Capitolo 10

Little Louvre




Quella stessa sera, dopo lo spettacolo e la rivelazione di Ruiz, Amira - a cui non sfuggiva mai niente - decise di trascinarmi in un bar per distrarmi e fare due chiacchiere.
«La mia fidanzata...» ripetei. «Ha detto proprio: la mia fidanzata?».
«Sì... Eve, stai bene?» mi chiese lei, di rimando, passandomi un cocktail.

Avevo vissuto il momento più magico e più terribile con Ruiz nella stessa mezz'ora. Ero talmente confusa e frastornata che avrei voluto solo annegare nell'alcol.

«Non so spiegare come mi sento. Voglio dire, non era tenuto a darmi informazioni sulla sua vita personale ed io non mi ero mai posta il problema che potesse avere una fidanzata...» commentai, sorseggiando il mio margarita.

«Eve, devo farti questa domanda...» disse lei, dolcemente, prendendomi la mano. «Non è che ti sei innamorata di Ruiz?».
La guardai negli occhi per un attimo e poi abbassai lo sguardo. Ripensai a quando ero tornata in camera dopo le prove, con il suo profumo ancora sui vestiti, e ai pensieri che avevo fatto su di lui, sola con me stessa, quando mi ero messa nel letto.
Pensai che, forse, non avesse tutti i torti.

«Se così fosse... ormai non conta più nulla» sentenziai.
Amira mi sorrise.
«Non ti ho mai vista come quando sei con lui, Eve. Come stasera, su quel palco... Prenditi del tempo, pensaci su, ma se senti che il tuo cuore ha cambiato battito da quando nella tua vita c'è questa persona... non arrenderti. In fondo, tutto quello che avete vissuto è stato comunque reale».

Amira ha sempre avuto la capacità di farmi sorridere nei momenti bui, di donarmi la sua positività e di aiutarmi non perdere mai la speranza.
«Non so come farò a rivederlo giovedì a lezione...» dissi, socchiudendo gli occhi.
«C'è solo una cosa che puoi fare, comportarti come hai sempre fatto» concluse, strizzandomi l'occhio.

Per evitare di pensare a Ruiz e alla sua fidanzata dai boccoli color sangue, nella settimana seguente, mi immersi completamente nello studio.
Trascorsi la sua lezione del giovedì ad ascoltarlo con gli occhi bassi, senza prendere la parola e, anche lui, grazie ad una sufficiente dose di fortuna, non mi interpellò.
Fu la prima volta in cui quelle due ore mi sembrarono non passare mai.

Due giorni dopo, era già arrivato il primo weekend di dicembre.
I genitori di Kate le avevano dato un biglietto per un allestimento chiamato “Little Louvre”. Si trattava di un'esposizione di riproduzioni dei quadri e delle sculture i cui originali erano conservati al Museo del Louvre di Parigi, organizzato in Kennedy Boulevard da due artisti emergenti.

Kate, come sempre, preferì una festa della confraternita con alcol, musica e Nathan e così, impaziente di liberarsene, cedette a me il suo biglietto.
Lo accettai con quel po' di gioia che potevo provare, nonostante le sensazioni contrastanti che stavo vivendo. Capitava a fagiolo: avevo solo voglia di starmene da sola, tra una folla sconosciuta, ad ammirare opere d'arte. Avevo bisogno di pensare, di far prendere aria al cervello e ai miei sentimenti per il professor Ruiz che, a furia di reprimerli, stavano morendo asfissiati. Ed io con loro.

Quel sabato sera, arrivai in Kennedy Boulevard che erano le otto passate. Nel periodo di Natale, quel quartiere di Brightintown, prendeva vita con una miriade di lucine colorate, addobbi dai colori natalizi, allestimenti di presepi e piccoli abeti ornati dalle più assurde decorazioni. Se ne poteva trovare uno fuori ad ogni, anche piccolo, negozio.

Mi è sempre piaciuta l'atmosfera natalizia, mi ha sempre trasmesso calore, gioia e un senso di famiglia. Quasi come se tutte quelle decorazioni fossero lì per ricordarti che non sei solo. E anche quella sera, sentii sulla pelle proprio questa sensazione.

Camminavo tra la gente, stringendomi nel mio cappotto nero e sistemandomi, di tanto in tanto, sulla testa il cappello bordeaux con la falda che indossavo. Non so se lo scelsi per il clima particolarmente rigido o per nascondermi sotto di esso.

Giunsi alla mostra, era all'aperto, c'erano delle dolci melodie suonate al pianoforte di sottofondo e un uomo, tutto vestito di nero, all'ingresso che ritirava i biglietti. Gli porsi il mio e mi lasciò passare.

Ero intenta ad osservare la piccola e graziosa riproduzione di Amore e Psiche, la cui scultura originale sapevo essere dell’artista italiano Antonio Canova. L'opera ritraeva Amore e Psiche guardarsi, come se fossero sul punto scambiarsi un bacio.
Guardando quegli amanti non potei non pensare al professor Ruiz e, in quell'istante, mi parve addirittura di sentire la sua voce.

«Lei è proprio una ventenne anomala...».
Il profumo deciso e familiare, che percepii nell'aria pungente, fugò ogni mio dubbio. Alle mie spalle, doveva esserci davvero il professor Ruiz.
Mi voltai e ne ebbi la assoluta conferma.

«Buonasera...» lo salutai con un sorriso.
Istintivamente, mi sorpresi a cercare Elisabeth accanto a lui o perlomeno nei paraggi. Ma, di lei, nessuna traccia.
«Salve, Miss Valentine... Amore e Psiche, eh? Le piace?» mi domandò.

I miei occhi tornarono sulla piccola statuetta.
«Finora, è la mia preferita. Certo, sarebbe meglio l'originale, ma...» ebbi la risposta, stranamente, pronta.

«È mai stata a Parigi?» mi chiese, passando ad ammirare l'opera successiva.
Come incantata, lo seguii: «No, non ho mai viaggiato all'estero.»
«Neanche io ci sono stato, ma mi piacerebbe molto...» rispose. «È qui con qualcuno?».
Lui lo chiedeva a me, assurdo.

«In realtà no... non è così facile trovare qualcuno che ami l'arte. E lei?» ricambiai quella domanda, in un impeto di coraggio.
«Solo anche io. Ha ragione, sa? L'arte non è per tutti».

Come sulla base di una sorta di invito tacito e reciproco, continuammo il giro per la mostra insieme, uno accanto all'altra, raccontandoci ciò che sapevamo delle opere - ovviamente lui ne sapeva molto più di me - ed io dimenticai totalmente l'esistenza di Elisabeth, almeno per un po'.

Avevo cercato, inconsciamente, di temporeggiare più che potessi davanti a ciascuna delle opere, per passare più tempo possibile in sua compagnia, ma il professor Ruiz, come sempre, mi stupì.

«Conosce il Parisienne?» mi chiese.
Io scossi la testa, non ne avevo mai sentito parlare.
«È un bar in pieno stile parigino, si trova a pochi passi da qui. Andiamo ad assaggiare le loro Mince Pies? Ho sentito dire che sono le migliori».
Ovviamente, accettai al volo la sua proposta.

Varcammo l'ingresso del Parisienne, completamente ricoperto di lucine piccole e di un rosso brillante. I tavolini, nel classico vimini intrecciato tipico dei bar parigini, erano situati in una sorta di piccolo giardino al coperto.
Prendemmo posto, uno di fronte all'altra, ad uno di essi. Mentre il professor Ruiz faceva le ordinazioni, io venni rapita dall'atmosfera surreale intorno a me, completata dalle note di “It's beginning to look a lot like Christmas”, cantata dalla voce di Michael Bublè.
Avevo la sensazione di essere in uno di quei romantici film di Natale.

«Le piace il Natale...» commentò lui, osservandomi.
Sorrisi: «Da cosa lo ha capito?»
«Osserva gli addobbi con uno sguardo da bambina».
Mi coprii istintivamente gli occhi con le mani.
«Non c'è niente di cui imbarazzarsi» disse «è una cosa dolce».

La cameriera ci posò davanti un piattino pieno zeppo di Mince Pies ed io ne addentai subito una. Lui fece lo stesso.
«Dove ha lasciato il suo ragazzo stasera?» mi chiese a bruciapelo.
“Ragazzo? Quale ragazzo?”.
Il mio sguardo doveva avere un'aria chiaramente interrogativa, perché proseguì: «Mr. Brooks... non è il suo ragazzo?»

«Oh, Nathan... no, è un mio amico» risposi.
Lui sorrise.
«Non penso che lui la veda allo stesso modo...» commentò.
«Cosa intende?»
«Il modo in cui la guarda... non mi dica che non se ne è resa conto. Lei è dotata di un'acuta perspicacia, Miss Valentine...»
«Qualcosa ho notato...» risposi, con aria un po' furba e un po' lusingata.

Il suo sguardo vagò intorno a noi e il mio lo seguii di rimando. Mi chiesi se si stesse preoccupando di incontrare in quel bar qualcuno che conoscesse e che potesse vederci insieme.
«Cosa osserva?» non riuscii a trattenere la domanda.

«Io osservo sempre tutto» sorrise. «Mi piace provare a capire le persone dai loro più piccoli ed impercettibili gesti. Guardi, ad esempio, quella coppia in fondo... secondo lei, che legame c'è tra di loro?».

I miei occhi scrutarono la coppia che mi aveva indicato. La donna aveva dei capelli biondo cenere, raccolti in modo disordinato da un fermaglio tempestato di brillanti, una pelliccia di visone e le unghie laccate di un rosso caldo e lucido. Era intenta a sorseggiare un calice di vino rosè. L'uomo, seduto alla sua sinistra, aveva dei capelli scuri, elegantemente pettinati all'indietro con del gel, delle folte sopracciglia ed un cappotto scuro. Beveva quello che mi sembrò essere uno schotch.

Poi i miei occhi tornarono sul professor Ruiz.
«Marito e moglie?» azzardai.
Lui sorrise.
«I dettagli... Miss Valentine» mi ammonì, con dolcezza.

Mi girai nuovamente. Vidi l'uomo spostarle un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.
Avvertii un tocco delicato sulla mia mano e poi la sua voce sussurrare: «Le mani...».

Posai lo sguardo prima sulle mani della donna e poi su quelle dell'uomo.
Quando capii, sorrisi. Lui indossava una fede nuziale, lei no.
«Amanti...» sussurrai.
Lui mi strizzò l'occhio.
«La gente inconsciamente rivela di sé molto più di quello che pensa... la verità è sempre davanti a gli occhi di chi la osserva... nei dettagli».

Aveva ancora la sua mano delicatamente poggiata sulla mia ed io mi concentrai a non muoverla neanche di un millimetro.
«E se qualcuno osservasse noi, che cosa penserebbe?» chiesi con tono, forse un po' troppo, provocante.
Lui spostò la mano e: «Probabilmente la stessa cosa» rise.

«Mi dispiace dirlo ma... questo prova che la sua teoria è sbagliata» dissi, prendendo un sorso del mio Eggnog.
Lui scosse la testa, sorridendo. Sembrò come se avesse la risposta ma non potesse darmela.
«Magari siamo solo l'eccezione...» rispose poi.

Diedi un'altra rapida occhiata alla coppia e ora si stavano baciando. Sopra le loro teste ricadeva, quasi certamente a loro insaputa, un mazzolino di vischio. Mi sembrò un momento così magico... e pensai che avrei tanto voluto non essere proprio io quell'eccezione.
«Hanno anche il vischio...» commentai.

Ruiz alzò lo sguardo, indicando qualcosa sopra di noi. Sollevai gli occhi e notai che lo stesso piccolo mazzolino di vischio pendeva anche sulle nostre teste.

Lo guardai fisso negli occhi per qualche istante, che mi sembrò interminabile, e dovetti combattere contro ogni cellula del mio corpo per non aggredire dolcemente le sue labbra.

Poi un telefono iniziò a squillare.
Tastò frettolosamente le sue tasche, lo prese e rispose.
«Pronto? Ho girato in lungo e in largo, ma non l'ho trovato... potremmo cambiare regalo» disse, rispondendo di sicuro ad una domanda.

Capii che stava spudoratamente mentendo su dove fosse e su cosa avesse fatto.
«Va bene, amore. Ti raggiungo. Dammi dieci minuti. Ciao» aggiunse, con la sua voce tranquilla e controllata.

“Amore...”, d'improvviso risentii quella sensazione della sera dello spettacolo. Un vuoto al centro preciso del petto.
Bevvi quello che rimaneva del mio Eggnog, cercando di fingere totale indifferenza.

Lui chiuse il telefono e: «Mi dispiace, ma ora devo proprio andare...» annunciò. «Posso accompagnarla al college, se vuole... mi è di strada...» mi disse.
Non sapevo che cosa rispondere: una parte di me voleva dileguarsi all'istante dopo quella telefonata che mi aveva riportata alla realtà, sottolineando l'esistenza di Elisabeth, ma, d'altra parte, un passaggio mi avrebbe evitato di prendere i mezzi a tarda sera e non era certo un male.

«Oh, non si preoccupi. Non voglio crearle disturbo...» mi limitai a rispondere.
«Nessun disturbo, gliel'ho detto, mi è di strada...» ripeté.
Così accettai.

Fu allora che vidi per la prima volta l'auto di Ruiz. Aveva un'utilitaria prodotta da una multinazionale giapponese, color carta da zucchero.
Salii a bordo e non dissi una sola parola, finché non giungemmo alla mia destinazione. Mi limitai a guardare la strada, a respirare quel suo avvolgente profumo, di cui l'auto era intrisa, e ad ascoltare la musica di sottofondo.

«Eccoci» disse, una volta alle porte del college.
«La ringrazio per il passaggio» risposi, tirando le labbra in un lieve sorriso.
«Ci vediamo a lezione, Miss Valentine» mi salutò ed io annuii, richiudendo lo sportello.

Camminavo con la testa bassa sul prato antistante alle porte del college, ripensando a quanto fossero state surreali quelle ultime due ore, quando avvertii qualcuno pararsi davanti a me.
Alzai gli occhi e rimasi immobile: «Nathan!»
«Vuoi continuare a negare, Valentine?».


Spazio autrice: Per festeggiare insieme la vigilia di Natale, ho deciso di pubblicare anche oggi questo romantico capitolo. Spero che vi sia piaciuto ❤️
In attesa del prossimo, lasciatemi qui i vostri pareri, commenti e ⭐...
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di questa storia!
Con l'augurio che questo Natale possa portarvi ciò che più desiderate...
Un bacio, C. ❤️

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top