Capitolo 2

Un paio di occhi a mandorla


«Top nero e jeans a vita alta? O t-shirt bianca e mini gonna di pelle? Che ne pensi?» squittì Kate, mentre avvicinava vestiti al suo corpo, rimirando la sua immagine riflessa nello specchio.
Ero stesa sul mio letto e stavo cercando di leggere uno dei libri che avevo trovato tra i testi consigliati per il corso di scrittura creativa, ma quella ragazza non smetteva un attimo di parlare.

«Allora?» mi incalzò.
Chiusi il libro con un sbuffo e la guardai.
«T-shirt bianca e gonna di pelle» sentenziai.
«Sì, hai ragione. Meglio essere semplice il primo giorno. Da dove vieni, Eveline?» mi chiese poi, accarezzando le sue labbra con un rossetto dalle tinte scure.
«Bateson, e tu?»
«Sono di qui, di Brightintown. L'anno scorso andavo al college di Boston, ma avevo preso una brutta strada... amicizie poco raccomandabili, sai? Erano feste con alcol e ragazzi tutte le sere, e per lo studio non restava molto tempo. Così, i miei mi hanno iscritta qui, con il patto che, se non supero tutti i corsi, con il college ho chiuso e vado a lavorare nel ristorante di mio padre.»
«E lui lavora qui?»
«Sì, il suo ristorante è il Paradise, lo conosci?»
«In realtà no...»
«Fa solo piatti molto ricercati, ti ci porterò!».

Guardai l'orologio: erano già le sei. Mi toccava prepararmi e sorbirmi Nathan al centro dell'attenzione di tutti e la prima festa del terzo anno di college.
"Ottimo inizio, Eveline", pensai. Ma quello che non sapevo era che lo sarebbe stato per davvero.


Quando io, Kate e Dawson arrivammo al campo da football, nell'aria c'era un inconfodibile odore di carne alla brace, tipica dei super panini del chiosco, il suono squillante delle trombe della banda del college e quell'atmosfera di festa dell'inizio dei corsi.
Con lo sguardo percorsi gli immensi spalti e poi l'enorme distesa di prato appena tagliato. In campo notai subito Nathan, in divisa, pronto per l'inizio della cerimonia. Quando si accorse della mia presenza, mi fece segno di avvicinarmi a lui con la mano.
Calpestai l'erba fresca con le mie Converse e lo raggiunsi a bordo campo.
«Sei venuta, sono contento» esordì, dandomi un bacio sulla guancia, per poi tornare, correndo, verso i suoi compagni.

Mentre i miei occhi vagavano sugli spalti, Kate alzò una mano e mi indicò dove lei e Dawson avevano preso posto.
La guardai: lei si era messa tutta in tiro ed io, invece, indossavo una semplice canotta nera e dei jeans scuri. Di certo, la mia intenzione per quella sera non era quella di rimorchiare...
Li raggiunsi e presi posto accanto a loro.
Finalmente Kate aveva il povero Dawson a cui raccontare tutta la sua vita ed io potei smettere di ascoltare la sua voce fastidiosa ed isolarmi un po' nei miei pensieri.
Ad un tratto, presentarono Nathan, come nuovo capitano della squadra di football. È vero che era indeciso sul suo futuro, ma la scalata a quella maglia l'aveva fatta egregiamente, nello sport non lo batteva nessuno.
Ricordo che l'anno passato, quando avevano presentato il capitano della squadra, lui mi aveva detto: "Vedrai, l'anno prossimo quella maglia sarà mia", ed aveva avuto ragione.

«Ragazzi, vado a prendere una birra, volete qualcosa?» proposi, per fare una pausa e sgranchirmi un po' le gambe.
«Oh, grazie, tesoro... io una Coca zero. Sai, meglio evitare l'alcol... Chi ben comincia, è a metà dell'opera!» rispose ironica Kate.
«Per me una birra va bene, ti ringrazio Eve» sorrise Dawson.
Mi incamminai verso il chiosco, illuminato da una grande faro al neon ed avvolto in una cappa di fumo per via della carne arrostita. Ciò che balzò ai miei occhi fu una coda interminabile di gente, che aspettava di fare la sua ordinazione.

Nell'attesa, presi il telefono dalla tasca dei jeans e scrissi un messaggio ad Amira: "Ho conosciuto la mia nuova compagna di stanza. Preferivo te. Mi manchi, amica mia", e inviai.
Quando al primo anno conobbi Amira, sin da subito, con quei suoi grandi occhi castani e i lunghi capelli neri come la pece, mi diede la sensazione che, in qualche modo, si sarebbe presa cura di me. Ed era stato proprio così. Condividere la stanza con lei era come essere sempre in compagnia di una sorella maggiore. Durante il secondo anno, mi era mancata davvero tanto ed ero certa che avrei ancora sentito la sua mancanza.

Quando riemersi dai miei pensieri, mi accorsi che era quasi arrivato il mio turno. Notai un uomo, alto e dalla corporatura slanciata, sorpassarmi elegantemente e chiedere qualcosa a Mr. Tom del chiosco.
"Ma c'ero prima io...", pensai.
Gli bussai sulla spalla.
Certe ingiustizie, più di altre, mi hanno sempre istigato a farmi valere.

«Ehi tu, scusa... non vedi che c'è la fila?» chiesi, alzando la voce.
L'uomo afferrò due birre e si girò verso di me.
Due occhi da orientale color cioccolato fondente mi fissarono senza battere ciglio ed io rimasi lì, immobile, senza neanche riuscire a deglutire.

«Perdonami» esordì con un sorriso «Tom sapeva già cosa dovevo prendere e mi ha fatto saltare la fila. Cosa bevi?» mi chiese, spiazzandomi.
«Ehm... birra, perché?» risposi istintivamente.
«Ecco a te» disse e mi strizzò l'occhio, porgendomi uno dei bicchieri che aveva in mano «così non puoi dire che ti ho superata...».
Afferrai meccanicamente il bicchiere.
Poi ci ripensai: «Grazie, ma non posso accettare» dissi, provando a porgerglielo nuovamente.
«Facciamo che la prossima la offri tu» sorrise, mostrando dei denti bianchi e perfetti, scontrò il bicchiere contro il mio e si allontanò prima che potessi avere il tempo di ribattere.

Ricordo che rimasi intontita per qualche secondo e poi mi incamminai sugli spalti, mentre uno stupido sorriso mi si dipingeva pian piano sul volto.
I suoi, erano gli occhi più belli, intensi e particolari che avessi mai visto.

«E le nostre?» mi domandò Kate, indicando il mio bicchiere.
Ah, sì... avevo completamente dimenticato Kate e Dawson.

Per tutto il resto della cerimonia non feci altro che cercare con lo sguardo il misterioso ragazzo del chiosco.
Comprai un'altra birra, quella che avrei dovuto offrirgli per pareggiare i conti, ma a furia di cercarlo senza alcun successo, alla fine, un sorso alla volta, me la scolai, ritrovandomi, in men che non si dica, la testa piuttosto leggera.
Nathan non aveva fatto altro che tenermi gli occhi addosso per tutta la sera e non potevo negare che fosse davvero sexy nei panni del capitano della squadra.

Verso la fine della cerimonia, persi di vista Kate e Dawson e, mentre vagavo piuttosto disorientata tra la gente per cercarli, Nathan mi si parò davanti.
«Hai finito con queste birre?» mi chiese, togliendomi il bicchiere, ormai vuoto, dalle mani. «Non ti ho mai vista bere più di mezzo bicchiere, che ti prende?»
«Nathan niente, volevo solo divertirmi un po'...» risposi, sfiorandogli inavvertitamente il braccio.
«Eve, che fai?» mi chiese con un ghigno furbetto sulle labbra.
«Non posso neanche sfiorarti?».
Chiaramente, era più la birra a parlare e ad agire che io.
«Certo, che puoi farlo. È solo che non lo facevi da quella sera, beh, insomma, sai...».
Sì, non lo facevo dalla sera in cui avevamo deciso di essere solo e soltanto amici.

«Sai che ti dico?» risi. «È una cosa normale tra due amici...»
«Amici...» ripeté lui.
«Sì, perché? Non credi che possiamo essere amici?»
«No, in realtà non l'ho mai creduto.»
«E perché?»
Mi prese per la nuca, mi avvicinò a sé e, prima ancora che io potessi rendermi conto delle sue intenzioni, mi baciò.
«Perché ti voglio, Eve».

Rimasi immobile. Era chiaro che la situazione mi stesse sfuggendo dalle mani.
"Forse non sono poi così lucida...", pensai.
«È meglio che io vada a stendermi un po', Nat...»
«Il mio compagno di stanza non c'è, vuoi venire a dormire da me?».
Per quanto mi toccasse ammettere che la tentazione in quel momento era davvero forte, declinai l'invito, per evitare di fare cose di cui avrei potuto pentirmi, una volta smaltita la birra.
«Preferisco di no, sono molto stanca. Ci vediamo domani» dissi, gli posai un bacio sulla guancia e andai via.

Quando rientrai in camera, Kate era già nel letto.
«Ehi, dove sei finita? Ti abbiamo persa...» disse.
«Mi sono fermata a fare due chiacchiere con un amico» risposi, provando a liquidarla in fretta.
Quando finalmente mi misi a letto, nel buio sentii di nuovo la sua voce.
«Oh, Eve! Ho trovato il ragazzo che voglio conoscere. È quel Nathan Brooks della squadra di football...».
"Ecco, ci mancava anche questa", pensai, ma non accennai ad alcuna risposta.
Nella mia mente non facevo altro che rivedere quei meravigliosi occhi a mandorla del ragazzo del chiosco.

Se solo avessi saputo cosa sarebbe accaduto l'indomani, sono certa che avrei passato l'intera notte insonne a fissare il soffitto, contando persino i secondi.
Fortuna che la vita non ci dica mai quando sta per accadere qualcosa che cambierà per sempre il corso della nostra vita.

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