Capitolo 2



2. Fuori dal mio controllo

Carol

Sento una presenza vicina.

Apro gli occhi e vedo una signora con la divisa da infermiera che sta premendo dei pulsanti di una delle macchine che mi stanno accanto.

Appena si rende conto che sono sveglia mi chiede in modo gentile: «Ciao, hai bisogno di qualcosa?».
Ho una stretta allo stomaco.
«Veramente avrei una certa fame, non è che potresti portarmi qualcosa da mangiare?» le chiedo con tono scocciato.

«E che sia commestibile, non voglio mangiare quelle schifezze che usate dare ai malati» aggiungo in modo freddo.

«Chi ti credi di essere? Prima di tutto: portami rispetto, perché non sono tua sorella. Secondo quelle schifezze a cui ti riferisci sono necessarie per la cura dei malati» ribatte indispettita.

La guardo piena di rabbia e aggiungo:

«Senti, dì quello che ti pare, ma portami quello che ti ho chiesto, e poi non ti conviene parlarmi in questo modo perché sono la figlia di un importante uomo; per caso le dice qualcosa Dr. Johnson?» le chiedo.

Penso a bassa voce che non ha nessun diritto di rimproverarmi e, infatti, non aspettandosi che fossi sua figlia, rimane di stucco.

Con gli occhi sbarrati mi chiede balbettando: «Quindi tu mi sta dicendo che sei figlia dell'avvocato Johnson?».

«La sola ed unica!» rispondo in tono altezzoso.
Nel suo viso, compare un'espressione preoccupata, tuttavia afferma:
«Scusami non lo sapevo. Adesso vado a prenderti ciò che mi ha chiesto» e se ne va.

Ben le sta, la prossima volta ci penserà più di due volte prima di parlarmi in questo modo, rifletto.

Intanto io ne approfitto per guardarmi intorno, anche se a dire la verità non c'è proprio niente da vedere. La stanza è praticamente vuota: ci sono due grandi finestre con le tapparelle chiuse, che comunque lasciano passare un po' di luce mattutina, e questo mi fa pensare che sia giorno.

Davanti a me c'è un piccolo televisore messo in alto.
Mi sento molto stanca, come se avessero prosciugato tutte le forze che avevo.

Ho bisogno di sapere cosa mi è successo, da quanto tempo mi trovo in questo schifo, il motivo per cui non riesco a ricordare ciò che stavo facendo prima di trovarmi qui, e perché non riesco a sentirmi le gambe.

Mentre sono assorta in questi pensieri, arriva l'infermiera che mi porta due yogurt alla fragola.

Me li porge, ma io non riesco a prenderli perché sento tanto dolore alle braccia, a causa dei maledetti aghi, quindi decide di imboccarmi.

All'inizio l'idea non mi piace affatto, perché essere imboccati la trovo come una cosa infantile, ma ho fame, quindi meglio che non mi lamento.

Finito di mangiare i due yogurt, l'infermiera si avvia verso l'uscita poiché è stata chiamata da qualcuno.

«Scusa, puoi dirmi perché mi trovo qui? E soprattutto cosa mi è successo?» le chiedo impaziente.

Risponde in tono freddo: «Si è appena svegliata da un lunghissimo sonno, quindi credo che lei debba riposare signorina».

Con le guance a fuoco per la risposta ottenuta, ribatto furiosa: «Ho il diritto di sapere cosa mi è successo e tu devi dirmelo».

L'infermiera, senza ascoltarmi, esce dalla stanza lasciandomi sola.

«Infermiera!» urlo.

Dopo alcuni minuti inaspettatamente rientra nella camera.

Noto che ha una siringa in mano.

Cosa vuole fare?

Non aveva già finito di inserire le varie flebo e fare iniezioni?

«Carol, mi sono stufata del tuo comportamento da bambina viziata, adesso vedrai che con questa ti calmerai» dice prendendo il braccio e inserendo la punta della siringa.

«NO, LASCIAMI STARE!» urlo, cercando di svincolarmi dalla sua presa.

Mi sveglio di soppiatto, ansimando.

«Ehi, Carol calmati, va tutto bene era solo un brutto sogno» dice un'infermiera accanto a me, cercando di tranquillizzarmi.

Grazie a Dio, era solo un incubo, l'infermiera del sogno voleva ammazzarmi.
Guardo confusa il viso del soggetto preoccupato accanto a me per quanto mi è possibile, poiché la stanza è praticamente buia e mi accorgo che è accompagnata da un'altra figura, presumo maschile.
Dove mi trovo?
Cerco di muovermi ed è lì che mi rendo conto di trovarmi intrappolata in un letto, non riesco a muovere alcun arto, se non a malapena le mani, le quali sono tappezzate da aghi che mi provocano un leggero fastidio. Un'improvvisa paura si fa strada nella mia anima, mi soffoca così tanto che faccio fatica a respirare, anche se indosso la maschera d'ossigeno.
Inizio ad osservare la stanza, nonostante la poca luce, noto che vicino a me ci sono solo macchinari che lampeggiano e suonano ininterrottamente.
Sono spaesata, tutto ciò che ho attorno, non mi appartiene. Che cosa ci faccio qui?
Cosa mi succede? Come sono finita qui? Perché mi sento così impotente?
È come se in questo momento, la vita mi stesse scivolando via dalle mani: sento di non avere più il potere di me stessa. Questa è sempre stata tra le mie più grandi paure: perdere me stessa, il controllo. Non riuscire più a trovare frammenti di me stessa e non poterli aggiustare quando e come voglio io è un concetto totalmente astruso, che non riesco a concepire. Devo certamente fare qualcosa.
Ho assolutamente bisogno di prendere la situazione in mano, ma sebbene io abbia la volontà, sento di non avere i mezzi per riuscirci e questa consapevolezza mi spaventa così tanto voler evadere.

Vorrei urlare, ma sento un fortissimo dolore alla gola, riesco solo a pronunciare debolmente queste parole: «Che cosa mi avete fatto?».
«Nulla, non preoccuparti sei al sicuro» afferma il dottore di cui si scopre il viso, poiché la luce che domina la stanza è aumentata. I suoi occhi azzurri sono fissi sul mio viso e la sua espressione è indecifrabile. Sembra non provare nulla dinanzi alla mia situazione.
Come si può considerare un luogo come questo, un rifugio? Sembra più una prigione, dove scontare le pene più dolorose che una persona possa subire.
Scuoto la testa e mormoro: «Non vi credo, volete farmi del male».
L'infermiera facendo gli occhi dolci mi accarezza la fronte dicendo amorevolmente: «Nessuno vuole farti del male Carol, sei al sicuro non ti devi preoccupare».
«Sei viva e questa è la cosa più importante» annuncia il dottore per poi uscire dalla stanza. Che cosa intende per essere viva? Rischiavo la morte?
«Senti, so che hai tantissime domande, ma ti devi fidare di noi. Ti prometto che tutto ti sarà comunicato, ma adesso non è il momento, è davvero importante che tu ora chiuda gli occhi e ti addormenta. Devi recuperare le forze» mi consiglia, con i suoi occhi marroni, che sembrano leggermi l'anima.
Ho forse scelta adesso? Ho il potere di decidere che cosa fare?
Non mi pare, non mi sento neanche più io.

È come se stessi vivendo in un mondo surreale. Un sogno, forse un incubo, no nemmeno quello.
I miei ricordi sembrano svaniti, nella mia testa ce n'è solo uno.

Ciò che riesco a ricordare è lo sguardo triste dei miei genitori, mentre si allontanano.
I miei genitori, le persone che odio di più nella mia vita. Che cosa staranno facendo adesso?
Perché non sono qui accanto a me, per darmi tutto il conforto di che sento di aver bisogno?

Scaccio dalla mente il pensiero di loro, i quali saranno troppo occupati con il loro lavoro di merda per stare vicino alla propria figlia, che è bloccata in un letto d'ospedale.

Non ci capisco più niente.

Mi sembra di vivere uno stato di dormiveglia, dove il sogno si mescola con la realtà.

Si tratta quindi, solo di svegliarsi completamente, e tutto tornerà come prima.

Tutto ritornerà alla normalità.
Pian piano le poche forze rimaste mi abbandonano, e senza accorgermene, mi riaddormento con la presenza dell'infermiera che sembra proteggermi da ogni brutalità.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top