14 - Rischiare
Improvvisamente Jay si alzò dalla panchina e sfilò dalle mani di Jeffrey la bottiglia vuota di Corona. Si spostò con passo veloce verso il vicino cestino per il pattume e poi si voltò per tornare verso la seduta.
Quando però le sue gambe continuarono a muoversi, passando davanti allo sguardo attento di Jeffrey, questi non si trattene: "Dove stai andando, piccola?"
"A casa." rispose lei freddamente, senza neanche girarsi e continuando a camminare.
Jeffrey di scatto si alzò e la raggiunse con un paio di ampie falcate.
"Lascia che ti accompagni." Le disse con un filo di voce.
"Non ho intenzione di venire in macchina con te. Ho solo voglia di camminare ora."
"Bene, allora. Cammineremo insieme."
In realtà Jay avrebbe accettato volentieri il passaggio in auto, se solo Jeffrey non le avesse detto quelle assurdità poco prima.
Camminare fino a casa sua non sarebbe stata di certo un'impresa facile, vista la scomoda presenza delle décolleté tacco 12 ai suoi piedi.
Avrebbe dovuto attraversare tutta Manhattan prima di arrivare a Williamsburg, il quartiere dove viveva.
Ma aveva realmente voglia di passeggiare, di perdersi magari per le vie di quell'immensa città, rapita dalle mille luci e dai frastornanti rumori, solo per smettere di pensare, anche per un solo secondo, alle parole che l'uomo che ora le stava accanto le aveva detto.
Jeffrey camminava al suo fianco, restando in silenzio, guardandola sottecchi di tanto in tanto, sperando in un suo sguardo, in un suo sorriso, in qualsiasi suo gesto.
Ma Jay sembrava impassibile, teneva la testa fissa davanti se, senza mai assumere alcuna espressione, cercando di ignorare completamente la figura che l'accompagnava.
"Stai congelando." disse Jeffrey, rompendo il silenzio che regnava sovrano tra loro da oltre quaranta minuti.
Stavano attraversando il Williamsburg Bridge quando una folata di vento gonfiò i capelli corvini di Jay che, istintivamente, si portò le braccia sulle spalle cercando di proteggersi.
Jeff fece per togliersi la giacca, quando lei lo fulminò con tono acido: "Smettila di fare tanto il gentile, non voglio la tua giacca. Sto bene con la mia."
L'uomo non si scompose minimante, si aspettava una reazione simile e non aveva intenzione di demordere: "Niente giacca, piccola." disse sorridendo mentre si avvicinava a lei "Ma non voglio che ti prenda un accidenti."
Non aspettò certo l'assenso di lei per allungarle un braccio sulla spalla e avvicinarsela al petto, costringendola quasi a camminare di lato, tanto l'aveva stretta a sé.
Jay si tenne a lui, incapace di reagire.
Si ritrovò a ricambiare quell'abbraccio, tenendo il braccio destro dietro la schiena di lui e il sinistro poggiato sul suo torace, non riuscendo a dare ascolto alla voce dentro di lei che gridava di stargli lontano.
Le luci del ponte sospeso incorniciavano il momento, il rombo dei motori delle auto che sfrecciavano accanto a loro era nulla a confronto del rumore che il cuore di Jay cominciò a fare pompando frenetico nel suo petto.
Stava bene fra le sue braccia, si sentiva felice, appagata, beata... completa.
Dimenticò la loro discussione, dimenticò tutto il dolore che aveva provato da quando Jeffrey era entrato nella sua vita, e si regalò quella lunga e muta passeggiata fino a casa sua, lasciando solo che il suo profumo e il suo calore la accompagnassero per il lungo tragitto, promettendosi che sarebbe ceduta al suo fascino per l'ultima volta.
"Siamo già arrivati." Sospirò Jeff quando furono davanti al cancelletto verde della casa di Jay.
"Dov'è la limousine?" Chiese lei sciogliendo l'abbraccio, sforzandosi di tornare a guardarlo con lo stesso sguardo inespressivo che gli aveva riservato per quasi tutta la serata.
"Griffin sarà rimasto parcheggiato fuori dal parco."
"Digli di venire. Non ti farò certo restare da me, stanotte." Sbuffò lei spalancando il cancelletto e muovendosi verso la porta d'ingresso senza aspettare che lui la affiancasse.
"Andiamo, entra." disse facendogli un cenno della mano mentre roteava gli occhi verso l'alto. "Col traffico che c'è ci vorrà almeno mezz'ora prima che arrivi. Ho detto che non puoi restare ma non che ti avrei lasciato fuori al freddo."
Jeff sorrise vittorioso per le parole appena udite. La vide aprire la porta del suo appartamento ed attraversarla, mentre con la mano cercò il suo telefono.
< A casa di Jay. Non prima di trenta minuti. >
Digitò in fretta e ripose il telefono nella sua giacca, raggiungendo finalmente la ragazza che si era fermata vicino l'ingresso ad aspettarlo.
Quando fu dentro Jay si affrettò a chiudergli la porta alle spalle per poi chinarsi e sfilarsi le scarpe, che a stento ormai riusciva a sopportare.
Si tolse il soprabito e lo mise su una delle sedie in legno laccato bianco abbinate al tavolo che arredava il centro di quell'unico ambiente.
Cucina, soggiorno e ingresso erano racchiusi in quella spaziosa stanza, arredata in maniera quasi disordinata: tavolo e sei sedie in legno bianco, due scaffali in acciaio pieni di libri, una dispensa in scuro legno di ciliegio, cucina e pensili di un rosso porpora che stonava anche troppo col giallo delle mensole che occupavano la parete comunicante e, infine, due porte, di un azzurro pastello che conducevano rispettivamente alla stanza da letto di Jay e al modesto bagno.
"Non aspettare che ti inviti, siediti e fa quello che vuoi." Disse Jay prendendo il largo maglione verde che era piegato sul tavolo.
Lo indossò sentendosi finalmente a suo agio. Sentiva gli occhi di Jeffrey su di lei da quando si era tolta il cappotto e non voleva in alcun modo provocarlo, non era certa di poter mantenere la promessa che si era fatta poco prima; se lui avesse ripreso a flirtare con lei, come faceva di solito, avrebbe di certo opposto resistenza, ma fino a che punto avrebbe resistito alla bellezza che gli si parlava davanti, proprio lì, dentro casa sua?
Jeffrey, dal canto suo, aveva preso posto su una delle sedie e, divertito dal goffo tentativo della ragazza di coprire le sue forme con un maglione di tre taglie più grande, si portò una mano alla bocca cercando di celare la sua espressione compiaciuta.
"Non puoi venire qui a sederti con me invece di scappare verso la cucina?" le disse maliziosamente quando lei scappò al suo sguardo, evidentemente presa dall'imbarazzo.
Non gli rispose, non si voltò neanche a guardarlo.
Si diresse verso il frigorifero e finse per qualche secondo di cercare la bottiglia di succo di mirtillo che era davanti a lei, in bella vista.
La prese e, con movimenti sempre più lenti, richiuse l'anta dell'elettrodomestico, avvicinandosi al bancone in mattoni che separava la zona cucina da quella adibita a salone.
"Jay ti prego, questo silenzio mi sta torturando. Possiamo parlare?" continuò lui, in tono decisamente più sottomesso rispetto al solito.
Il suo mutismo lo infastidiva, proprio come lei aveva immaginato; bevve lentamente dalla bottiglia prima di concedergli una fredda risposta: "Non ho nulla da dirti, Jeffrey."
"Ok, parlerò io, allora: sono un coglione e un codardo." rispose lui sbattendo la mano chiusa a pugno sul tavolo e scattando in piedi.
"È un buon inizio. Hai la mia attenzione." esclamò sorniona lei, portandosi davanti al bancone per poggiarvisi col sedere e mettersi di fronte a lui.
"Stavo annullando il viaggio a Mosca per restare qui a New York. E non perché sono un vecchio arrapato che non vedeva l'ora di farsi una bella scopata, ma perché mi sei mancata nello stesso istante in cui sei salita in macchina. Ho passato un'ora chiuso in quella cazzo di limousine a pensare che volevo di più. Che ti volevo nella mia quotidianità, che volevo vederti dormire tra le mie braccia ogni notte, che ti volevo baciare a letto ogni mattina, che avrei bevuto quella merda di caffè ogni giorno se questo significava poterti abbracciare ogni volta... e me la sono fatta sotto, piccola."
Jeff si fermò, dando a Jay il tempo di rispondere o anche solo di fargli un gesto, ma l'unica cosa che la ragazza fece fu portarsi le braccia incrociate al petto e continuare a fissarlo con le sopracciglia aggrottate.
"Cristo." Sbottò lui prendendosi il volto tra le mani, trovandosi ancora una volta a cercare le parole giuste da dire. "Lo sai quanti anni sono che non mi succede una cosa del genere? Avrò avuto quindici anni l'ultima volta che una ragazza mi ha messo così in imbarazzo con un semplice sguardo."
Il sorriso nervoso di lui ancora una volta non suscitò alcuna reazione in Jay, che sembrava irremovibile.
"Ok. Era questo che mi faceva paura, cazzo. Che un giorno non avrei potuto più fare a meno di te e tu mi avresti riservato quel fottuto sguardo di disprezzo che hai ora. Non volevo sentirmi di nuovo così: vuoto, come l'anno scorso. Ho avuto paura della fine senza neanche aver considerato l'inizio."
"Hai idea di quante stronzate mi stai rifilando nell'arco di una sola serata? E sei convinto che me le beva tutte o hai deciso che questa è la tua versione ufficiale?" sbraitò la ragazza ormai allo stremo, agitandogli l'indice contro il viso.
"L'unica cosa che ho deciso, piccola, è che vale la pena di rischiare per te. E sono un coglione perché l'ho deciso solo quando mi hai voltato le spalle. Non ti ho raccontato bugie stasera, pensavo ogni singola parola che ti ho detto. Sono tutte verità che mi hanno tartassato in questi mesi, ero solo troppo spaventato per mettere da parte tutte quelle cazzo di incertezze."
"Tu sei fuori..." sussurrò Jay, beffeggiandolo con un finto sorriso e tornando con le braccia conserte.
"Questa non è una novità." scherzò lui, osando a muoversi verso di lei fino a poterla prendere per i fianchi.
Jay si alzò sulle punte, per avvicinare il volto a quello di lui fino a sfiorargli le labbra:
"No, Jeff, non funziona. Non così in fretta."
La voce graffiante e il gesto provocatorio lasciarono Jeff di stucco, che rimase ancora una volta immobile, capace solo di guardarla con gli occhi sgranati mentre si divincolava dalla sua presa per raggiungere una delle finestre che dava sulla strada.
"Posso sperare in un'ultima possibilità?" Le chiese allargando le braccia in segno di resa, mentre con la schiena rivolta alla cucina si poggiava al bancone, assumendo la posa che lei teneva fino a pochi minuti prima.
"Forse." Si limitò a rispondergli Jay continuando a tenere gli occhi rivolti verso l'esterno.
"E Va bene, va bene." Jeffrey parlò a se stesso, deciso a riprendere in mano la situazione. L'ennesimo ghigno nevrotico prima di tornare all'attacco: "Va bene, signorina. Almeno posso sapere cosa stai guardando?"
"Griffin dovrebbe arrivare a momenti, no? Almeno da qui lo vedrò. Non vorrai mica farlo aspettare?"
Lo scherno di Jay lo incoraggiò a farsi avanti, era sicuro di averla vista sorridere mentre indicava fuori dalla finestra e doveva sfruttare il momento per fare la sua mossa. Con fermezza la fasciò con le braccia, posizionandosi dietro di lei e piegandosi in avanti fino ad arrivarle guancia a guancia.
"Io non vedo nessuno, però." Le disse in un orecchio.
"Jeff, se mi hai presa in giro e Griff-"
"Nononono, no. No. Non ti alterare, piccola." La bloccò stringendola più forte, prima che potesse di nuovo allontanarsi. Questa volta aveva placato per tempo la sua reazione,?avvisato dal timbro furente che la voce di lei aveva assunto. "Non pensarlo nemmeno, bellezza. Mi hai detto che non mi vuoi qui stanotte ed io ho avvisato Griffin, come mi hai chiesto. Non ti mentirei mai su una cosa simile, e non ti costringerei mai a fare nulla che non vuoi."
"E tu, Jeffrey, cos'è che vuoi?"
"Rischiare."
La risposta fu istantanea.
Jay aveva smesso di dimenarsi, lasciando che la stretta che Jeffrey aveva su di lei diventasse gentile, piacevole.
Quando lui si chinò nuovamente per baciarla dietro l'orecchio non lo fermò e si gustò il brivido freddo che le percorse la spina dorsale, lasciandosi sfuggire un sorriso.
Lui non poteva vederla in viso, era ancora alle sue spalle, ma il semplice fatto che avesse accettato quel bacio lo rese felice.
Aveva una speranza, l'ultima, e questa volta avrebbe fatto di tutto pur di non deludere la donna che gli stava cambiando la vita.
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