8.

Charles ed Erik si erano così immersi nella lettura che non si resero nemmeno conto della tarda ora che aveva aumentato la loro stanchezza, e del numero di pagine che la voce di Charles aveva divorato senza sosta. Con gli occhi rossi e la luce dell'abat jour troppo debole contro la notte buia e fredda che si era lentamente posata sugli alberi tra il bosco in lontananza, Charles chiuse il libro con delicatezza, poggiandolo sul materasso. Con i palmi delle mani si strofinò gli occhi stanchi, schiarendosi la voce rauca con un borbottio silenzioso accompagnato da un sorriso dolce. Charles aveva il capo poggiato sul cuscino bianco del letto, ma allo stesso tempo la sua nuca, ancora avvolta dalla sciarpa nera, manteneva il contatto con il bicipite di Erik, che con il gomito piegato in alto, accarezzava di sfuggita alcune ciocche più o meno lunghe dei capelli del minore. Erik aveva il viso distante dal profilo di Chalres, ma i suoi occhi vuoti e gelidi non riuscirono a dividersi dalla sua immagine; era come un varco nelle nuvole tra un rovescio di pioggia e l'altro, l'unico spiraglio limpido che colorava il cielo di sfumature più o meno nitido o acceso. Erik sorrise, perso nei suoi pensieri e soprattutto nella particolare bellezza timida di Charles; il cuore prese improvvisamente a battergli forte, e quella vicinanza tra i loro copri gli apparve improvvisamente intima e speciale. Con il viso scarnito improvvisamente rosso, e le labbra serrate in una specie di imbarazzo, il maggiore si sfilò velocemente dal peso di Charles, sistemandosi a cavallo del suo bacino in un raptus veloce e improvviso. Il minore rimase a fissarlo totalmente pietrificato da quell'iniziativa, respirando irregolarmente con le labbra carnose appena socchiuse, gli occhi azzurri diventati enormi, e i polsi tenuti fermi dalle mani bollenti del maggiore.
«Turadh.» disse Erik, con un sorriso sopraffino.
Charles aggrottò la fronte, scuotendo la testa con espressione interrogativa.
«Cosa? Che ti prende?»
«È una parola scozzese, me l'ha insegnata mia madre, quando ero piccolo. Parlava quattro lingue diverse.»
«E cosa significa?» domandò ancora Charles, con un filo di voce più attento.
«Letteralmente è uno spiraglio di cielo tra le nuvole durante un temporale.»
Charles rimase senza parole; quello che gli si presentava davanti era un nuovo Erik, un ragazzo romantico e malinconico, pronto a mettere da parte qualsiasi tipo di imprecazione e sarcasmo. Fusero i loro sguardi in un lasso di tempo indistinto, sincronizzando i loro respiri, mentre il calore del corpo di Erik sopra quello di Charles aumentava gradualmente.
«Non mi piaceva lo scozzese, ma tu mi hai fatto ricordare questo vocabolo particolare.»
«Ne conosci altri?» chiese Charles; lo sguardo assottigliato da una nuova curiosità, alimentata dalla provocazione palesemente sessuale che il ragazzo aveva assunto senza volerlo.
«Oh, sì. Sei il mio neach-gaoil...» Erik si piegò più vicino a Charles, che si contorse lentamente sotto la sua morsa, mordendosi il labbro. Quello che stava succedendo era nato dal nulla, forse guidato da un istinto involontario, ma ormai divenuto impossibile da fermare.
«E cosa significa?»
«Sei il mio tesoro...» il sorriso malizioso di Erik mascherò la sua bugia; era vera quella versione della traduzione, ma aveva tralasciato un particolare molto importante, ovvero il nocciolo distintivo di quella parola, che foneticamente intraducibile in altri modi descriveva letteralmente il proprio innamorato.
Charles era quello per Erik?
Di certo il tossicodipendente aveva condotto una vita di eccessi e perversioni, dove i suoi rapporti passionali si divulgavano tra uomini e donne, esclusivamente di natura sessuale. Per quanto potesse ricordare, Erik non aveva mai provato un sentimento d'amore nei confronti di una persona, la quale era accolta dalle sue grazie soltanto per soddisfare i suoi appetiti erotici assecondati dall'effetto delle droghe.
Si sentì ridicolo a pensare che Charles potesse essere il suo innamorato, colui capace di fargli battere il cuore così forte; doveva per forza essersi sbagliato, dopotutto Erik non faceva sesso con qualcuno da troppo tempo, e quell'improvvisa vicinanza doveva per forza averlo mandato fuori di testa.
Scosse la testa, accarezzando con estrema pacatezza la guancia liscia e rosea di Charles, che sotto il suo tocco chiuse gli occhi.
«No, non ti si addice, troppo monotono e lungo. Tu, Charles Xavier, tu sei solasta
Erik non gli diede nemmeno il tempo di chiedere l'ennesima spiegazione di quel vocabolo, quando la voce profonda e sincera del maggiore gli sussurrò troppo vicino al viso: «Luminoso, splendente, come un raggio di luce che riflette nell'oceano lilla dell'alba.»
Charles si trovò improvvisamente derubato del respiro, limitandosi a fissare il viso perfetto di Erik che lo teneva in vita, ladro affascinate del suo ossigeno.
Con le labbra socchiuse, umide e piene, Xavier lo squadrò ancora con più attenzione, facendo caso ai solchi travagliati sul volto di Erik, al colore ramato e chiaro della sua barba incolta, e delle particolari pennellate di cobalto nelle sue iridi. Seguì la linea squadrata della sua mascella, il filo sottile delle sue labbra pallide immerse nella falsa morbidezza dei suoi baffi, che risalivano armoniosamente sul suo naso dalla punta poco arrossata, che rendeva perfetto l'equilibrio del suo viso, della distanza dei suoi occhi azzurri, e dell'increspatura della sua fronte.
Nemmeno la dolce bellezza femminile di Moira in quel momento avrebbe potuto distoglierlo dalla bollente attrazione fisica che Charles stava provando in quel momento dei confronti di Erik. Si sentì finalmente appagato dai propri istinti, cullato dalle sue attenzioni e del tutto rapito dalla dolcezza sincera che aveva accarezzato le parole del maggiore.
Erik lo prese per le spalle, alzandosi da lui con l'aiuto delle ginocchia, per poi costringerlo a voltarsi a pancia in giù contro il materasso, succube del suo copro ancora una volta. Senza preavviso, una mano di Erik si lasciò scivolare lungo la schiena del minore che, attutito da quel contatto grazie ai vestiti, inarcò comune la schiena, reggendosi a quattro zampe, sotto le carezze snervanti di Erik che gli lasciavano dondolare i fianchi, pendenti dalle sue labbra. I sentimenti di Charles erano un vortice confuso e impulsivo di gesti; avrebbe voluto assecondarlo, dargli libero acceso, ma la sua inesperienza e improvvisa paura lo costrinsero a rimare fermo, guidato dai gesti maturi di Erik.
«Solasta.» gli sussurrò all'orecchio, ancora una volta, con un timbro di voce privo di erotismo, quanto più carico di emozione e sincerità.
Quella stessa mano che fino a poco prima gli aveva massaggiato le schiena con troppa delicatezza si insinuò tra i jeans di Charles, tastando con il palmo i glutei sodi dello studente attraverso il tessuto leggero del suo intimo. Un gemito muto salì in gola a Charles, che si contrasse dolorosamente quando il dito incide e medio di Erik torturarono la sua apertura, simulando una penetrazione attutita dalla stoffa. Il rigonfiamento tra il cavallo dei suoi pantaloni era diventato bollente, e per quella nuova eccitazione Charles fu' costretto ad aggrapparsi alle lenzuola, tentando di attenuare il formicolio doloroso che lo aveva persuaso lungo tutto il corpo. I suoi occhi si sgranarono di colpo quando la mano di Erik si aggrovigliò alla sua, non più avvinghiata disperatamente al vuoto del tessuto. L'insistenza delle dita di Erik diventò più veloce e sfrontata, rendendo Charles schiavo di ogni suo più piccolo movimento.
Il maggiore sorrise ormai compiaciuto, fiero e soddisfatto di una conquista così veloce; nulla lo sperava da una bella scopata, tranne Charles. Improvvisamente si rese conto che i suoi sentimenti non erano alimentati solamente dall'attrazione sessuale, ma più da quello splendore che emanava, da quello spiraglio di cielo nel suo viso, e da quel particolare effetto che la sua voce faceva ai battiti del suo cuore.
Erik si fermò improvvisamente, allontanandosi dal copro di Charles. Scattò in piedi, indietreggiando il più possibile dal letto, con il respiro pesante e una vistosa erezione che premeva contro i suoi pantaloni. Charles, con la stessa velocità, si tirò a sedere, osservandolo con sguardo confuso e timoroso. Lucidamente, Charles provò un grosso senso di colpa e vergogna per ciò che aveva lasciato fare ad Erik di lui, per ciò con il quale aveva goduto, e soprattutto per i sentimenti particolari cresciuti grazie al maggiore.
«Cazzo, n-non so cosa mi sia preso...scusami, davvero, porca puttana è che...» balbettò Erik, in preda al panico e all'imbarazzo, dandogli le spalle per non mostrargli la sua erezione ancora troppo vistosa.
«T-tranquillo, non preoccuparti, i-io...» altrettanto shock era vivido nella voce di Charles, che con più freddezza si portò le mani al petto, come per calmare il battito fortissimo del suo cuore, apparendo irresistibilmente fragile e impaurito davanti agli occhi di Erik, che si sentì ancora più colpevole.
«Perdonami, davvero Charles, scusami.» mormorò mordendosi il labbro, grattandosi la nuca nervosamente, ed abbassando lo sguardo. «Si è fatto tardi, sarà meglio andare a dormire, io vado a farmi una doccia. Buonanotte.» concluse Erik, chiudendo la porta del bagno in camera alle sue spalle.
«Buonanotte.» sussurrò Charles con gli occhi fissi su di lui, rimanendo ancora pochi istanti seduto sul letto, per poi dirigersi verso la sua borsa, per cercare il suo pigiama.
Intento ad abbassare i bordi del suo vestiario morbido lungo la vita, Charles venne improvvisamente interrotto dal lieve mormorio proveniente dal bagno; Erik era chiuso lì dentro già da quasi un quarto d'ora, e del rumore dell'acqua corrente ancora nemmeno l'ombra. Sentendosi troppo invadente e curioso, Charles però non poté fare a meno di avvicinarsi alla porta ed origliare di sfuggita.
«Charles...»
Erik chiamò il suo nome, in un gemito inutilmente trattenuto, che echeggiò in ogni angolo della stanza. Charles sgranò gli occhi, e, per quanto potesse essere ingenuo e inesperto in certi argomenti, capì immediatamente la natura di quei versi.
Erik era seduto sulla tavoletta del water, intento a masturbarsi nel pensiero di ciò che aveva fatto a Charles poco prima. Pesò di aver toccato un nuovo tipo di fondo, da patetico ragazzo eccitato incapace di trattenersi, ma quel gesto auto indotto era l'unica soluzione alla sua indomabile astinenza. Gemette ancora prima di cedere all'orgasmo, chiamando ad occhi chiusi Charles, senza nemmeno rendersene conto, con la sua immagine nella memoria, mentre il suo piacere prendeva il colore degli occhi di Xavier, e quest'ultimo, attraverso la porta, sospirò nella sua commiserazione, con la consapevolezza dai suoi sentimenti nel petto.

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