Capitolo 13

Un ballo nel silenzio




«Vuole viverne uno... stasera?».
Quella sua proposta mi lasciò letteralmente senza fiato e non potei fare a meno di sorridere.
«Sì...» trovai il coraggio di rispondere.
«Bene, abbiamo un'oretta prima dell'inizio. Dovremmo mangiare qualcosa, che ne dice?».

A pochi passi dal teatro, c'era un piccolo, elegante ed accogliente bistrot. Ci accomodammo ad un tavolino all'interno. Calpestai con i miei tacchi a spillo un pavimento di granito nero, con lunghe linee bianche, che richiamavano i colori di tutto l'arredamento del posto. Camminai lentamente dietro di lui, illuminata solo dai faretti di luce calda posizionati lungo tutto il perimetro del locale.

Non solo non riuscivo a credere di essere sul punto di cenare con Ruiz, ma la cosa che più mi lasciava senza parole era che la nostra prima cena sarebbe stata anche in abiti eleganti.
Un pensiero, però, continuava a vorticarmi nella testa: “Dov'è Elisabeth?”.

Lasciai che Ruiz si occupasse delle nostre ordinazioni. Con fare esperto, consultò il menù, chiedendo alla cameriera dettagli su ingredienti e preparazioni.
Aveva quel modo di fare elegante e sempre padrone della situazione, che mi faceva credere fermamente di essere al fianco della persona migliore che avessi incontrato in vita mia.

Ricordo ancora quel momento, come se lo stessi vivendo adesso. Lo osservavo con quel bagliore negli occhi, che ti regalano solo gli istanti inaspettati, mentre in sottofondo la soave voce di Norah Jones cantava “The long day is over”.
Era seduto al mio fianco. Lentamente il mio sguardo percorse il suo profilo: gli occhi a mandorla contornati da ciglia sottili, il naso imponente e le labbra... quelle labbra carnose e morbide, anche solo alla vista, la barba sempre curata e quel ciuffo di capelli corvini, così, come a completare tanta perfezione.

Avrei voluto prendergli la mano, sfiorare ancora una volta la sua pelle dal tocco divino e sentire quella immancabile, minuscola e magica scarica elettrica.
Ma le sue parole - fortunatamente - mi dissuasero dai miei pensieri.

«Sembra che più di un pensiero stia accarezzando la sua mente, Miss Valentine...».
Lo guardai dritto negli occhi e sorrisi. Colpita e affondata.

Stavo per chiedergli come facesse a saperlo, quando lui continuò: «Ormai, ho imparato a leggerglielo negli occhi... non può mentire. A cosa pensa?».
Una cameriera ci raggiunse, ponendo dinanzi a noi due calici di vino rosé.
Ringraziai e presi un sorso, come se potessi bere da quel calice il coraggio necessario per rispondergli sinceramente.

Posai un gomito sul tavolo e appoggiai il viso alla mia mano.
«Al suo modo di fare...» confessai. «Sempre così a suo agio, dappertutto e in ogni situazione... sarebbe strano se le dicessi che la invidio molto per questo?».

Lui sorrise: «È solo una consapevolezza di se stessi che si acquisisce col tempo. Lei è giovane... anche se diversa dalle sue coetanee».

“Diversa dalle sue coetanee”: volevo capirci di più di quella risposta.
«Cosa intende?»
«Il suo amore per l'arte in ogni sua forma, il suo disinteresse per la vita mondana universitaria ed il suo modo di fare... lei è inconsapevolmente coraggiosa e... sensuale» disse.

«Oh, ma io... non mi sento né coraggiosa né, tantomeno, sensuale...» ribattei, e sentii le mie guance arrossire rapidamente, non so se per il vino o se per quella sua piccola rivelazione.
Lui sorrise: «Appunto, lo è “inconsapevolmente”...».

La cameriera adagiò delicatamente le portate dinanzi a noi, interrompendo quel momento così carico di una strana elettricità, che mi fece quasi contorcere lo stomaco.

Aveva ordinato per noi del salmone alla piastra su un letto di hummus di ceci aromatizzato al limone e pepe rosa.
Sono certa che riuscii a mangiare al suo fianco solo per i morsi della fame e l'aspetto invitante di quel piatto.

«Non mi ha detto... ha poi letto il mio romanzo?» mi chiese a bruciapelo.
«Sì, la maggior parte in una sola notte, in realtà...» ammisi.

Lui sorrise, rivelando delle piccole e meravigliose rughe al lato dei suoi occhi.
Teneva lo sguardo basso sul suo piatto, quando mi chiese: «Che gliene pare?».

Posai forchetta e coltello, mi occorreva una pausa per articolare al meglio quella risposta. Sentivo di camminare in un campo minato.
Presi un sorso di vino, come ormai avevo iniziato a fare per prendere coraggio.
«Intenso, a volte un po' crudo ma con quel velo passionale che ho apprezzato molto... però, avrei una curiosità...»

«Prego, mi dica...»
«Ho percepito un che di autobiografico. Mi sbaglio?».
Lui rise.
«È ormai famosa per la sua perspicacia... no, non sbaglia».

Quelle parole mi generarono una fitta di gelosia. C'era stata davvero una donna che gli aveva fatto provare così tante emozioni contrastanti... mi chiesi se, quella donna del romanzo, non fosse proprio Elisabeth.

Lui sembrò percepire il mio pensiero e aggiunse: «È stata una storia vissuta quando ero più giovane... molto intensa ma anche molto disfunzionale. Le storie che più nutrono le nostre emozioni sono quelle che hanno un qualcosa di sbagliato, di fuori dalle regole, di pericoloso...» disse, con i suoi occhi fissi nei miei.

Il vino stava cominciando a fare il suo effetto e la mia voglia di toccare la sua pelle cresceva in un modo che non sarei stata capace di spiegare. Come un'onda che lentamente ma con forza era destinata a scagliarsi sulla riva.

Prese l'ultimo sorso di vino rimasto nel suo calice e guardò l'orologio.
«Andiamo? Sta iniziando proprio ora...» chiese in un sorriso.
Ed io non potei che annuire, pronta a quella nuova piccola avventura insieme.

Giungemmo in quello che, dall'esterno, sembrava essere un locale da ballo. Scendemmo delle scale, e ci accolse un uomo, indicandoci il botteghino. Dopo aver fatto i biglietti, ci consegnarono due piccole cuffie wireless nere ed entrammo nella sala.

La vista di quell'evento mi lasciò senza parole, come sapeva fare ogni azione del professor Ruiz.
In pista, c'erano tantissime persone che si muovevano nello spazio in quello che, a me, sembrava essere un assoluto silenzio.
Mi sembrò di essere in un sogno, con quel modo ovattato e magico di vedere gli eventi che si riesce a vivere solo a livello onirico.

«Sa ballare la bachata, vero?» mi chiese con un sorriso furbo.
Fortuna volle che avevo imparato qualcosa dei balli caraibici durante una vacanza quando avevo solo tredici anni e così annuii.

In quel momento, non mi preoccupai di quanto fosse folle l'idea che un professore di scrittura creativa ballasse la bachata, cosa su cui riflettei solo in seguito. In quel momento, pensai solo che le sue braccia stavano per stringermi ancora una volta.

Indossò le cuffie ed io feci lo stesso. Mi prese dolcemente la mano e mi portò sulla pista da ballo. Nelle cuffie, era appena iniziata una canzone. Un'introduzione di quelle note di violino tipiche del tango e poi un sottofondo di ritmo latino di bachata, con la voce sensuale di Romeo Santos.

Pose, delicatamente ma in modo deciso, la sua mano sulla corta giacca di pelle che indossavo sull'abito, e mi strinse l'altra mano nella sua.

Il mio cuore cominciò a palpitare pericolosamente. Mi sentivo avvolta dalle sue braccia forti, respiravo nel suo collo quel profumo, che riusciva a mandarmi in estasi, e ci muovevamo insieme, perfettamente a tempo, su quella musica indubbiamente sensuale.
Scoprii subito che ballava divinamente.

Ad un tratto, posò la mia mano, quella che stringeva nella sua, intorno al suo collo e mi strinse a sé con entrambe le braccia.
Sentivo il mio respiro farsi sempre più corto, non so se per i passi o se per la sua vicinanza. Così, chiusi gli occhi, e mi abbandonai totalmente al controllo e al potere che quell'uomo aveva su di me.

Quando la canzone finì, proseguimmo con quella successiva, dai ritmi meno sensuali e più dolci. Conoscevo quel brano: Confièsale di Dani J.
Pensai che, quello che stringevo a me, fosse l'uomo più interessante, attraente e simile a me che avessi mai conosciuto. Avevo un'incontrollabile voglia di sfiorare quelle labbra, anche solo per una volta...

Interruppe i miei pensieri lanciandomi in un casqué ed io mi abbandonai alla forza dei suoi muscoli. Ebbi un capogiro e mi strinsi forte a lui. Sorrise e continuammo a ballare vicini, con il bacino uno attaccato all'altra, con le sue mani su di me e le mie su di lui, in un gioco al massacro sempre più irrimediabilmente eccitante.

Dopo quel ballo, facemmo una pausa. Prendemmo qualcosa da bere e ci accomodammo ad uno dei tavolini a bordo pista.
«Dove ha imparato a ballare così?» gli chiesi.
Lui rise.
«Quando ero piccolo, frequentavo una scuola di ballo con i miei zii. Volevo addirittura diventare insegnante di ballo...»

«E poi? Cosa è successo?»
«Ho scoperto che la passione per la letteratura era più forte, mi sono iscritto al college e così ho fatto comunque l'insegnante, ma di un'altra materia» rispose, ridendo.

«Questa mi piace molto» disse, ascoltando dalle cuffie posate sul tavolo una canzone. «Andiamo».
Tolsi la giacca, la posai sulla sedia, e lo raggiunsi in pista.

Mentre ballavamo, ad un tratto, mi spostò delicatamente la cuffia e sussurrò: «Ora che ha tolto la giacca, Miss Valentine... non posso più metterle le mani nel vestito».

Sentii un capogiro improvviso, lo stomaco contorcersi e quasi mi mancò l'aria.
Istintivamente, spostai la sua cuffia e gli sussurrai in un orecchio: «Veramente, adesso... può metterle meglio...».

«Ma, adesso, se lo faccio... lo vedono tutti...»
«È questo il bello: il rischio che lo vedano tutti...».

Lui mi guardò negli occhi con un'aria furba e sensuale, sistemò la mia cuffia e poi la sua, continuando a perderci su quelle dolci note.
E fu in quel momento che capii che entrambi stavamo pericolosamente abbassando le nostre difese, l'uno nei confronti dell'altra. La vicinanza fisica, l'alcol, quei balli afrodisiaci e sensuali.

Quando avvertì che avrebbe potuto perdere il controllo, decise di porre fine alla nostra magica ed inaspettata serata.
«Si è fatto tardi, che ne dice se torniamo a casa?» mi chiese, spostandomi un ciuffo di capelli dal viso.
Avrei voluto restare lì, con lui, ma non potei dirglielo, e così annuii.

Mi accompagnò al college e, una volta arrivati, inaspettatamente, scese dall'auto.
Mi raggiunse e, guardandomi negli occhi, mi disse: «Grazie...».
«Grazie a lei, sono stata davvero bene stasera...»

«Lo so, non ha fumato...» sorrise.
Ricambiai il suo sorriso. Come riusciva a farmi smettere di pensare al fumo, ancora oggi non me lo spiego.

«Posso chiederle una cosa, professor Ruiz?»
«Prego, Miss Valentine...»
«Mi ha definita coraggiosa e sensuale... perché?»
«Una persona non coraggiosa, non starebbe qui, con un suo professore. E sensuale, beh... penso che il mio corpo le abbia già dato la risposta che cerca...» rispose, sfiorandomi la guancia con le dita. «Buonanotte, Miss Valentine...».
«Buonanotte professor Ruiz» risposi.

Mi incamminai verso l'ingresso dei dormitori. Quando mi voltai indietro, solo per guardarlo un'ultima volta, vidi la sua auto partire, diretta verso casa. “Verso Elisabeth”, pensai.

Rientrai nella mia camera e, ancora avvolta in quell'abito da principessa, mi stesi sul letto. Avevo davvero vissuto una favola. Una favola moderna, con un principe sexy e acculturato. Tutto quello che non avevo mai neanche lontanamente sognato in un uomo, lui lo racchiudeva alla perfezione.

Nella mia mente, immaginai la fine perfetta di quella serata: le mie labbra sulle sue. Sentirne il sapore ed il tocco... e, in un attimo, ebbi un irrefrenabile impulso a buttare su un foglio bianco quelle emozioni, come per cercare di renderle eterne.

Fu così che, finalmente, iniziai a scrivere il racconto per il suo esame.
Trascorsi su quel letto, con il PC tra le mani, tutta la notte, ma quello che non sapevo era che quel racconto, ancora una volta, avrebbe cambiato tutto, per sempre.


Spazio autrice: Bentrovati amiche ed amici lettori! Vi sono mancata? 😜
Con l'augurio che questo nuovo anno possa portare la serenità che tanto desideriamo ed avverare i nostri più profondi desideri... oggi ho pensato ad un doppio appuntamento!
Spero tanto che i capitoli vi siano piaciuti ⭐
Vi aspetto nei commenti, come sempre!
Un bacio e buon 2021 🍾

C. ❤️

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