Psychosis.


Ambientata nella Dark Era; Eighteen! Chuuya&Dazai.Alcune parti di dialogo pronunciate da Dazai sono scritte in corsivo: questo perché sono citazioni di alcuni libri dello scrittore originale come "Il Sole si spegne" e "No Longer Human."


Infiniti sono i volti dall'oscurità indossati. Immateriale astrattismo, che dal nulla diventa un tutto inacciuffabile; materiale concretismo, soltanto per coloro che osano sfiorare.
Buio. Buio protettore dei maledetti, del loro cuore puro, macchiato oramai per sempre.
Sogno. Illusione.
Figure che plasmano la propria forma, danzano, gioiscono intorno a un fuoco protettore. Eppure non sono altro che ombre. Ombre intorno a un cuore, catene delle mente, camicie di forza di un animo distante.
Oh! Se soltanto esistesse un'anima, vi sarebbe un demone che cercherebbe di afferrarla.
Oh! Se soltanto fosse noto il confine idilliaco tra il sogno reale e l'illusione concreta, un demone, forse, non sarebbe più smarrito sulla via del lupo che egli stesso ha ucciso, divorato, assimilato, smembrato e, infine, assorbito.

Tutto finì con l'inizio della confusione.
Vi era un ragazzo, pallido in volto, cui minuta schiena era ricurva verso le ginocchia molli che a stento riuscivano a tenerlo in piedi. Le pupille erano dilatate, il respiro ansante; fronte e corpo erano umidicci di sudore, con piccole gocce che vicino ai capelli scorrevano infine verso le guance.
Dolceamaro odor di sangue aleggiava nel buio spazio. Occhi spenti decoravano un pavimento scarlatto, abbellito da mani distese per terra, corpi come petali di fiori su un macabro prato.
Chiudendo gli occhi era possibile sentir l'ormai finita musica di urla straziate, singulti, gemiti conclusivi di un'opera orchestrale che prevedeva due direttori anziché uno soltanto. E tuttavia, era invero lecito chiedersi se davvero tra i due uno fosse realmente un direttore, giacché ad opera conclusa, stava al contrario continuando a suonar lui, da solo, perduto nella propria follia. Un Paganini posseduto dal demonio, diavolo egli stesso mentre continuava a sparare, ridendo con tale delizia e purezza da potere persino scatenare un intenerimento se osservato in un contesto differente.
Chuuya osservava il suo compagno con occhi appena sgranati; le membra dolevano, le ginocchia tremavano per lo sforzo affrontato. Dazai intanto rideva, farfugliava, delirava in preda ad un attacco cieco, laddove una domanda sorgeva spontanea: in quale spazio egli era? A quale universo apparteneva?
Per Chuuya fu come tornare indietro di qualche anno. Indietro nel tempo, quando la vista di un folle avrebbe potuto soltanto sdegnarlo e al contempo incuriosirlo, senza scaturir in lui preoccupazione e triste accettazione.
Guardava una mano, dita lunghe e affusolate strette allo scuro metallo. Essa, così adesso, come allora, reggeva una pistola che inveiva con i suoi proiettili su corpi ormai morti, nemici dissoltasi per sempre. L'unico occhio visibile aveva perduto ogni qualsivoglia razionalità, lasciando spazio al caos di un cuore maledetto e un'anima profondamente spezzata.
Per Nakahara muoversi fu difficile. Tuttavia, non poteva restar lì a guardare; non ci riuscì tempo prima, non avrebbe potuto farlo adesso.
Maledisse così Corruption, maledisse il suo corpo esausto. Piccolo passo, piccolo passo, si avvicinò alla furiosa ombra; denti stretti, mente ferrea per rinnegar il dolore che appannava la vista, espressione di un corpo che avrebbe voluto soltanto cader supino su un morbido letto, con le palpebre chiuse, pronto ad esser condotto verso un meritato riposo.
Chuuya lo chiamò, con la sua voce spezzata, stanca.
Lo chiamò, quasi supplicante, dolente alla vista di tale mostruosità nascosta nel corpo di un giovane uomo.
«Dazai...», «Dazai, ora basta.»
Ma Dazai non lo ascoltava. Chissà dov'era adesso. Chissà cosa vedevano ora i suoi occhi, annegando nel riflesso di una psicosi soffocante.
Altri passi ancora lo portarono ad una minima distanza; allungò una mano. Afferrò il polso.
Dazai lo allontanò bruscamente.
«Lasciami stare Chuuya! Che vuoi che sia? Sono morti, no? Sono morti, morti, morti!» Esclamava. Le sue labbra erano curvate in un sorriso simile ad una smorfia. «Non sentono più dolore. Non sentono più niente. Sono lì, inermi...inermi.» La voce si ridusse ad un sussurro pronunciando le ultime sillabe della parola due volte ripetuta. Poi le risate tornarono a riecheggiare, dapprima note basse inudibili, poi fragorosi suoni capaci di riempir lo spazio.
Chuuya irrigidì ancor di più la mascella e nuovamente afferrò il polso del compagno. Era uno spettacolo deplorevole. Dinnanzi a lui vedeva soltanto una figura grottesca sempre più vicina ad un eterno limbo privo di espiazione.
Voleva salvarlo. Aveva sempre voluto farlo, nel profondo del suo cuore.
Ma un'anima corrotta non era poi così capace di riassemblarne una frantumata, ridotta a piccole schegge simili a polvere di diamante e per questo, capace di svanire con un soffio.
«Per questo devi smetterla!» Lo intimò ancora ricevendo l'ennesima spinta, sebbene questa volta non abbandonò la presa. La mano fece appello alle ultime energie rimase, artigliandosi all'arto altrui tanto da spingerlo ad accompagnarlo nella caduta, rovinosa e inevitabile per entrambi.
Chuuya sbatté la schiena contro un pilastro di pietra e mattoni, mugolando un verso di sincero dolore. Dazai cadde sopra di lui, il mento che urtò la spalla, aggravando il malessere che l'esecutore dagli occhi chiari già abbondantemente sentiva su di sé.
«Maledetto bastardo.» Imprecò Chuuya.
«Colpa tua per avermi tirato con te.»
«Non sapevo in che altro modo fermarti.»
«Perché dovevi farlo?» Rispose Dazai, a bassa voce. Non guardava Chuuya, in quel momento, restando invece appoggiato contro la sua spalla, nascondendo il volto su quel nero tessuto che portava con sé l'odor del sangue, del fumo, ma anche l'inconfondibile odore di una persona fidata, capace di calmarlo, in un certo strano modo; capace di cullarlo, soltanto con la presenza; capace di fermarlo dall'autodistruzione, nonostante gli fosse difficile persino reggersi in piedi.
«Perché era giusto così.»
Dazai inspirò profondamente, facendo per allontanarsi da quel corpo. Tuttavia, quando fece il primo movimento, Chuuya rispose al segnale riportandolo contro di sé, stringendo il fianco con un braccio e la schiena, proprio all'altezza del trapezio, con l'altro. In quel momento le sue membra erano colte da un nervoso tremore, l'adrenalina che fino a pochi istanti prima era stata accompagnata dal delirio. Chuuya poteva sentire quel tremore su di sé, poteva avvertire ogni sintomo della follia.
«Riposa pure qui, Dazai.» Sussurrò Nakahara. La voce era calma, adornata da un pizzico di premura.
Dazai non pose domande, rimanendo lì fermo, osservando un punto imprecisato a lui vicino.
A parlare fu Chuuya, seppur stanco persino di muovere le labbra.
«Cos'è che vedi? In quale abisso anneghi ogni volta?» Domandò.
«Vedo il mondo, così per com'è davvero.» Fu la risposta.
«E com'è, il mondo?»
«E' un orrore senza fondo.» La voce di Dazai era ora atona, perduta nelle immagini della sua mente, nelle forme dei suoi pensieri. «Non vi è alcuna semplicità infantile. Niente può esser risolto semplicemente decidendo di farlo. E'...strano. Io non sente niente, Chuuya. Lo sai, vero? Inquieto anche te, nel profondo, non è vero? Ma sai, sono comunque certo di avvertire qualcosa, seppur in modo offuscato. Cose che non capisco, cose che non collego. Eccetto che per due, o tre cose.»
«Quali cose?»
«Assalti di terrore e apprensione al pensiero che io sia l'unico a non somigliare al resto. E' quasi impossibile per me conversare: cosa dovrei dire e come dovrei dirlo? Non lo so. Sento di essere un cadavere, una persona nata morta, un fantasma fuori posto tra i vivi. E...a volte, ho paura. Ho paura perché posso chiaramente vedere la mia vita marcire dinnanzi i miei occhi, come una foglia che marcisce senza cadere, mentre inseguo il mio ciclo d'esistenza. Ma cosa inseguo veramente? Se sono già morto, cos'è che rincorro?»
Una risata vibrò dalle labbra del più giovane esecutore della port mafia. Chuuya non intervenne, non pronunciò parola alcuna. Ascoltava, invece, quel flusso di coscienza, sentendosi per la prima volta vicino all'anima del proprio oscuro partner. Era a cuore aperto, stranamente, un evento anomalo. La maschera messa di lato stava svelando l'oscurità dell'animo, il veleno insediato nell'essenza più profonda dell'essere a cui era tanto legato esposto ai suoi occhi.
Il suono delle risate si arrestò ancora. Bloccato per l'ennesima volta dal demone dall'occhio bendato, il quale ritornò alla sua voce incorporea, priva di qualsiasi nota che non fosse una rassegnata, irrimediabile apatia. «Ma, alla fine, tutto passa. Questa è l'unica verità a cui sono riuscito a giungere in quest'inferno ardente: tutto passa. E se mi si chiede cosa potrebbe rendermi felice, direi niente, non fa alcuna differenza, perché tutto passa. Tutto è solo un'illusione e per rompere l'illusione, bisogna soltanto morire.»
Un'anima legata alla oscurità non avrebbe potuto salvarne un'altra ad un passo dall'abisso senza ritorno: per Chuuya questo pensiero divenne verità assoluta. Non avrebbe potuto afferrare la mano del compagno, non avrebbe potuto impedire che affogasse; poteva tentare ma il sentore che sarebbe comunque accaduto opprimeva il petto ed infervorava il cuore di rabbia, nonostante la minima speranza di lasciar a qualcun altro tale compito che dava lui una vacua rassicurazione. Dazai stava per tornare preda del suo mondo psicotico, lo sentiva, lo avvertiva. Ma prima che potesse abbandonarsi ancora, cercò di fermarlo come poteva.
Così le sue dita andarono ad intrecciarsi agli scuri capelli di Dazai, accarezzandoli con sincero affetto. Il braccio che avvolgeva il fianco serrò ancor di più la sua presa in un abbraccio, l'unica protezione che avrebbe mai potuto offrire a quell'anima maledetta.
«Lo hai detto tu stesso: stai rincorrendo qualcosa. Significa che non sei ancora pronto ad abbandonare l'illusione, significa che c'è ancora una parte di te attaccata alla vita. Significa che sai che lì fuori c'è ancora qualcosa per te, qualsiasi essa sia. Sei soltanto un coglione e per questo hai bisogno di tempo. Che puoi farci? Sei pur sempre un idiota sin nel midollo, non mi sorprende che arrivi alla risposta più tardi rispetto una persona normale. È la tua natura.»
Pronunciate quelle parole, Chuuya sospirò, chiudendo gli occhi. Era già tanto esser rimasto vigile fino a quel punto, le forze oramai erano quasi arrivate al limite. Dazai lo comprese e per tal motivo non rispose a quelle frecciatine, volte sempre a indispettirlo quasi seguendo un prestabilito copione. Al contrario, rimase tra le braccia di Chuuya, chiudendo anch'egli gli occhi.
«Grazie, lumaca.» Sussurrò. Tuttavia, Chuuya non lo sentì poiché accolto nel suo mondo onirico. Non avvertì nemmeno il movimento della nuca di Dazai, la quale si spostò per condurre le labbra sulle sue, seppur per un breve attimo. Chuuya non lo avrebbe mai saputo.
A quel punto, Dazai ritornò alla posizione precedente, tra le bracci altrui, lasciandosi accogliere da un sonno diverso dal solito, più calmo e forse persino sereno.
Tutt'intorno il puzzo di sangue era intenso, i corpi dilaniati continuavano a fungere da tappeti su un freddo pavimento. Era uno scenario perfetto come letto per due giovani demoni, abbracciati tra loro, coi volti stanchi e al contempo innocui, così come dei ragazzi della loro giovanissima età avrebbero dovuto essere.
«Che facciamo con loro?» Diceva intanto la voce di una splendida donna dai capelli aranciati.
Accanto a lei un uomo, cui mano teneva stretta quella di una dolce e bionda bambina, accennava un sorriso.
«Rimani qui fuori, nascosta, fino a quando non si sveglieranno. Giusto per precauzione. Ma non svegliargli...d'altronde, un po' di riposo se lo sono meritato dopo aver portato a termine il loro compito.»

Vi erano notti in cui il giovane da un occhio bendato ricordava le parole di un'oscura anima affine nonostante gli anni trascorsi. Le sue labbra pronunciavano soltanto un nome, quand'egli parlava di luce nell'oscurità, di salvezza ottenuta, o forse soltanto presa in prestito. In realtà, i nomi pensati dalla mente erano ben due.
Non tutti i demoni sono frutto e prigionieri dell'oscurità: alcuni di loro brillano, brillano di una luce assai intensa che mostra il suo più grande bagliore proprio laddove il buio era più fitto. Brillano, come stelle nella notte.
Il demone senz'anima aveva avuto l'onore di conoscere una tale creatura. Salvato due volte, da un sole notturno e da una stella nel buio. Salvato da un uomo buono e da un demone umano tra gli umani.


Angolo dell'Autrice.
Eccomi finalmente con questa seconda parte! Gli esami universitari non mi permettono di essere produttiva come vorrei e dovrei, tuttavia seppur a piccoli passi sto riuscendo a portare avanti questo piccolo progetto. Manca ancora una oneshot, orsù, posso farcela!
Come sempre spero che il risultato sia stato soddisfacente e che voi lettori lo abbiate apprezzato.
Alla prossima!

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