16.

I cinque giorni che seguirono il crollo di Erik furono spezzati in ore di silenzio e altre di urla. Erik non aveva acconsentito a ricevere cure mediche, benché rischiare di essere ripescato dall'archivio medico, che già ben sapeva tutti i suoi spiacevoli viaggi in pronto soccorso, non lo entusiasmava per nulla. Se i rappresentanti del progetto universitario che permettevano ancora di farlo soggiornare a casa dello studente modello sarebbero venuti a sapere di quell'improvvisa ricaduta non solo lo avrebbero strappato via da Charles, ma lo avrebbero torturato ancora e ancora con le terapie disintossicanti che aveva ricevuto all'inizio della sua permanenza nella comunità per tossicodipendenti.
Così Erik aveva lasciato che il proprio corpo smaltisse da solo la massiccia dose di psicofarmaci già abbastanza rigurgitati per mano dell'intervento di Charles. Il fatto che il suo corpo ancora invaso dallo squilibrio delle infinite sostanze stupefacenti assunte nell'arco di anni e anni aggravava quella lacuna improvvisa scaturita da una dozzina di pillole che di norma sarebbero dovute andar via dopo quarantott'ore al massimo. Per Erik fu tutto più difficile, una nuova crisi d'astinenza lo aveva portato a presentare su di un piatto d'argento un aspetto della sua persona che Charles non avrebbe mai potuto immaginare. Faceva male ad entrambi, ma di più ad Erik; essere privato della sua poca dignità rimasta dinanzi agli occhi spaventati e ingenui di Xavier, che con premura, seguendo la promessa di perdonarlo soltanto per quella volta, gli era stato vicino. Erik aveva bestemmiato, si era lasciato abbattere dai singhiozzi, da continua nausea con conseguenza vomito, e ancora aveva urlato aiuto e invocato lo stesso Dio che poco prima aveva disprezzato di farlo smettere.
«Ti prego Dio -aveva singhiozzato con le labbra umide di bile e gli occhi semichiusi, seduto scompostamente sul letto disfatto di Charles- Ti prego Signore fallo smettere, non posso sopportarlo ancora, basta!»
Charles lo scorgeva dall'uscio della porta della stanza, con le braccia conserte e una mano che gli andava a nascondere il volto in maniera timida, per non farsi accorgere delle sottili lacrime di giada che gli stavano solleticando il viso. Il quinto giorno però Erik si era ripreso; Charles lo aveva svegliato intorno alle undici quella mattina, con dolcezza, accorgendosi della difficoltà rumorosa che il maggiora aveva nel respirare, terrorizzato dai mille pensieri che gli persuasero la testa. Senza troppe storie, Erik si alzò, tra mugugni e lamenti coatti, poggiò i piedi scalzi sul pavimento aiutato da Charles a tirarsi in piedi, camminando avvinghiato al suo braccio fino alla cucina, che non visitava ormai da giorni. Il minore lo fece sedere
sulla sedia di legno scuro intorno al piccolo tavolo rotondo ben apparecchiato, porgendogli una colazione gustosa a base di pancake caldi con la crema di nocciole sciolta sopra, ed un bicchiere di succo d'arancia appena spremuta. Erik non rischiò di correre via in preda ad un conato di vomito, come era stato di routine durante tutto quel calvario ogni qualvolta che Charles cercava invano di farlo mangiare, o addirittura bere; Erik prese le posate al lato del piatto e con debolezza stanca iniziò a mangiare piccoli pezzetti della propria colazione. Charles lo guardò dalla parte opposta del tavolo, poggiato di spalle sul piano cottura della cucina, con un'enorme sorriso in volto, entusiasta dell'improvviso miglioramento di Erik, che era arrivato ad un punto in cui la fame aveva di gran lunga sconfitto il terribile senso di nausea che circolava lungo il suo stomaco, fino ad arrivare su nella gola, pulsandogli in testa.
Con calma, e senza essere disturbato da qualche domanda da parte di Charles, Erik riuscì a terminare tutto il suo pasto delizioso, bevendo persino gli ultimi sorsi rimasti dal bicchiere di vetro trasparente al lato del suo braccio destro. Xavier aspettò fino all'ultimo, quando il maggiore ebbe poggiato le spalle contro lo schienale della sedia, e mandato giù l'ultima porzione di cibo.
«Vedo che oggi inizi a star meglio.» disse Charles sorridendo, illudendosi che quel piccolo passo avanti sarebbe stato l'inizio della fine di tutta quella vecchia storia, avvicinandosi ad Erik, che annuì imitando la sua espressione stanca.
«Ti accompagno in bagno adesso, ti va? Ci diamo una ripulita e poi magari cerchiamo di sederci sulla poltrona in fondo al salotto, potrei leggerti qualcosa oppure farti vedere una serie TV al pc, per distarti.» propose Xavier con voce cauta e premurosa, sfiorando il viso di Erik con le nocche.
«D'accordo.» replicò il più grande, con un vero sorriso sereno, accompagnato dal passo pacato e docile di Charles verso il bagno. Riverito e ordinato di tutto punto, Erik seguì le istruzioni di Charles, trovando un posto comodo su cui sedersi nella poltrona accanto alla grande libreria in fondo alla stanza, lì dove il più piccolo gli aveva sistemato, quasi fosse un giaciglio, un cuscino morbido e una coperta. Ma Erik sentiva tutt'altro che freddo. Senza nemmeno che Charles potesse avere il tempo di voltarsi nuovamente nella sua direzione dopo essersi incantato dinanzi alla lunga fila di titoli di libri ordinati in una mensola poco alta, Erik si fece trovare dal moro del tutto a petto nudo, con il bacino basso verso il bordo della poltrona, costringendolo così a sedere in maniera scomposta ma comoda. Le gambe accavallate in maniera rude abbassarono ancora di più il cavallo dei pantaloni di Erik. Charles deglutì, avvicinandosi a lui a mani vuote.
«Non hai freddo?» gli chiese.
«Con te nelle vicinanze sono sempre bollente.» rispose Erik ammiccandogli, con il suo tono sarcastico e provocatorio improvvisamente ritornato da quel silenzio sofferente causato dalle pillole, pur essendo comunque basso e stanco. Charles sorrise timidamente, abbassando lo sguardo e sedendosi a gambe incontrate di fronte a lui, sulla morbida moquette. Erik emise un mugugno di lamento, probabilmente con l'intento di intenerire Xavier, che immediatamente gli prestò attenzione, guardandolo dal basso verso l'alto.
«Charles.» lo chiamò, con apparente vittimismo, portandosi una mano alla fronte.
«Cosa c'è?» gli domandò quello preoccupato.
«Charles voglio una sigaretta, ti prego.»
Il minore scoppiò a ridere, stroncando sul nascere la vana speranza del maggiore di essere ascoltato. Charles non rispose nemmeno, trattenendo le proprie risate con gentilezza educata, coprendosi il viso estremamente femminile e chiaro con le mani morbide. Solo che poi si tirò in piedi, si inoltrò nella stanza di Erik, e poi vi tornò con un pacchetto bianco tra le mani, ed un accendino rosso tra le dita. Si inginocchiò all'altezza dell'altro, tra le sue gambe, poggiando le mani sulle sue ginocchia che attraverso il tessuto dei jeans neri riuscirono a far sentire il loro calore.
Charles porse ad Erik una stecca di tabacco bianca, assieme all'accendino, scrutando con divertimento l'espressione attonita ed estremamente felice del più grande, che lentamente prese il proprio regalo.
«Credevi fossi così stupido da non sapere del tuo segreto nascosto sotto il materasso? Sbaglio o qui sono l'unico a pulire casa?» gli disse Charles con fare spiritoso, alzando un sopracciglio.
Erik prese la sigaretta tra l'indice e il medio, avvicinandosela alle labbra semichiuse dalla sorpresa, guardando Xavier sotto di lui con gli occhi enormi e brillanti, come se quella concessione lo avesse salvato da qualsiasi cosa.
«D-davvero posso?» balbettò lui incerto, prima di far scattare la rotella dell'accendino, aspettando il consenso di Charles, che annuì sorridendo.
«Te lo concedo solamente per questa volta, che sia la prima e l'ultima difronte a me, e se ci riesci, in generale. Una sigaretta non può peggiorare le cose, no? Io non ne ho mai fumate e non so come funziona, però forse riesce a rilassarti.» gli rispose Charles, ammiccando con dolcezza.
Erik sospirò serenamente, tenendo tra le labbra la stecca leggera, così da poterla accendere senza troppi intoppi, difronte all'approvazione del più piccolo tra le sue gambe ormai aperte, che straordinariamente gli aveva concesso una violazione tanto grave.
«Porca puttana, quanto ti amo Charles Xavier.» mugugnò Erik con un mezzo sorriso, ispirando la prima boccata di fumo della sigaretta, che dalla gola scese lungo i polmoni, per risalire velocemente in bocca, uscendo con grazia quasi proibita dalle narici del maggiore. Quel filo leggero dall'odore fastidioso di tabacco contaminò ben presto l'ambiente, e di norma Charles sarebbe andato su tutte le furie al solo pensiero di dover sentire quella puzza snervante addosso ed intorno, ma era diverso, quella volta tutto fu diverso, perché c'era Erik.
Charles poteva percepirlo con tutti e cinque i sensi; con la vista riusciva a rapire ogni linea e drappeggio delle sue spalle, del suo volto, e della sua sagoma, che avrebbe benissimo riconosciuto anche a miglia di distanza. Con l'udito poteva ascoltare la sua voce, ma ancora meglio, il suo respiro, che, adagio, si mescolava con l'aria ferma intorno alle loro presenze, emettendo così quell'impercettibile fischio con le labbra che solamente Charles era in grado di distinguere. Tramite il tatto aveva la possibilità di poterlo sfiorare, accarezzagli la pelle, stringergli le mani e scolpire i lineamenti del suo volto. Non lo toccava spesso, ma quando accadeva pareva che le loro pelli, venute a contatto con delicatezza, potessero scorticarsi per il troppo calore. L'olfatto forse era il suo preferito, perché ad ogni occasione, ad ogni silenzio o caos, il profumo di Erik riusciva a stregare Charles, un incantesimo di fragranze e passioni nascoste, che lo attraevano a lui con istinti quasi animaleschi. Ed infine il gusto, quel raro senso che si attingeva alle loro labbra; erano umide, erano calde, e ogni volta avevano un sapore diverso.
Erik stava quasi per terminare la propria sigaretta, quando Charles si sporse lungo il piccolo mobile color mogano al alto della poltrona messa in penombra, e vi prese dal cassetto più in basso una macchina fotografica dall'aspetto antiquato. Con un sorriso ingenuo il più piccolo si allontanò da Erik, che assecondò il suo divertimento, trattenendo l'espressione divertita e intenerita sul suo volto, così da poter assumere una posa più seria e provocatoria per l'obbiettivo.

In banco e nero, con lo sfondo quasi del tutto oscurato, e la fonte di luce che proiettava le ombre grigiastre lungo il suo corpo proveniente dall'angolo in alto a destra, la fotografia rimase nascosta nel rullino della vecchia Nikon. Per vederla avrebbero dovuto svilupparla, ma Charles ricordava a memoria nella propria mente quella posa statica che aveva speculato attraverso l'obbiettivo. Erik seduto scompostamente sulla poltrona del tutto in penombra, con il busto poco ruotato nella propria direzione, lo guardava con sguardo magnetico, il capo piegato leggermente verso la propria desta poggiato sul braccio piegato, accentuato dalle sfumature grigie grazie alla muscolatura snella. Il petto nudo, magro e sottile, e la mano sinistra distesa lungo il bracciolo della poltrona, con la sigaretta quasi finita in mano, accesa e riversata sul posacenere bianco. Charles fu costretto a poggiare la fotocamera in terra, al lato del suo fianco, per colpa di Erik, che si trascinò verso di lui carponi, con la sigaretta ormai terminata, e in volto tutte le parole che avrebbe voluto dire senza trovarne il coraggio. Si limitò a sorridere arduamente, ormai del tutto sostenuto a quattro zampe sul corpo di Charles, seduto in terra e sorretto da dietro grazie all'aiuto delle braccia. Tremò, e non riuscì a distogliere lo sguardo da quello di Erik, vicinissimo al suo volto. Tutti i sensi di Charles erano stati rapiti ancora una volta da quell'uomo manipolatore della sua ragione.
«Voglio giocare a scacchi, mi annoio.» mormorò Erik, inarcando la schiena nuda, così da spingersi più vicino a Charles. Il minore deglutì, non tirandosi però indietro a quella vicinanza sempre più sottile, osservandolo con timore ed estremo autocontrollo. Avrebbe dovuto esserci ormai abituato a certi episodi, ad una certa intimità provocatoria, soltanto che il cuore di Xavier ogni volta batteva troppo forte, e proprio non ce la faceva a stare calmo.
«Sai come si gioca?» gli domandò il più piccolo con lo stesso tono di voce, sorpreso.
«In comunità non hanno Netflix, perciò ci fanno ammazzare il tempo con i giochi per anziani.» rispose Erik, alzandosi a fatica in piedi, con delusione di Charles.
«Non è un gioco per anziani.» rispose il minore, seguendolo verso lo sparecchia talvolta ben ordinato nella parte opposta del salotto, da dove tirò fuori la propria scacchiera ben curata e lucida. Erik si sedette al centro della stanza, con la schiena ricurva in avanti e le gambe incrociate, aspettando che l'altro prendesse posto difronte a lui senza nemmeno proferire il proprio parere su dove sistemarsi per giocare. Charles lo assecondò senza fare domande, sorridendo anzi, quando la scacchiera di medie dimensioni venne messa al centro, tra loro due. Charles iniziò a sistemare le pedine, guardando in basso e parlando;
«Quindi, non c'è bisogno che ti rinfreschi le regole del gioco? Non credevo proprio che ti piacesse un gioco simile, dico sul serio, non sei il tipo.»
«Ho i miei segreti, caro Xavier.» rispose sarcasticamente Erik, assottigliando lo sguardo e ridendo sotto i baffi. Pronto per iniziare la partita, Charles venne attirato dalla voce del maggiore, che gli fece una proposta
alquanto singolare ma con tono serio.
«Giocheremo in maniera diversa però, non avrai davvero creduto a tutto questo mio interesse aristocratico? Altrimenti sarebbe stato davvero una gran rottura di palle.» disse Erik, ammiccandogli con provocazione. Charles trasalì, sorridendo debolmente, e domandandogli:
«Allora, quali sono le regole?»
«Semplicissimo, ogni volta che qualcuno dei due fa scacco matto, sarà obbligato dall'altro a togliere un preciso indumento. Perde chi rimane del tutto nudo, e il vincitore si guadagnerà la mia fotografia. Deduco che la vittoria dovresti meritarla tu.» Erik mugugnò quelle parole con provocazione, spingendosi poi verso Charles, poggiando le labbra sul suo orecchio, e sussurrandogli: «Così potrai toccarti tutte le volte che vuoi guardandola.»
Charles rimase in silenzio con il fiato sospeso, aspettando che il respiro di Erik si allontanasse da lui abbastanza da poterlo far ricomporre.
«D'accordo, giochiamo.» rispose il minore, con il fiato pesante e il calore d'estate lungo tutto il corpo.

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