13 - Chiarimenti
"Jay? Jay, tesoro? Andiamo, mangia qualcosa."
"Sono a posto, Rob."
"È tutto ok?"
"Io... io ho solo bisogno di un po' d'aria. Scusatemi ragazzi, torno subito."
Jay era convinta di averla superata, ma quando riconobbe la figura di Jeffrey fra la folla, ad inizio serata, si fece prendere dal panico, accumulando la tensione fino a quel momento.
Tre mesi, era riuscita a non pensare a lui per tre mesi. Tre mesi finiti nel cesso nel giro di pochi secondi.
Sapeva che c'era il rischio di incontrarlo quella sera, e pensava di essersi preparata a dovere per quell'incontro.
Rob le aveva parlato della cena, offerta dagli organizzatori del concorso, due settimane prima, avvertendola di quello che comportava parteciparvi.
"Tesoro, finalmente anche gli altri gruppi hanno terminato la fase eliminatoria. Tra due giovedì dovremmo partecipare alla cena per festeggiare i concorrenti che hanno passato il turno. Ci sarà un sacco di gente importante! Sapremo finalmente chi presenterà il programma e sicuramente ci saranno band e cantanti famosi. Non mancherà nessuno e non possiamo perdercela, tesoro. E poi, a quanto pare, si terrà qui a New York, al 'Golden Horse Hotel', te lo ricordi? È quello dove ci siamo esibiti l'ultima volta. Jay? Ma mi stai ascoltando?"
"Sì. Sì, certo ti sto ascoltando."
"Jay, tesoro. Lo so a cosa stai pensando. E, sì, quasi sicuramente ci sarà anche lui. Ma non ne avevamo già parlato? Andiamo stai anche uscendo con quel Patrick da un po' di settimane ormai, ancora pensi a quello stronzo di Jeffrey?"
"A dire il vero io e Patrick non ci vediamo più già da una settimana. E poi, tranquillo, Jeffrey non è più un problema. Allora, la cena, dicevi: che ne dici di uscire e aiutarmi a trovare un vestito adatto all'occasione?"
Ci volle un intero pomeriggio per trovare l'abito giusto, ma ne era valsa la pena.
Jay era raggiante quella sera; il rosso del tubino che indossava si intonava benissimo con la sua carnagione olivastra. Il vestito era semplice: il tessuto era liscio, privo di ricami, aderiva perfettamente alle sue forme coprendole interamente il seno e scendendo fino a metà coscia, lasciando in bella vista la schiena grazie ad una provocante scollatura che si fermava poco sopra le fossette di Venere.
Le alte décolleté nere che portava si abbinavano benissimo al suo aspetto, ma mentre camminava per la sala si maledì per essersi lasciata convincere da Kate ad indossarle.
Pochi, veloci, passi e raggiunse le lunghe tende bianche che celavano l'accesso alla balconata, la stessa che tre mesi prima aveva contribuito ad alimentare le sue vane speranze.
"Jay?" la voce di Jeffrey la prese alla sprovvista mentre attraversava la porta in vetro. Per un attimo sperò di essersela solo immaginata.
"Oh, merda." si lasciò sfuggire non appena realizzò che lui era davvero lì fuori, davanti ai suoi occhi.
Era appoggiato al parapetto in marmo, dandogli le spalle. Impeccabile, in smoking nero, i capelli pettinati all'indietro, fissati da un sottile strato di gel e il viso perfettamente rasato.
"Scusami, non mi aspettavo di trovarti qui." disse Jay, sussurrando a malapena quelle parole.
Fece per voltarsi per rientrare in sala, ma la voce di lui la fermò.
"Jay, aspetta. Per favore, possiamo parlare?"
Jay sbuffò, chiudendo gli occhi mentre svuotava i polmoni, continuando a dare le spalle all'uomo che intanto si avvicinò a lei.
"Ti prego, dammi solo qualche minuto." continuò lui, sfiorandole un braccio.
"Di cosa dovremmo parlare?" rispose lei in tono scocciato, voltandosi finalmente per guardarlo in volto.
"Del mio comportamento di merda. Ti devo delle spiegazioni."
"Non mi devi niente, Jeffrey. Non mi hai cercata, per tre mesi. Questo già spiega abbondantemente tutto. E non ho voglia di sentire scuse."
"Non voglio scusarmi, e non voglio mentirti. Non ti dirò che non ti ho chiamato perché non ho avuto tempo, o perché ho perso il tuo numero, o stronzate del genere. E non voglio che pensi che io abbia solo voluto giocare con te. Mi dispiace per come sono andate le cose, è solo colpa mia, e tu meriti di più di un cazzo si silenzio."
Jay non aveva mai visto Jeff in quello stato. La sua voce era spezzata, talmente bassa che doveva quasi sforzarsi per sentire quello che le diceva.
Aggrottò la fronte, sospirando di nuovo, prima di rispondergli: "Meritavo più di un silenzio anche in questi mesi, o sbaglio? O stavi forse aspettando di incrociarmi per caso prima di parlarmi?"
"Ok, hai ragione. Io non avevo intenzione di parlartene in realtà. Né stasera né mai, questa è la verità. Ma sei qui, e... insomma... io sono qui... e... oh, fanculo!"
Jeffrey balbettava. Si portò la mano al viso stropicciandosi gli occhi; cominciò a camminare nervosamente in circolo cercando le parole giuste da dire.
Quando vide Jay incrociare le braccia sul petto, in segno d'attesa, si bloccò nuovamente di fronte a lei riprendendo a parlare.
"Ascolta, dopo che ci siamo visti ho passato intere giornate a pensare a te. Mi mancavi, mi mancavi troppo già mentre prendevo l'aereo per Mosca, e questa cosa mi ha spaventato."
"Spaventato?" Jay scandì la parola. Non capiva dove volessero andare a parare lui, e il perché di tanto nervosismo. L'aveva letteralmente scaricata, cos'altro c'era da aggiungere? E a cosa serviva adesso tutta quella scena?
"Si Jay, ti sembrerò un coglione, ma sono terrorizzato. Anche prima di venire qui stasera, ero in panico solo al pensiero di rivederti.
In tanti anni non mi è mai successa una cosa del genere e non sono pronto. E poi, neanche sapevo come la pensassi tu. Insomma, Jay, hai venticinque anni e sei... beh, sei dannatamente bella, cosa cazzo te ne fai di un quarantacinquenne? Potrei essere tuo padre..."
"Sei serio? Adesso dai la colpa a me?" Jay non credeva a quello che stava sentendo. Cosa centrava l'età?
"Non sto dando la colpa a te e, credimi, non sono mai stato così serio in vita mia." Jeff fece una smorfia cercando di deglutire, muovendo un passo verso di lei. "Ascolta, io so che ti sembrerà assurdo, ma ci ho pensato per un sacco di tempo ed è la cosa giusta. Noi due, quello che è successo, non porterebbe a niente di buono. Neanche immagini quanto io ti voglia, quanto desideri stare con te, ma sarebbe completamente sbagliato. Tu sei giovane, sei speciale, bella, intelligente, talentuosa e... e non meriti che uno come me ti illuda, rubandoti solo i migliori anni della tua vita. Sono vecchio, troppo vecchio per te, e non ti dedicherei le attenzioni che meriti. Fidati, piccola, è la cosa giusta. E so che avrei dovuto parlartene, ma non ne ho avuto il coraggio."
Jay si sentì avvampare per la rabbia. Non riuscì a trattenersi, rispondendo d'impulso: "Chi cazzo ti credi di essere per prendere decisioni per me?" gli ringhiò contro, gesticolando nervosamente. "Mi stai dicendo che tu hai deciso di spezzarmi il cuore solo per il mio bene? Ma ti rendi conto dell'assurdità di questa cosa?"
"Jay, per favore, lo so che ti sembrano solo puttanate, ma vedrai che col tempo mi darai ragione. Mi odierai, lo so, e so che non vorrai più parlarmi dopo stasera, ma, se ti aiuterà a superarla, lo accetterò. Io voglio solo il meglio per te, piccola."
Jeffrey azzardò a carezzarle il viso con una mano, cercando di sollevare il suo volto per incrociarne lo sguardo.
Un brusco gesto di Jay scostò la sua mano, impedendogli di toccarla. Quando la ragazza sollevò la testa, mostrò a Jeffrey le lacrime che le rigavano le guance. Le sue gote erano rosse, come le sue labbra torturate dai morsi nervosi che si stava infliggendo.
"L'unica puttanata, Jeffrey, è stata quella di averti dato corda per tutto questo tempo. Sei solo un codardo, speri che rifilandomi la scusa del 'meriti di meglio' la medicina sembri meno amara. La verità è che hai solo paura di tornare a vivere. Ti sei talmente abituato alla tua finta vita perfetta che qualsiasi cambiamento ti spaventa. Se ripeterti che potresti essere mio padre ti fa stare bene, fa pure. Cullati nelle tue convinzioni, ma non pretendere che io mi beva una stronzata del genere." mentre Jay parlava altre lacrime le rigarono il viso.
Era furiosa, le sue lacrime erano amare, cariche di rabbia, così come la sua voce: "Ora basta, ne ho davvero abbastanza. Addio, Jeff."
"Jay, Jay! Aspetta, Jay ti prego!" La ragazza era letteralmente scappata, dandogli improvvisamente le spalle e muovendosi in fretta, sparendo dietro le bianche tende.
"Cazzo!" riuscì solo ad esclamare Jeff, restando immobile.
Chiuse la mano destra a pugno, e se la poggiò bruscamente in fronte, strizzando gli occhi e digrignando i denti.
Restò in quella posizione per qualche secondo, ripensando alle parole che lei gli aveva detto.
'Ha ragione, sono un codardo.' pensò cercando il pacchetto di sigarette che aveva in tasca, per poi accendersene una.
Jay aveva colpito nel segno, capendo in pochi minuti quello che lui era riuscito ad ammettere a se stesso solo dopo intere nottate passate a rimuginare sulla decisione che aveva preso.
Restò su quella balconata per dieci minuti, accendendosi una sigaretta dopo l'altra, prima di capire qual era la cosa giusta da fare.
Tornò in sala, guardandosi intorno. Sapeva che non l'avrebbe trovata, era già scappata una volta da lui, ed immaginò che la ragazza avesse reagito nuovamente nella medesima maniera, ma questa volta non era intenzionato a gettare la spugna.
Quando riconobbe il suo amico Rob, vicino la porta del bagno, vide un barlume di speranza.
"Sei, Rob, giusto? Posso disturbarti un attimo?"
"Se sta cercando Jay, signor Morgan, è in ritardo. È andata via." Rob rispose in tono quasi scocciato riconoscendo l'uomo.
"E sai dov'è andata? Ha detto se rientrava a casa o se andava da qualche altra parte?"
Rob non rispose, si limitò a sollevare le spalle e a scuotere la testa, facendo intendere di non saperne nulla.
"Ti prego, sei il suo migliore amico." lo supplicò Jeffrey mettendogli una mano sulla spalla. "Devi pur sapere qualcosa. Non voglio lasciarla andare così. È importante per me parlarle, credimi."
Rob sospirò, ruotando lo sguardo verso l'alto: "Diciamo che quando è nervosa le piace guardare il mare per calmarsi. E stasera non ha toccato cibo, magari avrà fame..."
"Grazie, amico. Davvero grazie, non te ne pentirai." Jeffrey abbracciò Rob, spiazzandolo. Il ragazzo rimase con gli occhi sgranati a fissarlo mentre correva verso l'uscita della sala.
Sperò di aver fatto la cosa giusta e che l'amica non l'avrebbe odiato per aver rivelato all'uomo il suo piccolo segreto.
Jeffrey camminò in fretta attraverso il parcheggio per raggiungere la limousine.
Griffin era fuori dall'auto, a chiacchierare con gli altri autisti, e quando vide l'imprenditore dirigersi verso di lui si affrettò ad entrare in auto, riconoscendo l'andamento agitato di lui.
"Griffin, Hudson River Park. Di corsa, per favore." disse Jeff entrando in macchina.
L'autista prese alla lettera le sue parole, partendo repentinamente per raggiungere la meta.
Ci vollero pochi minuti per arrivare in quel luogo, ma a Jeff sembrarono troppi, e temeva di non trovarla più lì.
Scese dall'auto e corse scansando i passanti, per arrivare il prima possibile sul lungomare.
Quando riconobbe la figura di Jay, tirò un sospiro di sollievo.
Era seduta alla stessa panchina dove, pochi mesi prima, avevano condiviso la loro prima stramba cena.
Lei aveva la testa rivolta verso il mare, dandogli le spalle, e da quella posizione gli era impossibile vederla in volto.
Riconobbe il carretto degli hot dog e si avvicinò per prendere due birre, senza mai staccare lo sguardo da lei.
Si fece coraggio, tirando un lungo respiro e camminò verso la panchina.
Quando la raggiunse si limitò a sedersi silenziosamente accanto a Jay, porgendole la bottiglia ghiacciata di Corona.
Jay si girò verso di lui, mostrandogli il volto privo di qualsiasi espressione.
Lo guardò per pochi secondi ed accettò la birra, sfilandogli la bottiglia dalle mani e tornando con lo sguardo rivolto al mare.
Jeffrey la imitò, sorseggiando un po' di birra mentre fissava le luci della Grande Mela riflettersi sulle calme e scure acque che gli stavano davanti.
Allungò un braccio lungo la panchina per avvolgere la schiena di lei e avvicinarla a se; Jay assecondò il suo gesto, inclinando la testa per poggiarla sulla vicina spalla di lui, senza però mai distogliere lo sguardo dal panorama.
Restarono a lungo così, abbracciati, in silenzio, muovendosi solo per mandare giù, di tanto in tanto, la fredda bevanda alcolica; lasciando che la calma del mare gli avvolgesse.
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Ho revisionato il capitolo un po' in fretta per pubblicarlo prima del solito. Ammetto che mi sentivo in colpa a far passare quel gran manzo di Jeffrey per lo stronzo di turno. 😅
Proverò a rileggerlo questa sera per rivedere gli errori, se ne notate alcuni non esitate a segnalarli. Critiche e consigli sono sempre ben accetti.
Un grazie a chi sta continuando a leggere la mia storia e spero vi continui a piacere 😊
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