A NEW BEGINNING
«Professor Schue, abbiamo un nuovo membro per il Glee Club!» aveva annunciato Quinn appena avevamo messo piede in aula canto.
Sentivo gli occhi di tutti su di me, ma devo precisare che non tutti guardavano il mio viso. Infatti c'era un ragazzo con la cresta da nativo americano, che aveva lo sguardo fisso sul mio sedere con aria ammiccante, e quando tolse gli occhi da lì, li puntò sul mio seno senza neanche cercare di nascondersi. Poi c'era un ragazzo sulla sedia a rotelle, che passava lo sguardo da me a Brittany a Santana con aria sognante, come se non credesse possibile che fossimo tutte e tre nella sua stessa stanza. Dietro c'erano due giocatori di football, uno con i tratti asiatici e uno di colore, che mi squadravano con aria interessata, e poi c'era un ragazzo che sembrava titubante. Voleva guardare me e le altre due cheerleader, ma uno sguardo fulminante di Quinn lo aveva colto sul fatto e bloccato per il terrore. Pensai che dovesse essere il suo ragazzo, ma non potei fare a meno di chiedermi se fosse anche il padre del suo bambino. Sembrava troppo poco sveglio per aver messo incinta una come Quinn.
Ma chi ero io per giudicare?!
«Bene, ragazze! Sono fiero di voi!» esclamò in quel momento il professor Schuester, attirando la mia attenzione su di sé.
Era un uomo decisamente allegro, a volte anche esaltato azzarderei, ed era decisamente giovane per essere un professore (e bisogna dirlo, anche molto sexy). Però si vedeva che amava il suo lavoro e i suoi studenti, e in poco tempo sarebbe diventato la persona a cui chiedere aiuto per tutto. Aveva sempre un consiglio per tutti ed era sempre capace di motivarci e trovare un modo per salvare il suo amato Glee Club, per cui avrebbe dato la vita.
Fece cenno a Quinn, Santana e Brittany di prendere posto, e io rimasi da sola con lui al centro della stanza.
«Roxanne, vero?» mi chiese allora il professor Schuester, ricordandosi della sua lezione di spagnolo a cui avevo partecipato quella mattina.
«Sì, ma preferisco essere chiamata Roxie» gli risposi io con un mezzo sorriso.
«Roxie, come la protagonista di Chicago. Sapete, il musical...» iniziò una ragazza con un naso importante e con voce agitata, che venne zittita all'istante da un «Taci, nana!» proveniente dalla sedia di Santana.
«Sì, come Roxie di Chicago» dissi invece io alla ragazza con il naso importante, che mi fece un sorriso eccitato.
«Sai cantare?» mi chiese il professor Schuester, ignorando gli sguardi infuocati che si lanciavano Santana e la ragazza con il naso grande.
«Me la cavo» risposi come avevo fatto in bagno con Quinn, Santana e Brittany.
«E balli?» mi chiese ancora il professore.
«Tengo il tempo» risposi io di nuovo con modestia.
Ancora una volta non volevo sembrare troppo arrogante. Era la prima volta che quei ragazzi mi vedevano, non volevo che si facessero una brutta impressione di me, anche perché avevo davvero bisogno di amici, e loro per il momento sembravano gli unici disposti a diventarlo.
«Beh allora, Roxie, benvenuta nel Glee Club!» esclamò il professor Schuester con entusiasmo, e poi mi fece segno di sedermi accanto al ragazzo asiatico.
«Mike Chang» si presentò lui, porgendomi la mano e rivolgendomi un sorriso.
«Non si fanno le audizioni qui per entrare?» gli chiesi io un po' stranita dalla cosa.
In effetti mi aspettavo di dover cantare almeno una strofa di una canzone per essere ammessa. Invece nulla, solo due semplici domande a cui avrei tranquillamente potuto mentire (come avevo fatto) e che non erano garanzia di bravura.
«In teoria sì» mi rispose Mike «Ma abbiamo bisogno di membri quindi accettiamo tutti. E poi si vede che hai talento» aggiunse poi sorridendo.
Quando i miei occhi incontrarono i suoi rimasi per un attimo senza fiato: erano scuri e profondi, ma anche gentili e avevano un che di tenero che mi toglieva il fiato. Sarei rimasta a fissarli per ore, perdendomi in quelle iridi color cioccolato, ma dovetti sforzarmi e distogliere lo sguardo da quel sorriso così gentile e premuroso.
Girando la testa invece puntai gli occhi su un volto rude e da vero duro.
«Noah Puckerman» disse il ragazzo con la cresta, porgendomi a sua volta la mano per presentarsi «Penso che il tuo nome sia davvero sexy» aggiunse poi con voce profonda e ammiccando.
Aveva fascino, questo era innegabile.
Molto fascino!
«Puck, posso avere la tua attenzione?» chiese in quel momento il professor Schuester, facendo girare quel Puckerman, che assunse un'aria decisamente scocciata.
Poi il professore iniziò a parlare, ma io non lo stavo ascoltando. Cominciai a passare lo sguardo sugli altri ragazzi seduti in quella stanza, per cominciare a ispezionare i miei nuovi compagni: in prima fila c'era la ragazza con il naso grande, che scoprii chiamarsi Rachel e che sembrava l'unica interessata veramente alle parole del professore; poi c'era il ragazzo sulla sedia a rotelle di nome Artie, e il ragazzo di Quinn di nome Finn. Appena dietro di loro c'erano una ragazza asiatica con alcune ciocche di capelli blu e uno stile un po' dark di nome Tina, una ragazza di colore vestita con colori sgargianti e collana e orecchini di dimensioni notevoli, che scoprii chiamarsi Mercedes, e un ragazzo che non era sicuramente un giocatore di football. Sembrava delicatissimo, fatto di porcellana, e dava l'impressione che con un soffio sarebbe potuto volare via. La sua pelle era davvero liscia, quasi più di quella di un bambino. Mi si presentò come Kurt. Poi c'erano Quinn, Santana, Brittany e Puckerman, e accanto al ragazzo asiatico c'era il giocatore di football di colore, che scoprii chiamarsi Matt.
Guardando bene i miei nuovi compagni mi accorsi che erano tutti un po' particolari, avevano tutti qualcosa di unico e dei caratteri molto diversi. Però con il tempo avrei imparato a capire che tutti erano uniti dalla stessa passione per la musica e per il canto, che li avrebbe legati per sempre.
Quando mi ripresi dai miei pensieri il professor Schuester stava parlando di un problema abbastanza serio: le Provinciali erano alle porte e non avevamo abbastanza soldi per pagare il pulmino che avrebbe potuto trasportare anche Artie. Insomma, il ragazzo sulla sedia a rotelle si sarebbe dovuto arrangiare per venire alla competizione. I miei compagni non sembravano tanto turbati, erano tutti convinti che Artie non avesse problemi nel farsi portare da suo padre, ma il professor Schuester non era della stessa idea. Continuava a ripetere che il viaggio era la parte migliore dell'esperienza e che non voleva in nessun modo che Artie se lo perdesse per un problema di budget. Allora ci propose di vendere cupcake.
Pessima idea!
«Io non li so fare» mi sussurrò Mike arricciando il naso.
«A giudicare dalle facce degli altri, nessuno li sa fare qui» gli dissi io leggermente divertita e incontrando di nuovo il suo bellissimo sguardo.
Sorridenti i suoi occhi erano ancora più belli e luminosi!
Comunque, nessuno sembrava aver capito quanto per Artie fosse importante fare il viaggio verso le Provinciali con noi e quanto fosse difficile per lui andare in giro per la scuola su una sedia a rotelle quando molti spazi non erano adatti. Così il professore decise che il compito della settimana era passare almeno quattro ore al giorno sulla sedia a rotelle per renderci conto di come vivesse la sua vita Artie.
Vi assicuro che fu uno strazio!
Era davvero difficile andare in giro per i corridoi con quelle sedie a rotelle e con tutti quegli zaini sbattuti in faccia. Gli altri studenti sembravano non vederci, ed era difficile arrivare a ogni minima cosa appesa ad altezza normale. Alla fine della settimana ci esibimmo con "Proud Mary" dei Creedence Clearwater Revival (la mia prima esibizione di gruppo nel Glee Club) seduti tutti sulla sedia a rotelle in onore di Artie, che con i soldi raccolti dalla vendita di cupcake (sì, ci eravamo convinti a farlo) aveva deciso di rinunciare al viaggio con noi verso le Provinciali per far installare una rampa a scuola, in modo che potesse entrarci senza doversi far trasportare.
Non avrei mai pensato di cantare la mia prima canzone con i miei nuovi amici, indossando una maglia gialla e le bretelle, con i codini e seduta su una sedia a rotelle da disabile.
~~~
Ero persa, spaesata.
Era solo il mio terzo giorno al McKinley, e ancora non mi ero ambientata. Ero davanti al mio armadietto e non avevo la più pallida idea di come arrivare alla palestra della scuola. Quinn mi aveva convinta a fare la prova per entrare nei Cheerios e ce l'avevo da lì a 5 minuti.
«Perché non fai l'audizione per i Cheerios? Visto che non ci sono più io nelle cheerleader c'è bisogno di qualcuno altrettanto bravo, e io avrò bisogno di tirarmi su con i tuoi racconti» mi aveva detto Quinn il giorno prima con un po' di malinconia.
Si vedeva che le mancava essere la ragazza più popolare della scuola e che il suo ventre ingrossato cominciava a pesare sempre di più, non solo fisicamente, ma anche moralmente.
«Santana e Brittany sono mie amiche, ma da quando non sono più nei Cheerios non mi calcolano molto anche se loro dicono il contrario» mi spiegò quando le chiesi se non ne avesse abbastanza dei racconti delle sue due amiche Cheerios «E poi, hai bisogno di fare amicizia e di farti conoscere in questa scuola, e non c'è modo migliore che entrare nei Cheerios» aggiunse poi con un sorriso raggiante.
A quel punto decisi di accettare la proposta di Quinn, perché era l'unica amica che avevo in quel momento ed era chiaro che avesse bisogno di me. Infatti, come aveva detto anche lei, entrare nei Cheerios sarebbe servito a me per diventare più popolare, ma sarebbe stato utile anche a Quinn per non deprimersi troppo e sentirsi ancora parte delle cheerleader.
In quel momento però mi maledissi per aver dato corda all'idea della mia amica, perché ero in panico. Nessuno dei passanti sembrava volermi aiutare, anzi, facevano tutti finta di non vedermi e di non accorgersi di me, anche se era evidente che avessi bisogno di aiuto. Mi ignoravano tutti, tutti tranne uno.
Davanti a me si era appena materializzato un ragazzo, che mi guardava sorridendo. Il suo era un sorriso gentile e premuroso che riconobbi all'istante.
Era Mike.
«Hai bisogno di aiuto?» mi chiese puntando i suoi bellissimi occhi color cioccolato nei miei.
«Direi di sì. Ho bisogno di essere in palestra tra meno di 5 minuti e non ho la più pallida idea di dove andare» risposi io arricciando il naso.
«Vieni, ti ci porto io» mi disse lui, allungando una mano per stringere la mia e cominciando a condurmi verso la palestra.
Appena le nostre mani si toccarono sentii dei piccoli brividi percorrermi la schiena e rimasi un attimo spaesata. Non mi accorsi nemmeno che eravamo arrivati davanti alle porte della palestra.
«Eccoci qua!» esclamò allora Mike, lasciando la mia mano per indicarmi l'entrata.
Io comincia a sentire la mancanza del contatto tra le nostre mani, ma decisi di fare finta di niente e mi limitai a ringraziarlo.
«A, Roxie» mi chiamò Mike, prima che entrassi in palestra «Se hai bisogno di un tour della scuola basta chiedere» disse facendomi l'occhiolino, prima di darmi le spalle.
Mentre entravo in palestra mi accorsi che stavo sorridendo, e pensai che dovesse essere un sorriso un po' da stupida, tipico di chi sorride senza accorgersene.
Ma vi assicuro che il sorriso mi si spense all'istante appena vidi l'espressione della donna bionda seduta a bordo campo: aveva uno sguardo sprezzante, quasi scocciato, come se non volesse essere lì in quel momento. Anche in questo caso, con il passare del tempo mi sarei accorta che era un'espressione caratteristica della tanto temuta coach Sylvester.
«Tu devi essere la ragazza con il nome da prostituta» disse rivolta a me con la solita aria sprezzante «Non credere che sia facile entrare nei Cheerios. Sono molto esigente, soprattutto per quanto riguarda il fisico» aggiunse poi, puntandomi il dito contro e squadrandomi da capo a piedi.
Quella frase un po' mi spaventò, ma cercai di non sembrare troppo intimorita, perché non volevo dare alla coach l'impressione di essere debole.
«Ora in campo, o diventerete tutti grassi e molli!» urlò poi al megafono con cattiveria.
«Coach io...» iniziai io in quel momento.
Mi ero accorta di non avere la divisa, e non potevo fare l'audizione con i jeans che avevo addosso.
«Giusto, la divisa. "Sedere molle", dai la divisa alla "ragazza della strada"!» ordinò allora la coach a una ragazza mora un po' più in carne delle altre.
«Ma, coach, io non ho una divisa un più» disse la ragazza confusa.
«Infatti, dalle la tua!» esclamò la coach «Sei fuori dai Cheerios. Troppo grasso inutile» disse con disprezzo.
La cheerleader scoppiò a piangere e corse negli spogliatoi tra le lacrime. Io decisi di seguirla, e la trovai seduta su una panchina ancora in lacrime. Appesa all'armadietto sopra di lei c'era una divisa immacolata e nuova di zecca.
«Non ho bisogno della tua divisa, prendo questa» le dissi allora, sperando di consolarla e mostrandomi dispiaciuta per la sua sorte.
In risposta ricevetti solo un'occhiataccia, e poi la ragazza si alzò per uscire in corridoio stizzita.
Ecco, mi ero appena fatta una nemica senza volerlo!
Mi cambiai in fretta, indossando la divisa bianca e rossa dei Cheerios, e poi tornai in palestra.
«Tu, accanto a Santana!» mi ordinò la coach Sylvester, puntando il dito nella direzione della ragazza latina.
Appena presi posto accanto a lei la sentii sussurrare «Benvenuta all'inferno»con un sorriso malefico che mi fece venire i brividi.
~~~
Nonostante Santana non mi andasse molto a genio, dovetti ammettere che aveva ragione, essere nei Cheerios era davvero un inferno. Rifacevamo le coreografie miliardi di volte, cambiavamo un sacco di cose, diventavano sempre più difficili e la coach Sylvester non era mai contenta. Si limitava a strillare nel megafono che eravamo degli scansafatiche e a rinfacciarci tutte le cose difficili che aveva fatto nella sua vita (alcune decisamente discutibili), e che quello non era nulla in confronto.
Era davvero fastidiosa!
Avevo bisogno di sfogarmi, perché per una come me che non riesce a trattenere quello che pensa, era difficile non rispondere alla coach per le rime. Ma non potevo farlo, o sarebbe stata la fine per me.
Per questo motivo quella sera ero rimasta a scuola di più. Ero in aula ballo e stavo ballando sulla musica di "Flashdance", uno dei miei pezzi preferiti. Come ho detto prima, avevo bisogno di sfogarmi, e la danza era l'unica cosa che mi permetteva di farlo veramente. Ballare mi faceva entrare nel mio mondo magico fatto di danza e solo danza. Quando ballavo non sentivo più nulla, solo la musica. Non pensavo più a nulla. Nella mia testa la fatica delle prove dei Cheerios, la rabbia contro la coach Sylvester e la mancanza di Blaine sparivano completamente.
Eh sì, la mancanza di Blaine, perché mi mancava davvero tanto. Era stato il mio ragazzo per quasi un anno e il mio migliore amico per tutta la vita, e improvvisamente avevamo smesso di sentirci per chissà quale motivo. Continuavo a credere che fosse colpa mia, magari avevo fatto qualcosa di sbagliato, magari lo avevo offeso in qualche modo. Ma finché non lo risentivo non lo avrei saputo mai. E vi assicuro che ancora adesso non ho ottenuto una spiegazione precisa per la cosa.
Pensando a tutto questo non mi accorsi neanche che la musica era finita, anche se io avevo automaticamente smesso di ballare. Così alzai gli occhi verso la porta e mi accorsi che c'era qualcuno, una figura che mi stava guardando.
Era Mike.
Ancora una volta mi rivolse quel suo bellissimo sorriso gentile e fece un passo avanti per entrare nell'aula.
«Roxie... wow! Sei stata magnifica!» esclamò strabuzzando gli occhi stupito.
Io mi limitai a mormorare un semplice grazie, abbassando lo sguardo sulle Converse bourdeaux di Mike.
«Perché l'altro giorno al Glee Club non hai detto di saper ballare così?» mi chiese lui cercando il mio sguardo.
«Non volevo sembrare arrogante» risposi io alzando gli occhi e le spalle nello stesso momento.
«Non lo saresti sembrata. Sei davvero brava» disse ancora Mike con un mezzo sorriso e annuendo.
Feci un mezzo sorriso anche io, un po' in imbarazzo.
«Domani devi assolutamente mostrare a tutti quello che sai fare!» esclamò Mike annuendo più forte.
Io spalancai gli occhi.
No, no e poi no!
Non potevo farlo, perché autopresentarsi con un numero era la cosa peggiore da fare per non sembrare arroganti. Infatti lo dissi anche a Mike, ma lui sembrava convinto della sua idea.
«Non puoi tenere nascosto questo talento ai ragazzi!» disse quasi con tono di rimprovero «Non bastano delle belle voci per creare il numero perfetto per una competizione» aggiunse poi con aria ovvia.
Questo lo sapevo, ma ero irremovibile. Non avrei ballato davanti a tutti da sola.
Proprio no!
Poi però Mike mi fece una proposta a cui non seppi resistere.
«E se ballassimo insieme? Domani, in aula canto, per far vedere a tutti quanto sei brava» propose.
Come potevo dirgli di no?
Come potevo dire di no ai suoi bellissimi occhi color cioccolato?
Come potevo lasciarmi scappare l'opportunità di ballare con Mike e magari farmi stringere tra le sue braccia durante il pezzo?
Infatti il giorno dopo in aula canto io e Mike eravamo pronti per mostrare a tutti il nostro numero. O meglio, Mike era pronto, e fisicamente lo ero anche io, però ero in panico. Non era la prima volta che ballavo davanti a qualcuno, e avevo avuto platee anche più numerose, però quella volta era diverso. Sentivo che da quell'esibizione dipendeva la mia popolarità al McKinley e la possibilità di avere nuovi amici.
Dopo che Mike annunciò al professore che io e lui avevamo preparato qualcosa, e dopo che il professor Schuester ci lasciò il centro della sala, cominciai a farmi mille paranoie. Non avevamo preparato una coreografia semplice, avevamo un sacco di prese e pose difficili, e nonostante mi fidassi di Mike, avevo paura di collassare a terra e fare una figura pessima.
Poi però il tocco della mano di Mike nella mia mi fece coraggio e gli feci cenno che ero pronta. Così partì "Jailhouse Rock" dei Blues Brothers, che io e Mike ballammo e che, lo devo ammettere, riscosse un grande successo.
«Wow, ragazzi! Wow!» esclamò il professor Schuester, mentre Mike mi stringeva tra le braccia felice e sorridente tanto quanto me.
Ma ci volle poco a spegnere il mio entusiasmo. Bastarono poche parole di Santana.
«Beh, Britt, sembra che qualcuno ti abbia appena rubato il posto come ballerina del gruppo» disse guardandomi male.
«Oh no! Assolutamente no!» mi affrettai a dire io «Io e Brittany possiamo tranquillamente ballare insieme, non sono qui per rubare il posto a nessuno» aggiunsi poi, precisando bene il tutto.
Santana alzò gli occhi al cielo scettica, e Brittany invece mi sorrise, anche se non ero sicura che avesse capito quello che avevo detto.
Comunque, i ragazzi erano davvero entusiasti, e io anche. Ero solo alla prima settimana al McKinley e già tutto sembrava andare a gonfie vele. Avevo dei nuovi amici nel Glee Club, una divisa da cheerleader davvero sexy e la popolarità dei Cheerios che mi permetteva di avere tutti i ragazzi ai miei piedi.
Ma quest'ultima cosa a me non importava, perché in testa avevo solo un ragazzo in quel momento (oltre a Blaine ovviamente), ed era colui che si era appena materializzato davanti al mio armadietto e che mi stava sorridendo con aria ammiccante.
«Lo sai che giorno è oggi?» mi chiese Mike, appoggiandosi agli armadietti con le spalle e puntando gli occhi su di me.
«Ehm... venerdì?!» risposi io con aria ovvia, non capendo dove volesse andare a parare, ma comunque restando al suo gioco.
«Sì, ok» rispose sospirando «Ma io non intendevo questo» aggiunse poi, prendendo i libri che avevo in mano e mettendoli dentro il mio armadietto, per poi chiuderlo fragorosamente.
Io lo guardai confusa, e lui in risposta mi fece un meraviglioso sorriso alzando le spalle e facendomi sentire le farfalle nello stomaco.
«Oggi festeggiamo il giorno in cui sei entrata ufficialmente nel Glee Club!» esclamò, facendomi fare una giravolta, mettendomi un braccio intorno alle spalle e iniziando a camminare «È una ricorrenza importante» aggiunse poi annuendo.
«Ok» mi limitai a dire io leggermente confusa e anche divertita dalla sua espressione.
Perché mi stava dicendo tutto quello?
Non ci arrivavo.
«Ti porto al Bel Grissino» mi disse guardandomi sorridente.
Sorrisi anche io, mentre sentivo di nuovo le farfalle nello stomaco, ma dentro sentii anche un po' di confusione.
Cosa?
Al Bel Grissino?
E perché?
Era per caso un appuntamento?
Comunque decisi di accettare, anche perché Mike non mi lasciò molta scelta.
Così pochi minuti dopo eravamo seduti al tavolo del Bel Grissino e stavamo già parlando del più e del meno, come se fossimo amici di vecchia data. Dopo qualche chiacchiera arrivammo all'argomento "Musical preferito".
«Footloose tutta la vita!» esclamò Mike senza ombra di dubbio.
«Bello, è il mio secondo preferito» ammisi io «Però il migliore è decisamente Chicago» aggiunsi poi, annuendo convinta della mia idea.
«Ehm...» iniziò Mike un po' titubante.
«Cosa?» gli chiesi io confusa.
Lui iniziò a fare una faccia dispiaciuta e un po' imbarazzata, e io capii al volo.
«Non dirmi che non hai mai visto Chicago?!» esclamai allora, spalancando gli occhi sconvolta.
Mike scosse la testa arricciando il naso.
Ma come era possibile?!
Come poteva non aver visto un musical così bello?!
Dovevo rimediare!
«Ho casa libera» dissi allora, guardandolo con aria complice.
Lo vidi aggrottate le sopracciglia e irrigidirsi sulla sedia.
«Per... Per vedere Chicago intendo» aggiunsi in fretta, per chiarire cosa volessi fare.
Chissà cosa aveva pensato!
A quel punto Mike si rilassò e accettò la mia proposta di vedere Chicago insieme.
Quello fu il primo di una serie di appuntamenti che ebbi con Mike, e fu anche l'inizio di quella che potrei chiamare una storia, anche se era basata solo e unicamente sulla passione che entrambi avevamo per la danza. Nonostante tutto però era bello passare tempo con Mike, non ci si annoiava mai, e quando non avevamo nulla di cui parlare ci bastava mettere su una canzone a caso e iniziare a ballare. Seriamente, come degli stupidi o in modo romantico, senza coreografia o con dei passi precisi in mente, non aveva importanza. L'importante era essere insieme io e lui. Avevamo una gran bella chimica insieme, che sarebbe stata palpabile anche dall'ultima fila della platea dell'auditorium.
Nonostante tutto però, una persona era costantemente nella mia testa: il ragazzo con i ricci scuri e gli occhi più belli che avessi mai visto in tutta la mia vita. Era purtroppo impossibile per me non paragonare Mike a Blaine. Anche se il ballerino asiatico era perfetto come ragazzo e come partner, non sarebbe mai stato come Blaine ai miei occhi, e non poteva riempire il vuoto che la mancanza di Blaine aveva creato.
~~~
«Fattelo dire, Roxie, hai decisamente centrato il segno» mi disse Quinn qualche settimana dopo il mio arrivo al McKinley, mentre camminavamo per i corridoi.
Io la guardai confusa, non capendo di cosa stesse parlando.
«Sei cheerleader, sei una delle ragazze più belle e popolari della scuola e il tuo ragazzo è un giocatore di football. Cosa vuoi di più?» mi spiegò allora lei, alzando le spalle con aria ovvia.
Nella sua voce però ci lessi un po' di gelosia, e la cosa mi fece storcere un po' il naso.
«Tornerai ad essere popolare anche tu come lo eri pochi mesi fa» le dissi allora, per tirarla su di morale e facendole un sorriso.
Anche lei ne abbozzò uno, ma non era ancora del tutto risollevata.
«Sai quale è stato il mio traguardo più grande in queste settimane?» le chiesi allora «Trovare un'amica come te» risposi annuendo convinta.
Ero davvero felice di aver trovato Quinn in quella scuola. Senza di lei non sarei mai entrata nel Glee Club, e probabilmente nemmeno nei Cheerios. E poi era chiaro che anche lei avesse bisogno di me. Era incinta, non sapeva se tenere o no la bambina e per di più il padre non era il ragazzo con cui stava quando era successo tutto.
Eh già, il padre della bambina di Quinn non era Finn con cui non aveva mai avuto un rapporto. Il padre era Puck, il primo con cui era stata a letto Quinn e l'unico per il momento. Ovviamente quando Finn lo aveva scoperto era andato su tutte le furie, e nonostante Quinn fosse mortificata, non c'era stato nulla da fare, Finn non sembrava disposto a perdonarla.
Quello che aveva fatto Quinn era decisamente sbagliato, ma non l'avevo giudicata, sono cose che succedono, soprattutto agli adolescenti.
«A proposito di amici, è vero che Mercedes è entrata nelle cheerleader?» mi chiese Quinn pensierosa.
«Sì, insieme a Kurt. Abbiamo già fatto un paio di allenamenti insieme» risposi io annuendo.
«E... come ti sembra?» mi chiese ancora Quinn, sempre più seria.
Io aggrottai le sopracciglia.
«In che senso?» le chiesi, non capendo a cosa si stesse riferendo.
Lei mi guardò con aria ovvia.
«Sappiamo entrambe quanto la coach Sylvester possa essere crudele, e sappiamo che insiste molto sulla forma fisica» mi spiegò poi.
Io annuii.
Eh già, alla coach Sylvester non andava mai bene il tuo fisico, mai.
«Sono solo preoccupata per Mercedes, tutto qui» mi rispose Quinn alzando le spalle quando le chiesi cosa avesse in mente «L'altro giorno in mensa l'ho vista prendere solo del sedano, e non sembrava al massimo delle sue forze» aggiunse poi arricciando il naso.
Potevo immaginare come si stesse sentendo Mercedes, ci ero passata anche io durante la mia prima settimana nei Cheerios.
Dovevamo aiutarla.
L'occasione di farlo ci si presentò il giorno dopo, quando in mensa, una ragazza con la divisa dei Cheerios svenne sotto gli occhi di tutti. Credo che sia chiaro che sto parlando proprio di Mercedes.
Allora io e Quinn decidemmo di raggiungerla in infermeria. Proprio mentre uscivamo dalla mensa entrò Mike, che mi chiese dove stessi andando.
«Non mangiamo insieme?» mi chiese anche, aggrottando le sopracciglia.
«Devo aiutare Mercedes prima» gli dissi io.
«Quanto mi piaci quando aiuti i tuoi amici!» esclamò allora lui con un sorriso.
Poi mi lasciò un bacio a fior di labbra e mi concesse di correre dietro a Quinn, che intanto era già in infermeria e aveva rimediato una barretta energetica da chissà dove.
«Non ho fame» le disse Mercedes con voce mogia, mentre sia io che Quinn ci avvicinavamo a lei con aria apprensiva.
«Sì invece» disse Quinn con gentilezza.
«Muori di fame» aggiunsi io con lo stesso tono.
«Gli studenti si sono trasformati in cibo prima dello svenimento?» le chiese poi Quinn quasi divertita.
Mercedes rispose di sì con aria stupita.
«Te l'ho detto, ci sono passata anche io» le disse Quinn.
«Tutte ci siamo passate» dissi io annuendo «Per un attimo Mike è diventato una deliziosa barretta di cioccolato» aggiunsi, facendo ridere entrambe.
Ma Mercedes era ancora incredula, soprattutto per il fatto che Quinn fosse così gentile con lei.
«Ci siamo passate anche noi, Mercedes, ma ne siamo uscite» le disse ancora Quinn con pazienza.
«Certo che ne siete uscite! Avete un fisico perfetto, non avevate bisogno di una dieta!» ribatté Mercedes quasi con cattiveria.
«Nessuno è perfetto per la coach Sylvester, e ognuno è perfetto a suo modo» le feci notare io annuendo.
«Tu sei molto fortunata, Mercedes. Sei sempre stata a tuo agio con il tuo corpo. Non lasciare che la coach Sylvester ti privi di questo» le disse Quinn per darle forza.
«Sei bella così come sei, Mercedes» aggiunsi io, sicura delle mie parole.
L'avevo sempre ammirata, perché non tutti sarebbero stati capaci di sentirsi bene con il corpo di Mercedes. Lei invece non se ne era mai lamentata, e questo le faceva onore.
Pochi giorni dopo dimostrò di essere tornata la Mercedes di sempre, cantando "Beautiful" di Christina Aguilera a un'esibizione dei Cheerios davanti a un importante critico che avrebbe scritto un articolo sulla Sylvester. Nonostante la coach non sapesse nulla di tutto quello, e nonostante avesse paura che Mercedes avesse rovinato tutto, fu una grande sorpresa per il critico, che scrisse un magnifico articolo sulla coach Sylvester e il suo modo di educare i Cheerios.
Ovviamente era tutto falso, ma noi non ci facemmo molto caso, perché avevamo trovato finalmente un equilibrio come gruppo, e io mi ero accorta che Quinn era davvero una ragazza speciale con un cuore d'oro, che in quel momento della sua vita aveva bisogno di me tanto quanto io avevo bisogno di lei.
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