// 14. //

Tutto ai mosse come in una lenta e inevitabile caduta da una rupe, piano, a rallentatore, senza altre parole di qualsiasi natura pronte a scaturire ennesime reazioni più o meno controllate.
Dal punto di vista di Erik, non c'era molto da descrivere, o tantomeno interpretare, soltanto un'enorme ronzio flebile che nei suoi pensieri castigati e distrutti gli dava la forza minima per tenere ancora l'equilibrio da seduto, sul pavimento gelido del bagno dell'appartamento.
Charles invece aveva tanto da dire, tanto da pensare, più di quanto tutte le sue mille voci in testa avrebbero potuto sussurrargli. Però rimase zitto.
Avvolse con le sue braccia intorno al costato di Erik, stringendogli forte la schiena, così da poter avere abbastanza aderenza con i talloni, e bilanciare il peso, per cercare di tirarlo su quanto bastasse da farlo entrare dentro alla vasca da bagno liscia e poco profonda.

Dunque, Charles, avevi già in mente i numeri che avresti voluto elencare ad Erik in quel momento? Ma soprattutto, pronunciare soltanto la cifra, sarebbe stato sufficiente per fargli capire il vero significato nascosto che avevi in mente?

Uno: Il suo sguardo. Lo hai subito abbozzato la prima volta che con silenzio contraddittorio ed irritato quel ragazzo anonimo ti si è presentato davanti. Il colore dei suoi occhi in quel momento non ti importavano, tutti fanno caso alle tonalità svariate di sfumature che marcano l'iride di una persona, ma tu, Charles, che avevi tanto da dire ma niente da pronunciare, negli occhi di Erik hai notato i sentimenti, e non l'oggettività.
Erik aveva gli occhi stanchi.

Xavier, con difficoltà, riuscì a far calare il maggiore dentro alla vasca, grazie soprattutto all'aiuto delle braccia del ragazzo, che si accompagnarono ai bordi, con fatica, sedendosi così sulla superficie dura di quest'ultima.

Due: Le parole. Quelle erano sempre state il tuo forte, Charles. Nemmeno tu ricordavi più quanti libri avessi letto in tutta la tua vita, quante pagine avevano sfiorato i tuoi polpastrelli, e quante lettere si erano mosse nella tua mente. Però, a guardare Erik in quell'istante, ti venne in mente una lunga frase evidenziata di giallo, sul libro che il ragazzo ti aveva regalato, e proposto con timidezza scontrosa di leggerlo assieme a, e per lui. Ti venne in mente, a guardarlo quasi del tutto agonizzante per colpa della sua dipendenza, ripensando così al suo passato a te ignaro.
"Ci versai sopra troppo aceto. Adesso mi dovevo cacciare nella vena questa soluzione acetosa perchè altrimenti avrei dovuto buttar via anche l'ero.
Neanche mi sparai dentro la roba che partii. Mi risvegliai solo dopo un'ora buona. La siringa era ancora infilata nel braccio. Avevo dolori alla testa bestiali. Sulle prime non riuscivo a rialzarmi. Pensavo che ero arrivata, che sarei morta. Giacevo sul pavimento e piangevo. Avevo paura. Non volevo morire così sola."
Avresti voluto chiedere ad Erik se il racconto di quella parte del capitolo fosse stato simile a qualche suo episodio vissuto in passato, ma hai avuto paura Charles, ancora, ti è venuto in mente il numero uno. I suoi occhi, erano dolore vecchio e nuovo.

Erik si lasciò scivolare con le spalle sullo schienale poco comodo della vasca, con le mani deboli raggomitolate tra le gambe distese lungo tutta la lunghezza del servizio bianco, poco flesse laddove i piedi aderivano contro il lato opposto. Charles era inginocchiato per terra al suo fianco, con le labbra pallide serrate e gli occhi severi chinati verso il basso, verso quel corpo inerme e leggero. Con le mani sicure e ingenue, Xavier prese a sfilare dai piedi di Erik prima le scarpe e poi le calze, poggiandole poi di lato a se, sul pavimento piastrellato. E, mentre prese i bordi della maglietta di Erik, così da toglierla via dal suo corpo, Charles pensò ad un altro numero.

Tre: L'arte. Quella così infinita forma di sapere che avvolge il mondo, quella tua passione timida, Charles, che si cataloga nella letteratura e nella filosofia, per te. Ma ti venne in mente una delle opere d'arte più belle che la superficie terrestre possieda, che è proprio opera della terra. La roca del beso, in California, la quale vedesti una fotografia appesa in un'aula dell'insegnate di scienze. Due enormi volti visto di profilo corrosi nella roccia costiera, modellati dalle onde, dalle tempeste e da tutti i fenomeni imponenti che hanno attraversato quel luogo soleggiato rappresentanto nella  fotografia.
Ti colpì molto, quella così perfetta casualità della natura estremamente simile a due soggetti umani. Pensasti, Charles, che quelle due rocce non avessero sesso, i loro lineamenti non evidenziavano fattezze maschili e femminili, quindi, arrivasti alla conclusione che avrebbero potuto benissimo rappresentare persino due uomini, o due donne. Quell'opera senza artista rappresentava appieno il tuo modo di vedere l'amore, quello che per te convergeva in individui dello stesso sesso.
Perciò, Arte, quella che ti ricordò quella scogliera, e quella che ti ricordò Erik, estremamente simile alla Pietà di Michelangelo, sotto i tuoi occhi.

Erik rimase a petto nudo, con la pelle d'oca cosparsa su ogni centimetro di lui, e le braccia ancora infinitamente deboli avvolte sullo stomaco. La carnagione pallida e grigiastra, tingeva non soltanto il suo volto improvvisamente divenuto più scarnito e addolorato, ma anche lungo il bacino e le gambe, dove Charles chinò lo sguardo per sfilare verso il basso i jeans strappati e abbastanza aderenti. Charles trattenne il fiato, quando con le dita afferrò l'elastico dei boxer blu di Erik, l'ultimo indumento rimastogli addosso. Esitò, in fondo doveva spogliarlo del tutto per poter aprire l'acqua calda, così da lavare Erik, umido di bile e sudore. Solo che Charles avrebbe voluto vederlo nudo in altre circostanze quella sera.
Trattenne ancora il fiato, Erik socchiuse gli occhi e si morse le labbra, mortificato, umiliato e afflitto, quando il più piccolo prese ad abbassargli l'intimo, provando a non sfiorargli, inutilmente, la pelle. Ecco che Charles lo vide nudo, fragile e vulnerabile, sconfitto da se stesso. Dalla precedete reazione i pensieri scaturiti nella mente di Charles avrebbero potuto essere dei più svariati, cattivi e persino pietosi, ma in verità, Xavier non riuscì a smettere di pensare che, sì, Erik era estremamente bello e perfetto, e che più di ogni altra cosa aveva bisogno di lui. Si era già amaramente pentito delle parole buttate come fango sulla disperazione di Erik, non avrebbe mai dovuto urlargli contro certe cose, se pur controllato dalla rabbia e dalla paura, Charles non avrebbe dovuto rivolgersi ad Erik in quel modo.
Si allungò su di lui, così da regolare al meglio l'acqua calda e l'acqua fredda, che più velocemente del previsto, iniziò a riempire la vasca da bagno, e a bagnare il corpo quasi del tutto immobile di Erik.
A Charles venne in mente un altro numero, ancora, prese a contare.

Quattro: La musica. Ad Erik era sempre piaciuta quell'assordante accordo di chitarre e urla attutite dalla batteria, il genere rock metal gli donava un'espressione compiaciuta e sarcastica, come se la voce alta di quei svariati cantanti rispecchiasse a pieno ciò che si teneva dentro, così da parer farlo sapere a tutti senza parlare. Hai sempre pensato che quel fastidioso genere fosse troppo volgare e diretto, non è forse così Charles? Ma mentre continuavi a passare sulla pelle chiara di Erik la spugna poco insaponata, che gli percorreva lentamente il petto, invece di immedesimarti in una colonna sonora fatta da pianoforte e note di musica classica, ti vennero in mente le parole di uno dei tanti testi che Erik ti aveva costretto ad ascoltare a tutto volume. Il titolo della canzone era Last legal drug, dei Korn. Le parole ti colpirono molto, tanto che le imparasti a memoria abbastanza in fretta. Diceva:

"Put your hand against your skin
Rub it gently to begin
You feel it?
Can you feel it?
When does pleasure become pain?
When does sex become insane?
You say yes
As you feel it

When you cum
(Be a good girl)
Hold your breathe
(Make it last long)
It's a mess
(it is called)
the little death, girl

So please
When you die could you scream?
Mercy
Mercy for you and me
Its true
What they say fuck it boy
Love might be the last legal drug
So please
When you cry let it flow
I might
Make you stay, let you go
It's true
What they say fuck it boy
Love might be the last legal drug

Push that one more time that's all
And the rain begins to fall
You feel it?
Can you feel it?
People who ain't seen shit been
Telling you that its a sin
You say it
As you feel it

When you cum
(Be a good girl)
Hold your breathe
(Make it last long)
It's a mess
(it is called)
the little death, girl

Le petite mort"

Charles fermò il movimento circolare che la sua mano stava compiendo nel pulire le clavicole di Erik, causa il pianto silenzioso e leggiadro del maggiore. Guardò le lacrime trasparenti scendere a turno lungo gli zigomi scarniti di Erik, per arrivare fino alla punta delle sue labbra sottili e pallide, e finire la propria discesa sulla punta del mento, così ricadere nell'acqua calda della vasca. Non molti, forse, hanno mai fatto attenzione a queste piccole gocce di tristezza che cadono dagli occhi, chiunque piange è concentrato soltanto sulla propria emozione, ma Charles era sempre stato un buon osservatore, e non poté fare a meno di sostare su quel pizzico di sale liquido fatto di qualcosa di troppo complesso dentro la mente di Erik da comprendere.
Il ragazzo dentro la vasca non emise nemmeno un fiato o un gemito singhiozzato, mentre continuava a piangere. Lo fece come se stesse respirando, qualcosa di naturale e istintivo. Charles ne sentiva quasi l'odore, di quelle brevi lacrime.
«Non piangere.» gli disse, con una mano immersa nell'acqua e la voce rauca, guardando Erik in viso. Questo non rispose, allora Charles non poté fare a meno di trattenersi, e inumidirsi le labbra.
«Perdonami ancora, per ciò che ti ho detto prima.»
Tornò il numero due; le parole.
«Io non so cosa dirti Erik, davvero, in questo momento mi tremano le gambe, e mi fa male tutto questo.»
«Sapessi quanto faccia male a me.» gli rispose Erik, a denti stretti, voltando lievemente il capo in direzione di Charles, e guardandolo con gli occhi arrossati.
«Allora lasciamo che ci faccia male assieme.» gli sussurrò Charles, mantenendo la distanza tra loro.
«Charles io però non voglio più soffrire, come cazzo faccio a far passare questo dolore?» gli domandò Erik, con la voce storpiata da un debole singhiozzo che gli fece alzare velocemente le spalle.
Charles, con la mano ancora poco asciutta, umida solamente sulle dita, accarezzò la guancia di Erik. Quest'ultimo socchiuse gli occhi e si irrigidì, uscendo le mani dall'acqua, e aggrappandosi insicuro all'avambraccio di Xavier, che non si fermò.
«Conta fino a quattro Erik, urla, piangi, ridi e fai silenzio. Conta sulle dita di una mano, e lasciane uno in disparte, da usare per un anello, magari. Ecco, lì metterai un anello tutto dorato, brillante e bellissimo.»
«E che ne farò di quell'anello?» domandò ancora Erik, sfinito.
«Lo userai per aggrapparti alla vita. Adesso che ci sono anch'io nella tua storia, non puoi più essere egoista e farti male da solo. Siamo complici Erik, io non posso controllare la tua mente, ma tu si.» gli ripose Charles, abbozzando un sorriso dolce e stanco.
Erik lo guadò più ostinano, respirando con le labbra appena socchiuse, scosso da un brivido di freddo lungo il collo bagnato da alcune gocce d'acqua tiepide.
«Scusami Charles.» gli disse, sospirando.
«No, non devi chiedermi scusa. Devi solo riuscire a dare un colore ai tuoi occhi.»

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