo e poggiandosi contro di esso.
«Non è con te?» domandò Wayzz, notando l'assenza della ragazza.
«Pollen.»
Wayzz sorrise, scuotendo la testa lentamente e portando le mani sui fianchi.
«Chissà cosa stanno confabulando quelle due!» dichiarò seccamente Plagg, incrociando le braccia al petto. «Le donne. Che gran pettegole!»
«Si conoscono sin dall'infanzia. È normale che siano molto unite.»
«Hanno lo stesso carattere! Una ti lancia le scarpe e l'altra ti prende a frecciatine!» sbottò Plagg in una risposta sincera che fece sorridere Wayzz «Per non parlare dei vari pasticci che combina.»
Non poteva di certo dare torto a Plagg: conosceva bene Tikki, appuntandosi mentalmente tutte le volte che aveva combinato qualcosa nel laboratorio e non solo. Ricordava quando da piccola era caduta nel fiume solo per prendere un pesce con il risultato di ritrovarsi tutta bagnata e le mani vuote, oppure quando era entrata di nascosto nel quartiere della Farfalla, facendosi scoprire dalle serve di Noroo che avevano sorriso nonostante tutto, oppure quando aveva fasciato il dito e il polso di una signora per sbaglio facendo sorridere tutti i presenti, oppure quando era caduta di faccia davanti a Plagg, il quale non era riuscito nemmeno a trattenersi quando gli aveva raccontato della sua sbadataggine. Ma in ogni situazione, in ogni momento, Tikki sorrideva, sorrideva sempre e forse era proprio questa la sua forza: la capacità di sorridere e far sorridere chi le stava intorno.
«Oh, credimi Wayzz. Se sei riuscito a sopravvivere ad una catastrofe come Tikki, allora sei "corazzato" bene.»
«E no! Anche tu no.» esclamò il giovane con tono squillante, suscitando le risate di Plagg «Tikki sta facendo del male a tutti con queste battute!»
«Fortuna che i gatti hanno nove vite.»
La nottescese col suo mantello prezioso di stelle che adornavano il firmamento,spettatrici indiscusse di quello che di lì a poco sarebbe iniziato. La luna,alta e pallida, illuminava la piccola città sottostante immersa in una trepidanteattesa, fatta di luci, musiche e decorazioni festose realizzate con cura eminuzia di ogni piccolo particolare: i grandi nastri e le decorazioni florealipresenti ad ogni angolo delle strade, le bancarelle composte una accantoall'altra, il via vai di giovani che si lanciavano sguardi di complicità, ultimi ritocchi dei vari giochi organizzati con tanto di premiazione e infine i musicanti che rivedevano i loro dubbi su alcune melodie.
Era tutto pronto! Ognuno aveva fatto la sua parte, in un modo o nell'altro.
Ma adesso toccava a lei.
Pollen si lisciò con le mani l'abito che le fasciava il corpo snello e sinuoso, sentendolo liscio e delicato al tatto: stava tremando ancor prima di iniziare, e di certo non era per il freddo, facendo scivolare lo sguardo verso il luogo di iniziazione.
La Tribù dell'Ape avrebbe aperto la Festa con una danza cerimoniale.
Inspirò profondamente l'aria fresca dalle narici, riempiendosi i polmoni, nel vano tentativo di calmare quello stato di ansia che si stava facendo largo nel suo cuore.
Si aspettavano molto da lei, lo sapeva.
Poteva sentirli addosso quegli sguardi, quelle critiche se tutto fosse andato storto, quel passato che, ancora una volta, le ricordava quelle volte in cui era stata debole.
«Sono agitata.» disse Pollen con un filo di voce, quasi a ricordarlo a se stessa più che agli altri, racchiudendo la mano sinistra nella destra e adagiandole lentamente sul proprio petto.
«Non devi.»
«Per te è facile. Non hai mille occhi puntati su di te!»
Tikki diede uno sguardo veloce alla piazza che, lentamente stava raccogliendo i seguaci dei diversi culti delle Tribù: un arcobaleno di colori prigionieri tra le trame di cotone e di lino.
«Veramente sono molti di più.»
«Tikki!» esclamò Pollen, voltandosi verso di lei con un'espressione corrucciata, facendola ridere di gusto.
«Pollen. Sarai meravigliosa, come sempre.» cercò di rassicurarla «Ma se vuoi che riesca... devi fare una cosa soltanto.»
«Cosa?»
«Sorridi.» le disse Tikki «E se pensi di cedere... guardami.» concluse regalandole un sorriso.
Pollen abbassò lo sguardo imbarazzata, trovando particolarmente interessanti le sue mani e la punta dei piedi: ancora una volta, Tikki si era rivelata quell'amica insostituibile di cui non poteva fare a meno e per cui non aveva fatto mai nulla del genere, qualcosa che potesse ripagarla per tutto quel bene che lei ogni giorno le donava.
Alle sue spalle, il chiacchiericcio animato e agitato delle sue ancelle la fece voltare verso di loro e le fu chiaro che quella irrequietudine, che al momento la stava affliggendo, era chiaramente leggibile persino nelle loro espressioni e, in quanto loro padrona, doveva dar loro almeno un supporto morale: Pollen diede le spalle all'amica, dirigendosi verso le donne che l'avrebbero accompagnata in quel ballo, col cuore martellare nel petto e il respiro mancarle per l'emozione, ma c'era qualcos'altro che doveva fare.
Si fermò poco prima di raggiungere il gruppo e dopo aver preso un respiro, prese parola.
«Tikki» la chiamò con dolcezza, richiamando la sua attenzione «Come farei senza di te.» concluse regalandole un sorriso.
Tikki sgranò i suoi occhi, portandosi le mani all'altezza del petto, mentre le labbra si piegarono in un sorriso tiepido: a modo suo, Pollen le aveva detto di volerle bene e non c'era dono più bello che avesse potuto ricevere da lei.
«Non vedrai molto se resti qui.» fu la voce alle sue spalle, invitandola a voltarsi «A breve ci sarà il caos.»
«Sei venuto a vedere Pollen?»
Plagg annuì, prima di lasciar scivolare lo sguardo verso la piazza che andava via via riempiendosi.
«Se vogliamo vedere qualcosa... conosco il posto adatto.» disse con una nota di fierezza, ammiccando alla giovane.
Tikki lo tallonò, fidandosi delle parole e della sicurezza di Plagg: chi meglio di lui conosceva Atlis?
Chi meglio di un gatto nero dagli occhi verdi che scivolava tra la gente indisturbato, sotto quella luna pallida che lo dipingeva quasi come un randagio?
Tikki lo seguì, stando attenta a non scontrarsi con le persone, scusandosi di tanto in tanto per poter passare e tenere al tempo stesso il passo; da dietro la giovane poté notare le sue spalle larghe ma rilassate, le mani dentro le tasche dei pantaloni e l'andamento lento e sicuro, privo di qualsiasi incertezza, quasi come se tutto ciò che lo circondasse non lo toccasse affatto, scivolandogli addosso.
Persone ed eventi prigionieri del buio che portava con sé. Tra il nero dei suoi capelli, dei suoi abiti, della notte.
Plagg vestiva la notte, magnifica e buia, attenta e silenziosa.
E fu allora che capì: Plagg indossava una maschera, una maschera che celava qualcosa di molto delicato, un qualcosa che lo aveva spezzato in un certo qual modo, a tal punto da non voler ricordare o dal quale lui stesso voleva fuggire, quella spacconeria che lo caratterizzava sempre e quella solitudine che lo accompagnava costantemente nei giorni ne erano un chiaro segnale.
Plagg non parlava mai della sua storia, tanto meno a lei, ma tutte le volte che qualcosa tornava a galla, quasi a tormentarlo per l'ennesima volta, Plagg rifuggiva lo sguardo tentando di seppellire quello che doveva restare in qualche angolo remoto.
E ora che ci pensava ... era lo stesso sguardo smarrito e privo di vitalità di quando l'aveva accolto a casa sua in quel giorno di pioggia.
La schiena di Plagg era dritta e per la prima volta, perdendosi in quel filo di elucubrazioni, Tikki si chiese se avesse avuto un giorno la possibilità di aiutarlo, di capirlo meglio, se le avesse permesso di scavargli l'anima, perché tutto ciò che desiderava era prendersi cura di lui e delle sue ferite.
Senza capire come fosse finita in quella situazione, si ritrovò nel posto indicato dall'uomo, sola con la persona che adesso le mostrava fiera il luogo da lei scelto: un muretto dimenticato dal resto del mondo che affacciava proprio sulla piazza.
«Ѐ il mio posto preferito.» disse candidamente Plagg «Ci vengo spesso... per pensare.» concluse sedendosi a gambe incrociate.
A cosa? Avrebbe voluto chiedergli, ma la voce sembrava bloccata in gola, e tutto ciò che fece fu avvicinarsi lentamente al muro di pietra.
«Ѐ perfetto!» rispose entusiasta Tikki, mettendosi anche lei a sedere con le gambe a penzoloni.
«Pensi che ce la farà?»
Tikki annuì, osservando dall'alto la piazza: Plagg aveva ragione! Da lassù si godeva di una vista migliore, per non dire spettacolare.
«Mi fido di lei. Sarà un successo!» affermò sicura sotto lo sguardo attento di Plagg.
Non sapeva perché fosse così convinta, ma la sentiva sotto la sua pelle, quella sensazione positiva che aleggiava nell'aria, nelle strade, tra le persone.
Plagg le sorrise, allungando la mano e poggiandola dolcemente sul capo di Tikki, la quale trasalì a quel contatto inaspettato.
«Brava la mia ragazzina.»
Un battito rotolò lontano e il respiro le si bloccò in gola per un breve istante.
Plagg le stava toccando la testa.
Plagg le stava accarezzando i capelli.
Le sue dita tra i miei capelli.
Espirò lentamente, quasi a riprendersi ma, quella mano ancora poggiata sulla sua testa, la stava lentamente trascinando lontano dal presente.
E poi quella parola: Mia.
Quel mia pronunciato dalle sue labbra, lentamente e profondamente come solo lui sapesse fare, un dolce suono che cullava il suo animo e al tempo stesso lo rendeva inquieto.
Quel mia per cui il suo cuore batteva più velocemente, provando timore che Plagg potesse sentirlo.
Quel mia che le aveva imporporato le guance e fatto abbassare gli occhi verso un punto indefinito della piazza.
La sua ragazzina ....
«Sei arrossita.»
«No, non è vero!»
«Sì, invece.»
«Plagg, io non ...»
«Sei davvero ...» continuò Plagg con un sorriso sornione «... una ragazzina.»
E addio sogni di gloria!
«Quanto sei antipatico!» strillò Tikki, incrociando le braccia al petto e gonfiando le guance quasi come una bambina.
Plagg sorrise sommessamente, osservando la figura di Tikki seduta accanto a lui, con il viso rivolto dall'altra parte: si era offesa davvero questa volta!
La chiamava sempre così: ragazzina.
Quel nomignolo dato per gioco nella Tribù dell'Ape la prima volta che si erano visti, rimasto invariato anche quando Tikki gli aveva mostrato altri lati del suo carattere, sebbene a tratti infantili. Ma lei era gentile, ingenua, una sognatrice e una dispensatrice di Fortuna, e ora più che mai Plagg avrebbe voluto portarla via e proteggerla da tutto quello che si trovava davanti ai suoi occhi; perché, se per Tikki il mondo era dolce come i suoi biscotti, per Plagg il mondo era stato crudele, ingiusto e corrotto sino al momento in cui Tikki aveva spezzato quella ruota di eventi che l'avevano abbattuto.
Tikki era un tesoro meraviglioso.
Ma lei non avrebbe dovuto scoprirlo.
Mai.
Anche al costo di ferirla.
Il movimento del braccio di Tikki, agitato energicamente, lo portò ad osservare prima lei, seduta accanto a lui, e poi il palco dove era appena salita la Regina con il suo seguito.
E la vide.
Pollen la vide, su quel muretto, insieme a Plagg.
E solo allora, iniziò a danzare.
Un passo avanti e uno a destra, giravolte e braccia in alto, un movimento lento e leggero come fronde di alberi scosse al vento, un passo indietro seguito dalla dolcezza dei gesti delle mani, fluidi come l'acqua del fiume che attraversava Atlis. Le sue ancelle, sicure e leggiadre, le vorticavano intorno con le loro stole lunghe e obbedienti ai gesti delle mani, e Pollen si ritrovò racchiusa in un vortice fatto di stoffe gialle e lucenti, che si aprivano lentamente a formare una bellissima rosa dai petali gialli; quel centro che vedeva la Regina levare nell'aria tanti petali colorati a ricordare le tinte appartenenti alle varie Tribù.
Fu un successo straordinario!
Pollen ne ebbe la conferma quando gli applausi si levarono alti e ininterrotti, dando così il via ai festeggiamenti tanto attesi.
La Festa delle Divinità aveva inizio.
Anche Plagg e Tikki, seduti sul muretto, stavano applaudendo: la Regina, questa volta, si era davvero superata!
«La Regina è stata davvero ... regale.»
«Ѐ stata meravigliosa.» disse Tikki con dolcezza, spostando lo sguardo verso Plagg, con gli occhi velati di lacrime ma carichi di ammirazione profonda verso quella donna così forte, così bella, così sicura di sé quando danzava, che contrastava con la donna vista poco prima dello spettacolo: la Pollen insicura e sfiduciata.
«Ti sta guardando.» disse Plagg, tenendo lo sguardo fisso sulla piazza.
«Eh?»
Tikki rivolse ancora una volta lo sguardo verso il palco e i suoi occhi, blu profondo come il mare, incontrarono quelli di Pollen, azzurri come il cielo d'estate, e proprio in quello sguardo poté leggervi la profonda gioia e gratitudine che la Regina le stava regalando. E, per la seconda volta, vide accendersi quel sorriso sul suo volto, uno di quei sorrisi sinceri che non vedeva da troppo tempo ormai; perché, in quei pochi attimi, Pollen le aveva dimostrato la sua natura più vera, i sentimenti più sinceri, il suo volerle bene incondizionato. E Tikki avrebbe voluto scendere da quell'altezza per abbracciarla come una sorella, per ringraziarla e per dimostrarle il suo affetto più vero.
Pollen era lì, sul palco, ad essere applaudita da chiunque, ma lei non li stava guardando.
No.
Lei la stava guardando.
Le stava sorridendo.
E in quell'attimo sospeso, fatto di applausi e fischi, ritornarono ad essere le bambine di una volta: una bambina impaurita dal resto del mondo e una bambina capace di mostrarle quanto di meraviglioso esistesse in quel mondo.
Solo loro.
Lei e Tikki.
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