27.
Non credo che ami l'Arte
chi spezza il cristallo di un cuore di poeta
perché occhi miopi e meschini lo scrutino cupidi e torvi.
Charles aveva letto con fonetica sinuosa quella frase tratta da De profundis di Oscar Wilde. Nella propria valigia aveva messo tra la biancheria una pila di sottili libri. Cinque o sei, contando la raccolta dei sonetti di Shakespeare. Non li leggeva più a se stesso, adesso usava sempre la voce che aveva in gola, che parlava ad Erik, invece che alle dozzine di voci nella sua testa.
Il verso di tre righe scarse emanava amarezza e malinconia, che non si rispecchiava a quella loro storia perfetta, tra il caldo tropicale di Cuba e la loro spensierata e indicibile contentezza.
Quel preciso giorno, in cui tutto avrebbe preso una svolta maestra, fu proprio perfetto. Charles ed Erik restarono in spiaggia dalla mattina fino alla notte fonda, circondati da gente ma sentendosi beatamente soli in quel paradiso caldo.
Le onde cristalline e sottili si stiravano sul bagnasciuga, mentre la sabbia prendeva un colore più candido. L'orizzonte piatto e calmo, illuminato dal sole che tinteggiava l'acqua di celeste ancor più bello di quello del cielo libero da nuvole.
Né Charles né Erik poterono paragonare quella meraviglia a qualcosa di precedentemente visto in vita loro. Xavier aveva solamente goduto della bella vista del sapere di un libro, nella sua prigione da malato, mentre Erik di cose belle non ne aveva proprio viste molte, tra il fumo di una sigaretta ed il bruciore alle narici per quella polvere bianca che lo divorava.
Eppure, se avesse dovuto scegliere cosa fosse più incantevole tra la salsedine leggera di quella spiaggia paradisiaca e il sorriso di Charles mentre si copriva la fronte dal sole battente, senza ombra di dubbio la seconda opzione sarebbe stata la più esatta.
Sorseggiarono da un cocco spezzato a metà, presero il sole su delle sdraio straordinariamente comode, e mangiarono qualche spicchio di frutta fresca al riparo di un ombrellone di paglia scura.
Rimasero a mollo all'acqua per quasi un'ora intera, tra spruzzi e schizzi, nuotate lontane e immersioni brevissime a contatto con pesci tropicali cristallizzati nel fondale. E poi si prendevano la mano, nel fluttuare incessante della pressione, battendo i piedi per tenersi a galla, soltanto per riuscirsi a guardare in viso.
Due bellezze diverse, due fascini incalcolabili.
Ormai, il pensiero della loro imminente separazione, e del termine di quella vacanza da sogno era stato abbattuto dello loro menti, troppo prese a stare insieme e a farsi riscaldare dal sole.
Rimasero ben più che sorpresi ed entusiasti quando si resero conto che alle sette di sera la spiaggia iniziò a farsi deserta. Tutto il gruppo di turisti eccitati si spostò nelle piazze e nei locali, a ballare e bere. Quella sera, però, Charles ed Erik approfittarono di quell'isolamento.
Si ubriacarono con il tramonto rosato che annegò all'orizzonte del mare, e rimasero con i piedi nella sabbia bianca e fresca, seduti su di un telo umido steso in terra, e con i corpi dolcemente stretti insieme.
E poi si fece buio.
Solo loro, in quell'enorme distesa di scogli fatti polvere e onde che sussurravano in continuazione. Erano calmi, cauti, sicuri.
Nessuno aveva fatto caso a loro, in piena notte, quando poche sere prima avevano fatto l'amore nella piscina del loro hotel. Quindi, chi se ne sarebbe accorto in quel posto completamente nero di notte?
Erik strinse la vita di Charles, senza troppa malizia. L'altro, invece, ne volle una scusa per iniziare a godere. Voltò il capo indietro, dove stava il volto di Erik, e prese a baciarlo rumorosamente, con la lingua tra i denti del maggiore, e qualche morso leggero che li faceva tremare tutti.
Charles si mise in ginocchio difronte ad Erik, sorridendogli con il riflesso delle stelle negli occhi. Erik restò romantico, quasi Xavier aveva cambiato totalmente il suo carattere.
Prese il viso giovane e morbido di Charles tra le mani grandi, gli accarezzò i lineamenti rosei e abbronzati dal sole, avvicinandolo a se' così da baciargli la fronte, su cui qualche riccio si annodava dolcemente.
«Non ho più parole da dirti.» gli disse Erik, il tono lento e sereno.
«Perché? Vorresti parlare ancora?» quello sorrise, bellissimo.
«Sono troppo romantico. Merda, visto cosa mi stai facendo diventare?» ironizzò il maggiore, facendo ridere Charles che si tuffò tra le sue braccia.
«Per me sei il solito stronzo egocentrico che interrompere i miei studi con battutine sconce e provocazioni.» il più piccolo sorrise accarezzandogli il capo.
«E tu l'universitario verginello che non sa di essere gay.»
Scoppiarono a ridere ancora, sdraiandosi sulla sabbia.
La schiena nuda di Erik venne a contatto con le piccolissime montagne bianche per terra, mentre Charles gli finì addosso. In teoria erano mezzi nudi, in pratica avevano ancora i costumi da bagno a separare le loro eccitazioni iniziate a farsi dure.
Altri baci, pochi ma lunghissimi.
L'iniziativa più sicura di Charles prese a far salire le proprie mani sul petto di Erik. Accarezzò i suoi muscoli punteggiati dalla sabbia, in una posizione predatrice. Flesso a quattro zampe sopra il suo corpo, slanciato in maniera quasi femmina ma al contempo forte e mascolina, Charles martoriò il collo di Erik con baci e sospiri, lingua sua che assaporò la pelle salata.
Non si erano ancora toccati nelle parti più sensibili e già sentivano di potersi disintegrare in mille pezzi per il piacere.
Erik cinse i fianchi di Charles con immane fermezza, facendolo sospirare sulla sua bocca in un'espressione storpiata dalla goduria appena iniziata. Vagò lungo la sua schiena liscia fino ad arrivare all'orlo del costume da bagno, dove vi si infilò con le dita, che diedero libero accesso alle mani di palpare i glutei di Charles.
Erik affondò il viso sulla guancia del suo lui, respirando tutto il suo profumo familiare e bellissimo, che sapeva di mare.
«Solasta.» gli mormorò piano all'orecchio, toccando sempre di più la durezza dei muscoli contratti di Xavier.
Charles gemette quando Erik gli sfiorò i testicoli, reggendosi sopra di lui con i gomiti.
L'amore lo fecero come il mare, quando diventa oceano e incontra altre acque, muovendosi fortissimo, andando in profondità spaventose e brillando a ogni minima luce.
Prestissimo quei costumi ancora umidi e pieni di sale finirono alle loro caviglie, via ancora, in mezzo alla sabbia. In quel tepore, nudi, poterono godere semplicemente dello strusciarsi del loro copri lenti e privi di erotismo. Sorrisero assieme nel rendersi conto che tutti quei baci quasi gli fecero formicolare le labbra. Nemmeno uno fu regalato, sprecato o di troppo.
Gli andò semplicemente bene sfregarsi insieme, un terremoto sotto la pelle che pizzicava in ogni angolo per via del piacere. Tra le gambe un fuoco di sessi si divampava fino allo stomaco, i polmoni pieni di ossigeno lasciato dai baci che trattenevano i forti lamenti di persuasione.
Charles affondò nell'inguine di Erik che allargò le gambe, scaturendo quel bellissimo loro modo preferito di fare l'amore, senza troppa forza e pressione, semplicemente con il pensiero di riuscire a collegarsi dove tutto era più piacevole.
Lo sfregarsi veloce del glande bollente di Charles contro tutta la lunghezza dura di Erik scaturì quel piacere indicibile che li motivò a non fermarsi. Ci passarono minuti interi su quel momento che si faceva lento, poi velocemente, improvvisamente violento, e ancora leggero.
Erik, alla fine, con espressione sofferente e privo di ogni controllo, portò una mano in basso, tra i sessi inumiditi dal liquido pre-orgasmo. Non fece particolari movimenti, o abusò di determinate strette esperimenti.
Tra carezze e gemiti, si annientarono nell'orgasmo guardandosi negli occhi lucidi, respirando quanta più brezza marina possibile, e stringendosi fortissimo.
Erik di scatto si aggrappò alla schiena del minore sopra di lui, e Charles controllò la propria forza limitandosi ad una carezza torbida sul capo del compagno.
Ennesimo bacio, ennesimo sorriso, questa volta più stanco. E poi le stelle coprirono la loro nudità senza pudore esposta al buio e alla solitudine.
Rimasero abbracciati finché la temperatura non si fece più bassa, e l'umidità gli lasciò attaccato alla schiena un tappeto di sabbia.
Si strinsero le mani e si voltarono supini a guardare il cielo, coperto da un incalcolabile numero di lucette bianche, sullo sfondo nero.
La stanchezza provocata da quella sessione di sesso iniziò ad affievolirsi, tanto che l'arguta attenzione di Charles interruppe ogni dolce parola pronta ad uscire dalla bocca di Erik. Xavier si mise a sedere, voltandosi a guardare una fonte di luce in lontananza. Un falò circondato da persone in movimento a tempo di musica creava una grande fiamma color arancione.
«Sicuramente serviranno da bere!» esultò entusiasta il più piccolo.
«E magari un bicchiere di acqua frizzante anche per il povero astemio qui.» ironizzò Erik, rimanendo sdraiato. Charles sospirò, aggrottando le sopracciglia. Si chinò verso il maggiore, lasciandogli un bacio sulle labbra, e poi sulla fronte.
«Andiamo, si? Per favore Erik!» Charles simulò vittimismo, stringendo una mano di Erik. Lui sorrise, scrollando di poco la testa sarcasticamente. Guardò negli occhi l'ingenua voglia di Charles, e si mise seduto proprio come lui.
«Prima però, metti il costume. Potrei essere geloso.» Erik ammiccò.
Portandosi dietro la loro borsa di paglia contenete teli da spiaggia e qualche libro, si avvicinarono a quella specie di festa. La musica era talmente alta da far vibrare il petto. Dozzine di ragazzi, quasi tutti ormai ubriachi fradici, danzavano scompostamente intorno al grande fuoco. Certe ragazze in toples si muovevano a ritmo, intorno a ragazzi sudati e con in mano svariati cocktail. Coppie ferme nei più disparati posti a pomiciare in maniera spinta. Ragazzi e ragazze, ragazzi e ragazzi, ragazze con ragazze, gli occhi chiusi e gonfi, probabilmente sconosciti tra di loro, semplicemente eccitati dai corpi.
Charles prese per mano Erik, camminando un passo avanti a lui, nel tentativo di farsi spazio per raggiungere l'improvvisato piano bar.
Non che il maggiore fosse contrariato o nervoso in quel contesto, non gli importava affatto vedere Charles bere alcolici davanti ai suoi occhi, voglia di sbronzarsi non ne aveva quasi più; si sentiva addosso soltanto un brutto presentimento.
La stretta di Charles alla sua mano lo distolse dai propri pensieri; Erik alzò lo sguardo e focalizzò il sorriso entusiasta del ragazzo dai riccioli ammorbiditi dalla salsedine.
«Possiamo chiedere al barista se serve una bibita gassata, oppure, se hai fame, compriamo qualcosa.» Charles glielo propose alzando la voce per sovrastare il rimbombo della musica. Erik riuscì a recepire quelle parole, scrollando la testa per fargli capire che per lui andava bene così.
Xavier annuì, tornando ad avvicinarsi al piano bibite.
Probabilmente si erano fatte le tre del mattino; Charles era riuscito ad accaparrare solamente due drink per colpa della confusione caotica. Vicino al grande falò, lui ed Erik ballarono con i piedi nella sabbia e l'entusiasmo di due ubriachi. Erano estremante imbarazzanti, scoordinati nei movimenti, sudati, un disastro. Odoravano ancora di orgasmo, probabilmente sugli addomi nudi potevamo trovare qualche traccia del loro sperma, ma era proprio tutto quel confusionario contesto a divertirli, a non fargli sentire addosso la stanchezza dell'ora tarda. Ormai dormivano poche ore alla mattina tardi, e restavano tutta la notte fuori a ballare, a correre per le strade, a fare l'amore e a non pensare a nulla all'infuori di loro.
Invece di andar via, le persone parvero aumentare di numero, così tante che il falò sembrò non bastare a far luce per tutti.
Quasi accalcati e colpiti da spallate sbadate, Erik e Charles erano completamente intontiti dal rumore della musica. Il più grande sembrò percepire senza indugi la presenza pesate alle sue spalle, che imprecò con sarcastico stupore.
«Erik!» lo chiamarono da dietro urlando. Lui si voltò di scatto, pietrificandosi.
«Erik! Grandissimo figlio di puttana!» il ragazzo a lui troppo familiare ormai gli era difronte. Charles smise di ballare accorgendosi della serietà di Erik. Lo affiancò, ma quello lo tenne un passo indietro a lui.
«Allora non sei morto in un qualche cesso pubblico! Ti vedo in forma! Non ti buchi più?» l'estraneo parlò ad alta voce, con espressione minacciosa.
«Non più ormai.» rispose Erik, serio.
«Ottimo amico, direi, davvero una bella notizia per un cazzone come te!» il ragazzo si avvicinò ancora allargando le spalle; era di poco più basso di Erik, ma il suo atteggiamento lo fece sembrare il doppio più grande. Aveva i capelli rasati e una cicatrice su un sopracciglio che gli lasciava un segnetto bianco tra i peli folti e scuri. Con una canotta aderente metteva in risalto i muscoli e i diversi tatuaggi sbiaditi e privi di forma tutti sulle braccia e sulle mani.
Erik non gli rispose assolutamente, ignorò persino Charles, che, preoccupato, gli domandò: «Chi è, Erik?»
L'individuo minaccioso era affiancato da altri due uomini, alti, ma snelli, quasi scheletrici. Uno in particolare era talmente brutto, con il naso storto da un lato, gli occhi incavati e il labbro rotto, che persino Erik, abituato alla vista di certe persone, parve disgustato.
«Hai ancora un bel debito con me, caro il mio froccetto. Ricordi, non è così? Cinquecento dollari.» con la mano alzò tutte e cinque le dita, segnando la cifra menzionata.
«Proprio con te, non ho più nulla a che fare.» Charles vide come una parte spaventosa del carattere di Erik emerse improvvisamente. Non l'aveva mai visto tramutato in quel modo. Indietreggiò senza volerlo, per stare lontano da quell'aggressività animalesca.
«Tu guarda quant'è piccolo questo cesso di mondo! Vengo qui a Cuba a sfondarmi di roba buona e a farmi delle belle puttane, e incontro un mio vecchio e caro cliente. Tu hai ancora tantissimo da discutere con me.» il ragazzo abbassò una mano, che si nascose dietro ai jeans.
Erik lo seguì con lo sguardo, il respiro corto e i nervi a fior di pelle.
«Scommetto le palle di quella troietta col cazzo dietro di te, che non hai i soldi. Ancora una volta.» ringhiò quello.
Erik indietreggiò, vedendo scintillare la pistola tra le sue mani.
«Vattene subito via di qui.» scandì le parole una ad una, perdendo dalla presa il corpo di Charles.
«Oh no, piccolo Er, non mi fotti di nuovo.» caricò la pistola, nessuno in quel caos di gente si accorse minimante di ciò che stava accadendo.
Erik si vide l'arma puntata addosso, impotente quanto disperato ed infuriato. Charles fu il suo unico pensiero, sopratutto quando lo vide, fulmineo, muoversi avanti a lui.
Cercò di afferrargli un braccio, ma Xavier fu troppo veloce.
Il rumore dello sparo fu udibile da tutti. La gente iniziò a correre via, urlando terrorizzata. La musica improvvisamente venne spenta, e persino il ragazzo armato si allontanò tra il fiume di gente in panico.
Charles stava per terra, con il viso sulla sabbia. Faticando a respirare, boccheggiò con versi tremendi.
Erik urlò il suo nome, inginocchiandosi violentemente accanto a lui. Lo voltò, anche se il sangue caldo e scuro che sgorgava dalla ferita gli sporcò le gambe.
Lo prese tra le braccia, sorreggendogli la testa con una mano, mentre l'altra gli si poggiava sul petto.
Charles urlò, così forte da far diventare sordo Erik.
«Chiamate aiuto! Chiamate qualcuno, cazzo!» sbraitò, gli occhi lucidi e il corpo di Charles tra le mani.
«Sta tranquillo, stanno per arrivare, tutto andrà bene.» gli accarezzò il volto storpiato dallo shock ed il dolore. Guardò prima gli occhi di Xavier, e poi difronte a se, cercando senza speranza l'uomo che aveva sparato.
«Giuro che lo ammazzo! Lo ammazzo con le mie stesse mani!» urlò così forte da graffiarsi la gola, abbassando il mento per controllare Charles.
Il minore serrò le labbra, increspando la fronte. Ingoiato dal dolore e privo di ogni forza, riuscì a bisbigliare un lamento, con gli occhi puntati sulla diserzione di Erik.
«A te non ha fatto niente, non ti ha toccato.» sorrise, probabilmente pensò a voce alta.
Erik si raggomitolò su di lui, poggiando la fronte sul suo capo. Pianse senza sentire i soccorsi muoversi velocemente intorno a lui. Pianse e sentì soltanto il sangue appiccicoso su di se, che scendeva dalla schiena di Charles.
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