6.

La guerra di palline di carta della sera precedente non aveva agevolato le ore di sonno di Charles, parecchio arretrare rispetto alla sua routine ben calcolata. La sveglia suonò più del solito, disturbando il sonno di Erik, che si trascinò verso la camera di Xavier con gli occhi ancora chiusi e la bava al lato della bocca, privo del pigiama lavato e stirato con cura da Charles, solamente in boxer bianchi come unico indumento generico.
Erik spense la fonte di tutto quel baccano con un colpo secco e irritato, gettandosi di peso sul letto di Charles a faccia in giù, e rimanendo in quella posizione per alcuni secondi, cercando di abituarsi nuovamente al silenzio riconquistato.
Charles mugugnò, ma non perché avesse sentito il suono della sveglia fino a quel momento, ma perché percepiva che al suo fianco un peso anomalo sbilanciava il materasso.
«Svegliati fiorellino, o perderai lo scuolabus.» Erik mugugnò quella frase sarcastica attutita dalle coperte in cui il suo viso era del tutto sprofondato nel tessuto profumato. Charles sorrise serenamente, accucciandosi di più al suo fianco, rendendosi conto a scatto ritardato che era maledettamente in ritardo.
Scattò in piedi, con tutti i capelli arruffati e il viso sconvolto e poco cosciente.
Corse in bagno, cercando di sistemare lo stretto necessario per non sembrare un barbone, o avere lo stile di Erik. Come un fulmine, sbattè la porta alle sue spalle e si precipitò fuori, evitando di guardare l'ora per rendersi conto di quanto fosse in ritardo.
Dannazione, ammonì nella sua mente, alla ricerca di un parcheggio non troppo distante dall'università.
Raven lo vide scendere dalla sua auto con passo veloce e agitato; la sua giacca color nocciola era sbottonata, i suoi capelli erano un vero e propio disastro, e fra le mani la cartella aperta stracolma di quaderni e penne immersi disordinatamente fra la sacca disperatamente agguantata prima di uscire di casa.
«Charles, tutto bene?» la bionda si fermò vedendolo correre verso di se, aggrottando la fronte.
«Oh sì, sono solo in ritardo...» cercò di essere il solito educato e gentile ragazzo di nobili natalità, ma quel sorriso era il più falso che la sorellastra avesse mai visto in tutta la sua vita. Raven sorrise, divertita dalla di disperazione indiscreta del povero Xavier, alzando una mano e annuendo dolcemente;
«Allora non perdere altro tempo, le lezioni sono già iniziata da un po'.»

Per fortuna Charles non fu' richiamato per il suo ritardo, né tantomeno perse la maggior parte dell'introduzione dell'insegnate, ma solo quando si sistemò al suo posto, ordinatamente composto e discreto, si accorse che nella sua cartella -dannatamente disordinata quella mattina- mancava qualcosa di vitale importanza, ovvero, il suo quaderno in cui erano ben custoditi tutti gli appunti per l'esame che avrebbe dovuto affrontare quella mattina.
Imprecò nella sua mente, sperando che le sue voci dormienti non imparassero un linguaggio tanto ineducato, cercando di stare calmo e ricordare ciò che aveva studiato la sera prima.
L'esame era semplice, riguardante La vita nuova di Dante e la prima introduzione della Commedia, una passeggiata, soprattutto per un'argomentazione così scontata che si ripete in continuazione durante la vita scolastica di uno studente.
Ma in quel momento, Charles non riusciva a concentrarsi sulla figura ultraterrena di Beatrice, sostituendola a quella di Erik. Era così buffo e comico, immaginare un viaggio mistico verso Dio tramite il personaggio di quel ribelle con la passione per l'auto distruzione, che a dirla tutta, si sarebbe trovato più a suo agio con Lucifero che dinanzi alle grazie del Signire, magari affiancato da Marilyn Manson...
Charles sbattè le palpebre velocemente, e riprese a ripassare l'argomento alla meglio, affidandosi unicamente alla sua straordinaria memoria fotografica.
Gli altri studenti creavano un vocio basso e coatto, non di certo disturbante o capace di distrarre Charles dal proprio lavoro mentale. Un'enorme aula di persone, però, non riuscì a competere contro Erik, e la sua capacità di attirare l'attenzione tutta verso di se.
Charles si accorse che, d'untratto, tutte le voci -che non erano nella sua testa- cessarono, e alzando gli occhi con più attenzione, si accorse che tutti erano rivolti con curiosità e stranezza verso la cattedra del professore, pietrificato dal ragazzaccio accanto a lui, poggiato con una mano sulla cattedra, e le gambe incrociate in maniera strafottente.
Charles ebbe un brivido quando riconobbe Erik, in canotta bianca aderente, pantaloni del pigiama a stelle rosa, e ciabatte dalla fantasia quadrettata, stava dondolando in una mano il suo quaderno degli appunti come se nulla fosse.
«Charles, hai lasciato questa zavorra a casa, credo ti serva.»
Xavier si irrigidì, deglutendo, con gli occhi di tutti addosso.
«Prof, coraggio, non ho ancora fatto colazione, muovi le chiappe e vieni a prendere questo coso.» Erik sbuffò, simulandosi seccato e arrabbiato, anche se il suo sorriso sarcastico e provocatorio lo tradiva.
Il povero Charles, ormai divenuto il fardello del numeroso gruppo di studenti divertiti e confusi, percorse la breve distanza dalla sua postazione alla cattedra, prendono fra le mani il pacco consegnato direttamente dal suo caro coinquilino.
Senza poter nemmeno rendersi conto dei propri riflessi, Charles ricevette un umido bacio a stampo sulla guancia, che iniziò a pizzicare a contatto con la barba chiara ed incolta di Erik, che lo guardò soddisfatto.
Xavier sgarrò gli occhi, stringendo il quaderno al petto, e dando le spalle al pubblico di coetanei che aveva mantenuto il fiato sospeso, forse, nella speranza di un gesto di natura ben diversa.
«Buona giornata branco di intellettuali.» come se nulla fosse, con un discreto rumore di passi strisciati per colpa delle ciabatte, Erik fece un gesto con il capo ed uscì dall'aula, lasciando Charles nella totale speranza di una morte veloce e prematura, piuttosto che affrontare le occhiatine dei presenti.
Tornò a sedere, con la testa bassa e le labbra serrate, di una tonalità di colorito molto più simile al rosso porpora. Dalla tasca dei suoi jeans prese il contenitore color arancio delle sue pillole, che quella mattina non aveva ancora assunto, sperando che quelle pasticche amare sarebbero state in grado di fermare anche le voci reali che echeggiavano intorno a lui.
Purtroppo non funzionarono.

«Si può sapere cosa diavolo ti è saltato per quella tua testaccia?!» Charles non era abituato ad assumere un tono di voce alto e autoritario, risultando teneramente ingenuo e impacciato, mentre in viso non si scorgeva affatto tutta la sua rabbia ed il suo imbarazzo.
A casa, Erik era ancora in pigiama e canotta, sdraiato supino sulla moquette del salotto, con un libro di poche pagine in mano;
«Credevo fosse un libro semplice e corto, ma non ho capito un cazzo di quello che vuole dire. Che finale è questo?!»
Charles gli strappò il piccolo volume dalle mani, rimanendo di fianco a lui con autorità, aspettando che Erik si alzasse da terra.
Il maggiore lo affiancò, gesticolando con sarcasmo; «D'accordo, forse avrei dovuto essere più educato, ma avevi dimenticato quel quaderno, e non per essere impertinente, ma aspetto ancora un tuo grazie per la mia premura.»
«Mi hai fatto vergognare difronte a tutti!»
«Per cosa? Le mie pantofole davano un tocco di eleganza al conteso.»
«Sono le mie pantofole!»
Entrambi fecero silenzio, Erik con più fatica, cercando di trattenere la sua risata divertita. In fondo, amava far perdere le staffe a quel ragazzo perfettamente ordinato.
«Facciamo un patto, io e te, come quello che si fa' nelle confraternite del liceo, giusto?»
Charles continuò a non dire nulla, limitandosi ad ascoltare quale altra stravagante idea stesse per rivelargli Erik;
«Tu cercherai di ficcarmi nel cervello qualcosa che riguarda tutta questa montagna di cacca che chiami letteratura, e altro, ma io» incrociò le braccia in maniera stranamente femminile «io ti insegnerò una volta per tutte come si ci diverte. Ne hai davvero bisogno amore.»
Charles si morse l'interno del labbro, abbassando gli occhi ed annuendo: «D'accrdo, ma solo se la smetterai di essere così irritante.»
Erik sorrise, mostrando tutta la sua dentatura bianca, ed increspando la fronte rigata dalle rughe. Prese con due dita una ciocca di capelli lunghi di Charles, lisciandola, facendo percorrere un brivido gelido lungo la schiena del minore.
Continuò a sorridere, allontanandosi sempre più lentamente da lui, sussurrando: «Di questo non potrò mai fare a meno.»

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