21 - La Bat Caverna

Le colline di Beverly Hills non erano poi molto distanti dal Los Angeles International Airport.
Solo una ventina di minuti, traffico permettendo, e avrebbe finalmente visto la Bat Caverna di Jeffrey, come scherzosamente l'aveva ribattezzata Rob quando, la sera prima, aveva cenato con Jay e le altre per salutare a dovere la fortunata amica.

Jay si lasciò sfuggire un timido sorriso quando le parole dell'amico le tornarono alla mente; sorriso che non passò inosservato all'anziano signore che camminava verso di lei: «Signorina Jay, ben arrivata. Dia pure a me, la prego.»

Griffin, impeccabile come sempre, le era andato in contro, sfilandole dalle mani il pesante trolley che si era trascinata dietro fino agli affollati marciapiedi antistanti l'ingresso del l'aeroporto.
La figura minuta dal portamento di classe, che l'uomo riusciva a tenere anche sotto quel sole cocente, suscitò in lei una piacevole sensazione di calma, scacciando, anche se per poco, l'ansia che l'aveva accompagnata sin da quando si era svegliata, quella mattina.

«Grazie mille, Griffin. Non immaginavo facesse così caldo, speravo sarebbe stata un'impresa meno difficile arrivare fino a qui.»
Jay riuscì ad intravedere un elegante sorriso farsi largo tra le pallide rughe del maggiordomo, mentre riponeva i suoi bagagli nel retro della limousine.
L'uomo si sistemò, con un gesto quasi impercettibile, il colletto della camicia, volgendo poi gli occhi chiari alla ragazza: «È fortunata, signorina, le previsioni meteo sono davvero ottime per questa settimana. Mi auguro sinceramente che il signor Morgan colga l'occasione per portarla in spiaggia, durante il suo soggiorno.»

Jay avvampò al solo pensiero di una giornata al mare con Jeffrey: ancora non si capacitava di quello che stava per vivere e, sopratutto, per quanto si sforzasse, ancora non le riusciva di immaginare come sarebbe stato far parte della quotidianità di quell'uomo che restava, per lei, un mistero tutto da scoprire.

Prese posto in auto, invitata dall'ineccepibile inchino che Griffin le aveva rivolto con lo sportello spalancato, e tirò un lungo sospiro per cercare di tranquillizzarsi.
Non appena la macchina cominciò a muoversi, si decise a recuperare il telefono dalla borsa per inviare un messaggio a Rob, Emily e Kate, per informarli del suo arrivo.
Nonostante il fuso orario, le risposte degli amici non tardarono ad arrivare: Rob che le ricordava di respirare, Emily che le suggeriva di divertirsi e Kate che le ripeteva di osare, concludendo il messaggio alla stessa maniera dei due amici "Goditi ogni istante, ti voglio bene!".

Confortata dell'appoggio dei suoi cari, Jay ripose il telefono, recuperando il secondo, per scrivere del suo arrivo anche a Jeffrey.
L'uomo le aveva già anticipato che avrebbe raggiunto L.A. un paio d'ore dopo di lei, convincendola a raggiungere ugualmente casa sua e invitandola a mettersi comoda.

Ancora intenta a cercare le parole giuste da digitare, scostò lo sguardo dallo smartphone restando rapita dalle bellezze che le scorrevano di fianco attraverso il finestrino.
Una fila di alti e curati alberi si alternava ad enormi e lussuose cancellate, di svariati colori, che annunciavano il suo arrivo nella zona residenziale tra le più chic di Los Angeles.
Deglutì quando realizzò che, di lì a poco, avrebbe varcato uno di quei cancelli, ritrovandosi di fronte a chissà quale spettacolo.

< Sono atterrata da una mezz'oretta. A giudicare dallo sfarzo qui intorno direi che sono quasi arrivata. Vedi di non farmi aspettare troppo, potrei addormentarmi... >

Digitò il messaggio frettolosamente, distratta dalle decine di abitazioni che continuavano a costeggiare, riuscendo ad inviarlo solo quando notò che l'auto cominciava sensibilmente a rallentare, imboccando un viale più stretto dei precedenti, ma non meno curato.
La limousine presto svoltò a sinistra, fermandosi davanti ad un'ampia cancellata in ferro, ridipinta di un nero opaco, che Jay vide pian piano aprirsi, tenendo il viso incollato al freddo vetro del finestrino, permettendo al veicolo di passarvi attraverso.

Pochi istanti dopo l'auto si fermò davanti al porticato di un'imponente villa dalle pareti color avorio e completamente immersa nel verde.

«Prego, signorina, si senta libera di visitare la casa. Io intanto porto la sua valigia al piano di sopra.» le disse Griffin aprendole lo sportello, interponendosi per poco tra lei e la maestosità dell'edificio.

Scesa dall'auto fece un giro su se stessa per poter ammirare la meraviglia attorno a lei a trecentosessanta gradi: a parte il vialetto in pietra viva che collegava il cancello con l'ingresso della villa, l'intero terreno era ricoperto da un prato inglese tanto verde e lucente da sembrare quasi finto; a delineare i confini di quella distesa delle folte siepi, alte come un albero ma dal fogliame che saliva dal terreno fino in cima, completamente ricoperto di piccoli fiori bianchi di cui Jay poteva sentire il profumo nonostante la distanza.

Man mano che si avvicinava alla villa ne scorgeva i dettagli: dalle ampie finestre rettangolari e specchiate che ne occupavano entrambi i piani, agli intagli a forma di ape sulle colonne in legno del porticato color alabastro, fino ad arrivare al portone in legno, di un marrone così intenso da sembrare quasi rosso, che Griffin aveva prontamente lasciato spalancato per permetterle di entrare.

Quando fu dentro la sua attenzione fu attirata dalle due rampe di scale che conducevano al piano superiore, formando una coppia di semicerchi che sembrava abbracciare le tende drappeggiate, azzurre con fantasie d'un bianco perlato, e per metà aperte. Attraverso i tendaggi le fu possibile scorgere tre grandi porte a vetro scorrevole che conducevano al cortile posteriore e alla cristallina piscina ovale che brillava al contatto coi raggi solari.

Un veloce sguardo alla sua sinistra e notò che l'ingresso terminava, da quel lato, con un'arcata che portava ad un ampio salone che, secondo Jay, faceva parte della zona giorno.
Alla sua destra un'arco uguale al primo portava ad un'altra sala, di cui Jay, però, non riuscì a scorgere altri dettagli, perché celati in parte da un paravento color lavanda.

Cominciò a salire su per le scale, curiosa di scoprire cosa avrebbe trovato al secondo piano, incrociando Griffin che, a passo lento, camminava nel senso opposto al suo: «Signorina, il suo bagaglio è nella cabina armadio di fianco alla camera patronale.»

L'espressione spaesata di Jay fece rammentare al maggiordomo che la ragazza non aveva di certo la sua dimestichezza con le stanze della casa, così, si schiarì la voce e continuò a parlarle: «Segua il corridoio: la prima stanza è la camera da letto del signor Morgan, dietro la secondo porta troverà il bagno e la terza è la cabina. Le tre sono collegate tra loro. Se vuole rinfrescarsi o sistemare le sue cose faccia pure, il signore vuole che mi assicuri che lei si senta a suo agio.»

«Grazie, Griffin. Di sicuro mi sarei persa. Seguirò il suo consiglio per ingannare il tempo.» Jay, sfoggiando uno dei suoi migliori e più sinceri sorrisi, si congedò dall'uomo per seguire le sue indicazioni.
Raggiunse la cabina armadio, grande quanto o forse anche più del soggiorno della sua casa a New York, e si chinò per aprire il suo trolley.
Tirò fuori un po' di vestiti, per lo più magliette e jeans, e li posizionò su una delle mensole vuote alla sua sinistra. Gran parte della cabina era in legno scuro, e le ante scorrevoli delle altre pareti erano quasi tutte chiuse, salvo quelle alla sua sinistra, per metà completamente vuote e per metà occupate da camicie di ogni tinta, sicuramente appartenenti a Jeffrey.

Recuperò un paio di shorts in cotone blu e una canotta rosa pallido dal fondo del bagaglio, cercando poi l'intimo in una delle tasche interne e scegliendo un completo semplice, bianco, che si sarebbe nascosto benissimo sotto gli abiti che aveva scelto.
Avrebbe preferito scegliere qualcosa di più elaborato da indossare, magari un completino più provocante o un abbigliamento meno sportivo, ma il caldo cominciava a farsi sentire e non avrebbe sopportato jeans o pizzi a lungo sulla propria pelle.

Abiti alla mano, s'incamminò verso il bagno, passando dalla porta bianca che collegava le due camere; le pareti della stanza erano completamente ricoperte di mattonelle opache e grigio scuro, in perfetto contrasto con quelle bianco lucido del pavimento e con i sanitari.
Si spogliò in fretta, desiderosa di rinfrescarsi sotto il getto della grande doccia rettangolare che le stava di fronte.

Ritornò nella cabina armadio diversi minuti dopo, sentendosi decisamente meno accaldata e più riposata, e approfittando del tempo ancora a disposizione per finire di sistemare la sua roba nelle due ante libere.
Cominciò col sistemare le magliette sui vari ripiani, passando poi ai pantaloni che ripose sulle stampelle nello scompartimento di fianco a quello delle camicie e continuando con i pochi abiti che aveva portato, più che altro per accontentare Emily.

Fu proprio mentre stava appendendo il mini vestito verde persiano, con una sola spallina, comprato con la sua amica, che una voce la prese di soprassalto: «Sicura non sia un po' troppo corto?»

Quando si voltò Jeffrey era lì che la fissava col suo consueto sorrisetto malizioso mentre a passo lento si avvicinava a lei.

Per un attimo fu tentata di gettare il vestito in terra per corrergli in contro e saltargli al collo, ma cambiò idea limitandosi a sorridergli e a dargli le spalle per mettere la stampella col vestito accanto agli altri.
Quando finì incrociò le braccia sul petto e fece un passo indietro, sospirando: «Io lo dicevo che mancava qualcosa. I felponi, ho dimenticato i felponi!»

Sentì le braccia di Jeffrey avvolgerle la vita mentre pian piano le si avvicinava fino ad appoggiarle il petto contro la sua schiena.

«Ti sei data da fare mentre mi aspettavi.» le disse chinandosi per parlarle vicino ad un orecchio «E dal profumo direi che hai anche usato il mio bagnoschiuma.»

Jay si lasciò sfuggire un mugolio causato dal solletico che la barba le provocò sul collo; strinse le spalle istintivamente e, ancora sorridente, gli rispose: «Sei tu che mi hai detto di mettermi comoda.»

«E hai fatto benissimo, piccola.» replicò lui stringendo la presa «Prometto che mi farò perdonare per averti fatto aspettare così tanto.»

Jeffrey cominciò a baciarla dolcemente sul collo, iniziando da dietro l'orecchio e scendendo lentamente verso la spalla, mentre con una mano le scostava i capelli e con l'altra, ancora sul suo fianco, la invitava a voltarsi.
Jay seguì il suo movimento, girandosi verso di lui e prendendogli il volto tra le mani per passargli le dita tra la barba brizzolata, prima di avvicinare le labbra alle sue e sussurrargli un'ultima frase prima di baciarlo: «L'importante è che ora siamo tutti e due qui, Jeffrey.»

Restarono l'uno fra le braccia dell'altra per un po', baciandosi con trasporto e scambiandosi carezze continue, come se volessero assicurarsi di essere realmente insieme lì, in quella stanza, in quello stesso momento, senza che niente e nessuno potesse finalmente dividerli.

«Che ne dici se ci spostiamo di sotto per la cena?» le chiese lui prendendole le mani tra le sue, tornando a baciarla un attimo dopo.

«Dico che è un'ottima idea.» rispose lei cercando di divincolarsi da lui che continuava, divertito, a premerle le labbra sulle guance anche mentre parlava «Cosa prevede il menù, monsieur?»

«Oh, giusto. Spero solo di non aver fatto una cazzata, altrimenti ci toccherà arrangiarci.» disse lui permettendole finalmente di riprendere fiato e indietreggiando di un passo.

«Non ti seguo. Quale cazzata?» domandò Jay quasi preoccupata.

«Tu neanche immagini quanto annoino dopo un po' tutti questi ristoranti dalle cucine moderne, insipide e complicate. In aeroporto ho visto un Burger King e ne ho approfittato. Ti piacciono i cheeseburger, vero?»

Jay per un momento sgranò gli occhi, scoppiando subito dopo in una rumorosa risata e annuendo: «Ovvio che mi piacciono i cheeseburger, ma domani lasci preparare a me qualcosa di un tantino più salutare.»

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Spero che il capitolo non risulti troppo noioso, ma volevo presentare come si deve la casa di Jeffrey visto che gran parte dei prossimi capitoli sarà ambientati lì.
Vi lascio un po' di Ike Evans per farmi perdonare 😆

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