0. Vite incrociate
Si svegliò un giorno, uno come tutti gli altri, guardando intorno a sé con estrema ripugnanza.
Odiava se stessa, ma soprattutto le persone con cui doveva interagire ogni giorno, le riteneva colpevoli per il loro menefreghismo, per quello che avrebbero potuto fare e non hanno fatto.
Non sono stati capaci di fermare quel terribile destino o semplicemente non hanno voluto farlo.
Ogni giorno però sorrideva a quelle persone, perché nella realtà loro non erano colpevoli, non erano a conoscenza di quello che stava succedendo.
Quei sorrisi ferivano più di qualunque altra cosa, perché non lasciavano spazio a quelle dolci lacrime che avrebbe voluto far scendere, per il piacere di sentirle solleticare il viso e anche per trasmettere realmente ciò che provava.
I giorni passavano e la situazione non cambiava, in certi giorni come la domenica però tutto diventava più semplice, poiché c'era la famiglia e quella era in grado di dare coraggio a quella ragazza. Invece durante la settimana, alla sera suo padre veniva a farle compagnia, e lei era davvero grata per questo, sapeva che non tutti i padri avevano il coraggio di compiere questo atto.
Aveva sentito una storia, dove un padre aveva abbandonato la propria figlia in difficoltà, e lei aveva avuto paura che succedesse la stessa cosa anche a lei.
Suo padre era un pilastro nella sua vita, con lui tutto diventava più facile, ma anche lui nascondeva un dolore, forse più grande di quello di sua figlia, ma non lo mostrava mai.
Sapeva che sua figlia aveva bisogno di qualcuno in grado di sostenerla, e spettava questo compito.
Gli amici, quelli veri, la venivano a trovare ogni settimana anche se abitavano a molti chilometri di distanza.
La distraevano, la riportavano alla sua vera età, quella spensierata ed erano in grado di farle scomparire quei pensieri pesanti che ogni giorno occupavano la sua mente.
L'ora delle visite purtroppo terminava e tutto diventava come prima.
Durante la notte era costretta a stare al letto, a causa di quella opprimente organizzazione di cui era complice anche il suo corpo: le gambe non rispondevano ai suoi comandi, sembravano non fare più parte della sua natura.
Vivevano in uno stato di coma, sembravano non volessero svegliarsi, forse erano stanche di camminare, ma lei le voleva indietro, avrebbe pure viaggiato nei suoi ricordi per farle avere vita.
La stanza in cui viveva, da un po' di tempo non la condivideva con nessuno e questo era un sollievo per lei, non avrebbe avuto nessuna persona che avrebbe contribuito a rendere la sua permanenza insostenibile.
Le uniche compagne di stanza che aveva avuto erano signore anziane, una sola di quelle aveva lasciato qualcosa nel suo cuore, la signora vedeva in lei, una ragazza forte e coraggiosa, poiché nonostante la sua situazione difficile non si lamentava quasi mai.
Avevano stretto un rapporto speciale, un po' come nonna e nipote.
Arrivò un giorno in cui la signora guarì e la abbandonò, ma non era un addio era solo un arrivederci.
Le giornate continuavano come al solito tra medicine, fisioterapia, TV e anche studio.
Nonostante si trovasse in ospedale, la scuola le aveva dato la possibilità frequentare le lezioni via Skype e questo aveva fatto in modo che lei non perdesse l'anno.
I pomeriggi sembravano infiniti, le lancette dell'orologio si muovevano lentamente, ma lei aveva trovato un modo per divertirsi, impiegava il suo tempo a fare braccialetti di plastica, quell'estate andava di moda, e molta gente le li commissionava.
Aveva passato ore intere a guardare i tutorial su YouTube per imparare a fare dei modelli più complessi.
Tuttavia l'estate finì e con essa anche il suo passatempo.
Le foglie avevano iniziato a cadere e tappezzare il terreno, però lei usciva raramente dall'edificio, quindi poteva solo godersi lo spettacolo dalla finestra della sua camera.
Presto la notizia che tanto attese arrivò: le dimissioni, era contenta, ma comunque una lacrima era scivolata sulla pelle, ormai i medici non potevano fare nulla per lei, la sua vita sarebbe continuata così senza alcun miglioramento.
Si sentiva in colpa per questo, aveva assistito a molti casi di guarigione e ogni giorno sperava che anche per lei sarebbe arrivato quel momento.
Lei non aveva fatto abbastanza, non erano bastate le preghiere a Dio, le ore di fisioterapia... doveva fare di più, ed era pronta a farlo anche fuori.
Quando finalmente poté respirare l'aria fredda d'inverno, non ne fu così entusiasta, quando percorreva le strade della città sentiva gli sguardi crudeli della gente sul suo corpo, come la sua esistenza fosse qualcosa di tremendamente sfortunato e questo la faceva sentire ancora più miserabile più di quanto si sentisse già.
Iniziò a frequentare le lezioni a scuola e per un periodo di tempo era stata un simbolo per tutti, era l'emblema del coraggio, però lei non credeva di meritarsi questo titolo poiché non si sentiva speciale, era soltanto una persona, una come tutte le altre, solo che aveva avuto la fortuna di cambiare vita, una vita che però non aveva scelto.
Aveva potuto osservare che alcuni dei suoi compagni, i quali considerava amici, non la trattavano più come circa un anno fa, la guardavano con occhi totalmente diversi, la isolavano dal loro mondo, ma lei aveva provato a bussare per entrarci, era stato tutto inutile.
Ricordava tutte le mani che aveva dato ad essi, e loro adesso le rivoltavano le spalle. Tutto quello che aveva creato in tutti gli anni, si era distrutto in un frammento di secondo.
Lei si sentiva a pezzi, non riusciva ad accettare che tutto questo fosse successo a causa del suo dannato corpo: la sua prigione.
Credeva di essere stupida, poiché aveva dato troppi pezzi di se stessa alle persone sbagliate, aveva riposto fiducia nelle loro anime dannate.
Inoltre era costretta a chiedere aiuto anche quando non voleva, era obbligata a fare certe azioni che avrebbe preferito non compiere.
Per un momento aveva pensato di togliersi la vita, non trovava lo scopo di continuare a vivere un incubo: la sua vita.
Avrebbe solo voluto tornare indietro di circa un anno per impedire la catastrofe imminente, ma a quel punto, cosa sarebbe successo? La sua vita sarebbe continuata senza alcun problema? Non aveva la risposta, a lei mancavano tante cose, la maggior parte delle quali aveva perso dopo l'intervento.
Poche cose le restavano: la famiglia e i suoi veri amici, quelli che la sua mente aveva mandato nel passato, tuttavia loro erano ancora lì nel presente.
E questo le impedì di attuare quel gesto così crudele e per certi versi codardo: il suicidio.
Nelle sole persone che aveva vicino, trovò la forza di asciugarsi le lacrime, fregarsene e andare avanti.
Però si sa non esistono strade senza ostacoli, e quelli purtroppo doveva affrontarli ogni giorno, ed a farle compagnia c'era anche il suo dolore. Quello c'era sempre stato, e anche se faceva male aveva imparato a sopportarlo, a conviverci, ma non bastava.
In alcuni periodi dedicava il suo tempo a rigarsi il viso di lacrime e poi in un secondo momento a cicatrizzarle.
Intanto l'orologio aveva continuato a segnare le ore che passavano, e si svegliò un altro giorno ed era estate.
Le vacanze ricominciarono presto e con esse anche la noia. Tra pochi giorni avrebbe iniziato a frequentare un centro estivo, non era molto felice dell'idea di dover interagire con adolescenti come lei, poiché nascondeva quella paura di non essere accettata. Tuttavia nelle seguenti giornate impiegò il suo tempo a leggere libri nella sua terrazza, con il sole picchiava così forte da riscaldare le pagine in cui lei si immergeva.
I libri che lesse erano di diverso genere, da raccolte di storie brevi a romanzi, tutti avevano lasciato una sensazione nel suo cuore. Per lei leggere era come vivere, lei attraverso i libri riusciva a provare sensazioni, ed è proprio quello che cercava. A lei non importava lo stile, e neppure la trama in sé.
L'importante era che l'autore mediante le sue parole, riuscisse a farla riflettere, gioire, arrabbiare e perché no anche soffrire.
Come in un uragano di eventi, si ritrovò a fine agosto, con un computer sulla scrivania a condividere il suo dolore con altre persone, attraverso una storia di cui lei faceva parte, ma non era la protagonista, gli eventi che descriveva li sentiva molto vicini, ma nella storia li aveva affrontati in modo diverso.
Aveva dato vita ad altre vite diverse, le quali erano intrecciate l'una all'altra, ma in un modo o nell'altro erano collegate anche alla sua.
Scrivere non era la sua passione, fino ad allora aveva scritto solo per necessità, però in quel periodo aveva sentito il bisogno di condividere quello che aveva dentro, e l'unico modo in cui le riusciva meglio era scrivendo. I suoi personaggi erano diventati dei compagni di vita, la aiutavano ad affrontare le difficoltà, mentre lei aiutava loro.
Non le fregava di quante persone avrebbero avuto il coraggio di partecipare alla sua storia, e sinceramente non ne immaginava molte, poiché sapeva che il dolore, era un'emozione che difficilmente uno la voleva provare, ma era proprio grazie al dolore che stava diventando una persona più forte di prima.
SiDarlyng
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