1.
Il campus era animato dal vocio pacato ed educato degli studenti, le lezioni erano terminate, e quel pomeriggio Charles non avrebbe trascorso del tempo in biblioteca ad approfondire la lezione di filosofia della mattina precedente, avrebbe invece avuto l'onore di fare la conoscenza del suo nuovo e temporaneo ospite.
Aveva letto il suo fascicolo, lungo non più di due pagine e mezzo, troppo incuriosito dall'identità di quello sconosciuto.
Era un ragazzo di ventisei anni, e la cosa che venne evidenziata quasi come fosse un marchio di fabbrica fu' il suo orientamento religioso; Erik Lehnsherr era ebreo, ma da quanto descritto pareva che il ragazzo non fosse molto praticante. La sua lenta camminata verso il mondo della droga era iniziata quando il ragazzo aveva appena quindici anni, orfano di padre sin da bambino, la madre era stata assassinata nel quartiere malfamato in cui aveva vissuto fino ai diciotto anni. Erik era passato dalle droghe più leggere a quelle più pesanti, ultima ma non meno importante l'eroina. Era stato arrestato per spaccio, colto sul fatto, e alcune pratiche legali gli avevano miracolosamente evitato il carcere, costringendolo a disintossicarsi in una comunità e a svolgere determinate ore di lavoro sociale.
Non c'era nessuno sua foto allegata, e la mente di Charles lo aveva già immaginato come una sottospecie di anoressico con due profonde occhiaie e la pelle grigiastra.
Immerso nei suoi pensieri e nel ritratto pietoso elaborato dalla sua immaginazione, il ragazzo non si rese nemmeno conto di aver già raggiunto l'ufficio della commissione dove era stato segnato il suo appuntamento. Bussò cortesemente alla pesante porta di legno e poi entrò, con un sorriso sereno e calmo.
Nella stanza, l'unica cosa che riuscì a vedere fu' solamente quel bellissimo ragazzo imbronciato. I capelli morbidi e rossicci, di un colore fra il castano scuro ed il rosso ramato, con una barba incolta del medesimo colore. Due grandi occhi azzurri fissavano il pavimento, e le sue labbra carnose erano secche e screpolate. Poche rughe gli davano un'espressione corrugata, che evidentemente erano frutto di anni di totale dipendenza da stupefacenti.
Charles deglutì rumorosamente, fermandosi al centro della stanza come un totale ebete, incantato da quell'uomo. Uno dei presidenti di commissione affiancò lo sconosciuto, ed iniziò a parlare con franchezza:
«Signor Xavier, lui è Erik Lehnsherr, dato che ha già firmato il documento per la sua temporanea custodia, Lehnsherr starà con lei per tutto il pentamestre.»
Charles sbattè le palpebre come se volesse svegliarsi, sorridendo nuovamente e presentandosi al suo nuovo coinquilino allungando la mano verso di lui.
La stretta di Erik era fredda e impacciata, marchio di una persona che per tutta la vita non aveva mai avuto fiducia nei confronti di qualcuno. Il palmo grande e ruvido presentava alcune piccole cicatrici bianche.
I loro sguardi si incontrarono in un diretto contatto estraneo:
«Molto piacere, sono Charles Xavier.» il rossore delle labbra morbide dello studente sembrò farsi più evidente, ed una ciocca di capelli morbidi gli andò difronte gli occhi.
Con irritazione e tono burbero il ragazzo molto più alto di lui ammonì: «Erik.»
L'imbarazzo era ben palpabile fra i due ragazzi e il moderato gruppo di insegnati, che liquidarono lo studente con le normative basi da seguire e gli augurarono buona fortuna, raccomandando a Erik di comportarsi bene.
Con il sole caldo ed un'aria tiepida che animava l'ordinato campus, Charles camminava al fianco di Erik tenendo stretto al petto il suo dizionario di latino e lo zaino sulle spalle. Gli occhi bassi ed il viso paonazzo dall'imbarazzo, a cui il maggiore non diede la minima attenzione.
«Cosa studi?»
Xavier si irrigidì, voltando la testa verso di lui, guardandolo dal basso verso l'alto: «Come dici?»
«Cosa studi in questa specie di baracca? Medicina? Psicologia? Qui ci stanno i pezzi grossi.» il timbro della voce di Erik era rauco e molto menefreghista.
«Nulla di tutto questo, studio letteratura e filosofia, per diventare insegnante.»
Il maggiore sorrise sarcasticamente: «E dove insegnerai? Alle scuole elementari?»
Quell'affermazione offese Charles che, se fino a quel momento aveva scrutato Erik con gli occhi a cuoricino, adesso provava una grande antipatia nei suoi confronti.
«Scusami?»
«I dottori e gli avvocati fanno strada se studiano in una scuola simile, tu al massimo potresti insegnare l'alfabeto ai bambini.»
«Si dà il caso che questo studente sia il più bravo e competente del suo corso.»
«Oh, contento tu.»
La stradina di cemento sotto i loro piedi emetteva un lieve rumore di passi, e le aiuole verdi e ben potate ai lati odoravano di primavera. Charles era frustrato, non tanto per l'idea che Erik avesse sulle sue scelte, ma tanto più per il suo modo di vedere la società. Anche se non era nel suo carattere, con timore e rabbia moderata decise di farsi avanti e chiarire quella discussione:
«L'insegnate ha sempre avuto buone possibilità di lavoro, ed un giovane neo laureando come me, con le proprie basi e preparazioni, non faticherà di certo a trovare un impiego. E poi, insegnare a qualsiasi tipo di studente è già un traguardo.»
«Sai che divertimento, cosa farai poi? Libri, studio, test, come farai a goderti la vita?»
«È una cosa soggettiva, tu cosa intendi con 'godersi la vita'?»
Quella domanda rese Erik ancora meno entusiasta e irritante: «Qualcosa che ad un figlio di papà come te non piacerebbe mai, tipo, che ne so, fumare una bella manciata d'erba ed esempio. Non l'hai mai provata?»
Finalmente chinò lo sguardo verso il minore, che strinse più forte il pesante libro fra le mani, rimanendo in silenzio con un falso broncio.
«Già, che domande del cazzo che faccio.»
«Ti prego di usare un linguaggio educato in mia presenza.»
«Credevo avessi studiato anatomia qui, tutti gli uomini hanno il cazzo.»
Charles diventò paonazzo in volto, evitando in tutti i modi di guardare Erik, che con naturalezza si cacciò le mani nelle tasche dei jeans larghi e strappati, con un mezzo sorriso soddisfatto.
Ci fu' ancora un breve momento di silenzio fra i due, come un ponte di transizione per abituarsi ai loro caratteri e alle loro idee completamente opposte. Le mani di Erik senza preavviso afferrarono il dizionario sul petto di Charles, che non poté fare a meno di lasciarglielo strappare via.
«Dammi qua, è pesante questo coso.»
«Ce la faccio a portarlo anche da solo.» mormorò imbarazzato il minore, non opponendo resistenza, lasciandogli portare il libro che era davvero tanto pesante.
«Pensa a prendere le chiavi dell'auto piuttosto, prof.»
«Non chiamarmi così.» rovistò frettolosamente nelle sue tasche alla ricerca delle chiavi, ancora troppo imbarazzato per rivolgere di nuovo lo sguardo ed Erik.
«Oh sì, ti chiamerò prof, tesoro. Anzi, suona ancora meglio prof X, come i nomi delle puttane dei bordelli.»
«Non darmi il nome di una prostituta!» sbottò irritato il minore, aprendo la portiera della sua auto.
«Non ho detto che sei una troia, sei troppo innocente per esserlo.» Erik ammiccò e poi entrò in machina, lasciando ribollire di rabbia ed imbarazzo il povero Charles.
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