70. The End
È passata meno di una settimana dalla tua aggressione e fin dal primo momento ha avuto la sensazione di vivere in una specie di versione accelerata della tua vita, come se Dio avesse schiacciato il pulsante wind sul suo telecomando divino e tutto avesse iniziato a correre e correre senza darti un minimo di tregua. I poliziotti di quella sera, uno vecchio e uno più giovane, che ti coprono con un giubbotto incredibilmente caldo e ti chiedono – forse per la terza volta di seguito – di raccontarti la storia mentre un'altra pattuglia scorta l'ambulanza che ha caricato i due aggressori – che hai scoperto essere i gemelli Dolls – verso un ospedale. Un infermiere gentile che al pronto soccorso ti porta una cioccolata calda mentre un medico ti fascia le ferite e le abrasioni. Tuo padre e le sue e le tue lacrime – perché quando lui piange, ti viene automatico farlo a tua volta – e poi una notte su di una barella senza dormire e le dimissioni al mattino e casa e le tue amiche e un via vai di gente della scuola e di vicini e di colleghi di tuo padre e poi la calma e poi un sonno più tranquillo. E ancora: un uomo della centrale che in borghese viene a casa tua per chiederti di nuovo come sono andate le cose, e poi Denise e sua madre con dolci alla panna, e Vanessa che ti dice che ormai tutti a scuola ti chiamano "Lara la spaccaculi", e poi Kimberly col fidanzato quarterback e i ragazzi del comitato – compreso Manuel e la Emo dell'ultimo anno – e le ragazze del corso di autodifesa e quelle del pilates e quelli dello yoga. E tu che non hai nemmeno il tempo di capire quando hai intrecciato tutte queste relazioni con tante persone. Tu che da sempre ti sei considerata più che una tipa solitaria: una persona sola. Ma che ora ti ritrovi quasi schiacciata da un rullo compressore di confusione e gente e affetto, mentre vorresti solo riposare. Ma niente. E allora ti dici che non avresti mai pensato che essere amati fosse così soffocante e che forse era meglio prima. Ma poi ti rendi conto di quanto è stupido quel pensiero e allora riapri la porta di casa e alla prossima persona che la attraversa sorridi e chiede se le cose vanno bene e se si vuol fermare per pranzo o per la notte che una vita è lunga da passare, ed è un vero piacere avere casa piena di gente.
Anche quelli della band vengono a visitarti; ma in ordine sparso, ognuno più o meno per conto suo. Il primo è Spike che arriva con una tipa svampita e dall'aria poco sveglia e sembra subito essere antipatico al tuo papà. Poi è il turno di Kobe che si presenta con un dolce al cioccolato che dice di aver cucinato per te perché la sua mamma, buon anima, non faceva altro che ripetergli che non c'è nulla di meglio al mondo di un po' di cacao per far scordare ogni problema. Alla fine è il turno di Lincoln che, presentandosi con Vanessa, si ferma a mangiare una sera tornandosene a casa solo a notte fonda e dopo molte ore di parole e parole confidate nella tua stanza.
Lui – il tuo Cameron – è l'ultimo a farti visita. Lo fa adesso che è passata una settimana, in questa mattinata di sole che ormai ha tutto il sapore dell'estate. Ed è qualcosa che ti fa un gran piacere, anche se sei in tuta; anche se hai ancora un occhio in parte nero e in parte viola, e un dolore alla mascella come se ti avessero ficcato un ago nella carne.
Appena lo vedi senti ancora lo stomaco ripiegarsi su sé stesso, le budella ritrarsi e il cuore perdere un battito. Ed è bello ma anche terribile provare tante sensazioni e tutte così diverse.
Sei da sola in casa quando bussa alla tua porta – che tuo padre solo oggi è tornato a lavoro dalla notte della tua aggressione ma dopo che sei stata tu a insistere molto – e ti viene spontaneo invitarlo ad entrare e a sedersi. Ti ha portato dei fiori. Te li ha dati in modo un po' impacciato; specie per uno come lui. Poi si è seduto e ti ha sorriso; anche se nei suoi occhi sei riuscita a leggere subito un'incredibile rabbia. Ti ha chiesto come va e tu gli hai detto che stai bene, poi ha domandato come ti senti e se hai dormito tranquilla e tu che gli hai risposto che sì, non hai incubi e ti senti ormai abbastanza in forma.
«Anche stavolta» gli dici «sono stata molto fortunata.»
Poi; poi restate in silenzio, mentre lui tiene la testa un po' inclinata in direzione della finestra e sembra evitare di spostare lo sguardo nella tua direzione.
«Che hai» gli fai allora «perché non mi guardi?»
Lui ti fissa e noti subito con quanta forza serri la mascella.
«Ti sto guardando.»
«E allora? Ti fa male ciò che vedi?»
«Certo» fa lui senza esitare «Non si dovrebbe nemmeno sfiorarla una donna se lei non vuole. Figurarsi farle del male...»
«Quindi è solo questo? Non t'interessa di me.»
«Certo che m'interessa. Sei una mia amica.»
«Un amico non mi avrebbe ignorata per tutto questo tempo come hai fatto tu.»
«Tu mi chiedi» fa lui molto lentamente mentre torna a guardare fuori dalla finestra «qualcosa che non posso darti.»
«Non puoi o non vuoi?»
Lui si prende del tempo prima di risponderti. E anche stavolta torna a fissarti e a serrare la mascella come se qualcosa gli facesse male.
«È lo stesso.»
Malgrado tutto non puoi non sorridere. Nemmeno adesso. Tanta rabbia che leggi nei suoi occhi per quelle che sono le condizioni del tuo viso, in qualche modo strano e un po' sbagliato, ti lusinga.
«Io invece» gli fai «credo che stai solo mentendo a te stesso.»
Restate a fissarvi per un po', abbastanza perché tu possa tornare a sentire chiaramente quella passione vibrante che sembra volervi spingere l'uno verso l'altra. Ma Cameron ancora una volta si gira verso la finestra, e fissa di nuovo qualche punto imprecisato dello spazio al di là del vetro.
Vederlo così, immerso in questa luce che, malgrado la stagione, riesce ancora ad essere dolce e azzurra, ti riempie di una strana dolcezza mista a una qualche forma di malinconia che ti pare di provare per la prima volta. E ripensi a quello che Lincoln ti ha raccontato di lui la sera che è venuto a trovarti con Vanessa dopo che eravate tutti e tre chiusi nella tua stanza.
«Quel ragazzo» ti aveva detto riferendosi a Cameron «ha sofferto in vita sua più di chiunque altro.» Poi ti aveva raccontato la sua storia avvertendoti che per il tuo Lui, quello era un terreno minato nel quale avresti fatto bene a non addentrarti.
La storia che ti raccontò Lincoln, era straziante. E considerato l'amore che provi per Cameron, era se possibile ancora più dolorosa. Lincoln sapeva poco dell'infanzia del suo amico; tanto più che il Cameron non ne parlava mai, e glissava su ogni domanda. Tutto ciò che il bassista sapeva, lo aveva ricostruito sbirciando in una cassetta di latta che il ragazzo portava sempre con sé durante i loro traslochi e che sembrava conservare con una certa cura. La cassetta conteneva una foto della sua famiglia – padre, madre e sorella, più un piccolo Cameron di appena cinque o sei anni – alcune lettere mai aperte e tutte provenienti da un carcere statale, e un vecchio articolo di cronaca di un giornale locale. Nell'articolo si raccontava di questo padre di famiglia, violento e senza un lavoro, che ammazza sua moglie e lascia orfani i due bambini prima di essere condannato al carcere a vita. Il fatto che nella foto di famiglia la faccia dell'uomo fosse stata bruciata e che le lettere provenissero tutte dal braccio della prigione dedicato agli ergastolani, la diceva lunga su tutto ciò che c'era da sapere sul quel capitolo della sua vita.
Cameron e sua sorella maggiore – senza parenti diretti cui essere affidati – furono sballottati tra centri per l'infanzia abbandonata e famiglie affidatarie fino a che la ragazza non compì la maggiore età e non si trovò un lavoro per potersi far nominare tutrice di suo fratello. Questo Lincoln lo sapeva perché era proprio in quegli anni – i primi del liceo – che conobbe Cameron.
Sua sorella era davvero una grande, giovane donna. Bella, sicura, cazzuta. E adoravo il suo fratellino. Aveva solo un grande difetto – probabilmente ereditato dalla madre – sceglieva per sé sempre gli uomini peggiori.
Cameron sé né lamentava molto all'epoca. E come dargli torto? Sua sorella passò a ospitare in caso, nell'ordine: uno scansafatiche scioperato, un piccolo ladruncolo, un impiegato che perse il lavoro poco dopo, fino, per ultimo, a un brutto tipo di Greek che, originario del sud e cattivo come un mal di denti, tutti evitavano come la peste: un certo S.J.
«Certe donne si abituano così tanto ai problemi, che non possono proprio farne a meno.» aveva sentenziato Lincoln prima di ricominciare il suo racconto. Mentre gli altri compagni di sua sorella finirono per essere gestiti da lei e Cameron, e messi alla porta senza troppi problemi, S.J. ... beh, S.J. era un vero criminale, di quelli da spaccio di droga e da pistola sempre in tasca, e ... beh, con uno così non c'era molto da ragionare. Quel verme picchiò la sorella di Cameron per poi pestare anche il ragazzo. Dopo che fu denunciato, quello psicopatico, visto che forse credeva che quella ragazza fosse una cosa, e una cosa di Sua proprietà per giunta, prima la minacciò, poi la fece fuori proprio sulla porta di casa. Dio solo sa cosa Cameron gli avrebbe potuto fare se quel bastardo non fosse morto quella stessa sera, in uno scontro a fuoco con gli sbirri che lo stavano cercando.
Cameron aveva, alla morte della sorella, diciassette anni. E, malgrado fosse prossimo alla maggiore età, il giudice tutelare lo affidò di nuovo a un istituto. Di ciò che accadde in quel posto, le informazioni che aveva Lincoln dipendevano solo dalle storie che aveva sentito raccontare da alcuni ragazzi che ci avevano vissuto lì nello stesso periodo e che, di tanto i tanto, venivano a vedere i concerti di un loro ex compagno. Pare che il chitarrista conobbe una ragazza dell'istituto. Una molto bella e con tanti, tanti problemi e ... beh, i due finirono insieme.
«Non so dirti» ti aveva fatto Lincoln «che tipo di relazione avessero. Conoscendolo e conoscendo il suo passato, potrei azzardare che il mio amico vedesse in quella ragazza un surrogato di sua sorella, o addirittura di sua madre. Ma, ascolta, di una cosa sono certo: il suo più grande desiderio era solo uno: salvarla. Solo questo; e anche se nessuno salva davvero qualcun altro senza che lui lo voglia, credo che comunque ce la mise tutta per farlo.»
Quando Lei, la ragazza dell'istituto che Cameron aveva deciso di fare la sua donna, fu trovata morta per overdose in un vecchio capannone ferroviario dalle parti di Torren, il ragazzo diede di matto.
Passò i due mesi che lo separavano dalla maggiore età nel padiglione ospedaliero dell'istituto; e, secondo Lincoln, fu solo per miracolo che né uscii vivo e sano di mente, se metà delle storie che aveva sentito raccontare dai suoi ex compagni, erano vere.
«Ascolta: c'è da capirlo» aveva concluso Lincoln «tutte le donne che ha amato, sono finite male. E tutte in modo o nell'altro a causa di un uomo. Non c'è molto da stupirsi se l'ho sempre sentito ripetere che non si sarebbe mai sposato né avrebbe mai messo su famiglia. È dura convivere tutti i giorni con un passato come il suo. Ma senti cosa ti dico, non l'ho mai visto tanto bene come quando era con te. Nonostante tutta la sua ostilità, nonostante tutto l'astio che ti sta dimostrando, quello che vuole davvero è solo evitare di soffrire come ha sofferto per tutte le donne che ha amato.» E no, pensasti tu; una cosa del genere non era difficile da immaginare con un passato così.
Ora lo guardi e hai la certezza che c'è davvero un angolo di te che sa cosa sta provando Cameron. Quel ragazzo è teso; teso come una corda tirata da due parti: da una c'è il dolore, quello che lo lega al suo passato, quello che adesso gli sta ripetendo di allontanarsi da te; l'altro capo è tenuto da tutto ciò che sai adesso per certo sta provando; e provando per te.
Perché ne sei sicura? Perché non sei mai stata più convinta dei tuoi sentimenti prima d'ora e non puoi pensare che qualcosa di così forte e grande, possa rivelarsi in qualche modo falso o non contraccambiato. E pensi che sia davvero curioso che la persona più coraggiosa che conosci, sia adesso come bloccata; e bloccata dalla paura.
«Sei ancora convinto di quello che mi hai detto quella sera.» gli chiedi a bruciapelo «che non importa; che non conta nulla di ciò che c'è stato tra di noi?».
Lui aspetta un po' prima di aprire di nuovo bocca.
«Se l'ho detto, vuol dire che lo penso.»
Stavolta tocca a te stringere i denti per la rabbia. La mascella però ti trasmette un dolore intenso, tanto che per un istante delle piccole lucine bianche iniziano a volteggiare sul fondo delle tue palpebre.
«In questo caso» gli dici trascinata dal dolore e da un senso profondo di malessere «non capisco che ci fai qui.»
«Sono solo venuto a trovare un'amica.» ripete lui. E sì, ti sembra di vedere un muto dolore sul fondo dei suoi occhi. «Ma hai ragione» aggiunge «forse non avrei dovuto. Quindi è meglio che vada.»
Lo vedi alzarsi e dirigersi alla porta, e per un brevissimo istante sembri davvero non essere in grado d'impedirgli di uscire da casa tua e probabilmente, e per sempre, dalla tua vita. Poi però, quasi non avessi controllo sulle tue azioni, reagisci.
«Aspetta» esclami saltando in piedi. Lui si ferma ma non si volta verso, se non con la testa che gira di lato come a mostrarti il suo profilo.
«Voglio che tu sappia» dici iniziando ad avvicinarti lentamente a lui «che non ti lascerò andare così facilmente» e a ogni frase, a ogni parola, fai come un piccolo passo verso di lui «che puoi fuggire tutte le volte che vuoi; ma che non riuscirai mai a farlo da ciò che provo per te. E che non c'è nulla che tu possa fare per impedirmelo.» sei alle sue spalle ormai. Appoggi la testa tra le sue scapole e respiri il suo odore, poi continui: «Non lo merito. Noi» marchi la parola «non lo meritiamo. Tutti dovrebbero darsi una possibilità per essere felici. Ma chi ha sofferto davvero, se è possibile, ne ha persino il diritto.» prendi un altro respiro poi concludi: «non m'interessa cosa ti è successo in passato, non m'interessano i tuoi dolori. Di quelli né è pieno il mondo. Io voglio solo te. E nulla mi separerà mai da ciò che voglio.»
Chiudi gli occhi, poi fai: «Sono sopravvissuta a due tentativi di stupri e alla morte di mia madre; e se sono riuscita a superare questo, sappi che supererò qualunque ostacolo proverai a mettermi davanti... tutto ... farò di tutto pur di avere te...» resti così per un tempo che ti sembra infinito, quasi bussassi alla porta del suo cuore. Poi lui, lentamente, si stacca da te e ricomincia a dirigersi verso l'uscita. Ti volti prima che ci arrivi. Non vuoi vedere. Non sopporti nemmeno l'idea che ora si allontani di nuovo. Quando senti l'ingresso di casa sbattere, quasi ti va in pezzi il cuore.
Poi qualcuno ti prende per le spalle e ti fa volta.
Cameron ti stringe forte tra le sue braccia e ti bacia.È passata meno di una settimana dalla tua aggressione e fin dal primo momento ha avuto la sensazione di vivere in una specie di versione accelerata della tua vita, come se Dio avesse schiacciato il pulsante wind sul suo telecomando divino e tutto avesse iniziato a correre e correre senza darti un minimo di tregua. I poliziotti di quella sera, uno vecchio e uno più giovane, che ti coprono con un giubbotto incredibilmente caldo e ti chiedono – forse per la terza volta di seguito – di raccontarti la storia mentre un'altra pattuglia scorta l'ambulanza che ha caricato i due aggressori – che hai scoperto essere i gemelli Dolls – verso un ospedale. Un infermiere gentile che al pronto soccorso ti porta una cioccolata calda mentre un medico ti fascia le ferite e le abrasioni. Tuo padre e le sue e le tue lacrime – perché quando lui piange, ti viene automatico farlo a tua volta – e poi una notte su di una barella senza dormire e le dimissioni al mattino e casa e le tue amiche e un via vai di gente della scuola e di vicini e di colleghi di tuo padre e poi la calma e poi un sonno più tranquillo. E ancora: un uomo della centrale che in borghese viene a casa tua per chiederti di nuovo come sono andate le cose, e poi Denise e sua madre con dolci alla panna, e Vanessa che ti dice che ormai tutti a scuola ti chiamano "Lara la spaccaculi", e poi Kimberly col fidanzato quarterback e i ragazzi del comitato – compreso Manuel e la Emo dell'ultimo anno – e le ragazze del corso di autodifesa e quelle del pilates e quelli dello yoga. E tu che non hai nemmeno il tempo di capire quando hai intrecciato tutte queste relazioni con tante persone. Tu che da sempre ti sei considerata più che una tipa solitaria: una persona sola. Ma che ora ti ritrovi quasi schiacciata da un rullo compressore di confusione e gente e affetto, mentre vorresti solo riposare. Ma niente. E allora ti dici che non avresti mai pensato che essere amati fosse così soffocante e che forse era meglio prima. Ma poi ti rendi conto di quanto è stupido quel pensiero e allora riapri la porta di casa e alla prossima persona che la attraversa sorridi e chiede se le cose vanno bene e se si vuol fermare per pranzo o per la notte che una vita è lunga da passare, ed è un vero piacere avere casa piena di gente.
Anche quelli della band vengono a visitarti; ma in ordine sparso, ognuno più o meno per conto suo. Il primo è Spike che arriva con una tipa svampita e dall'aria poco sveglia e sembra subito essere antipatico al tuo papà. Poi è il turno di Kobe che si presenta con un dolce al cioccolato che dice di aver cucinato per te perché la sua mamma, buon anima, non faceva altro che ripetergli che non c'è nulla di meglio al mondo di un po' di cacao per far scordare ogni problema. Alla fine è il turno di Lincoln che, presentandosi con Vanessa, si ferma a mangiare una sera tornandosene a casa solo a notte fonda e dopo molte ore di parole e parole confidate nella tua stanza.
Lui – il tuo Cameron – è l'ultimo a farti visita. Lo fa adesso che è passata una settimana, in questa mattinata di sole che ormai ha tutto il sapore dell'estate. Ed è qualcosa che ti fa un gran piacere, anche se sei in tuta; anche se hai ancora un occhio in parte nero e in parte viola, e un dolore alla mascella come se ti avessero ficcato un ago nella carne.
Appena lo vedi senti ancora lo stomaco ripiegarsi su sé stesso, le budella ritrarsi e il cuore perdere un battito. Ed è bello ma anche terribile provare tante sensazioni e tutte così diverse.
Sei da sola in casa quando bussa alla tua porta – che tuo padre solo oggi è tornato a lavoro dalla notte della tua aggressione ma dopo che sei stata tu a insistere molto – e ti viene spontaneo invitarlo ad entrare e a sedersi. Ti ha portato dei fiori. Te li ha dati in modo un po' impacciato; specie per uno come lui. Poi si è seduto e ti ha sorriso; anche se nei suoi occhi sei riuscita a leggere subito un'incredibile rabbia. Ti ha chiesto come va e tu gli hai detto che stai bene, poi ha domandato come ti senti e se hai dormito tranquilla e tu che gli hai risposto che sì, non hai incubi e ti senti ormai abbastanza in forma.
«Anche stavolta» gli dici «sono stata molto fortunata.»
Poi; poi restate in silenzio, mentre lui tiene la testa un po' inclinata in direzione della finestra e sembra evitare di spostare lo sguardo nella tua direzione.
«Che hai» gli fai allora «perché non mi guardi?»
Lui ti fissa e noti subito con quanta forza serri la mascella.
«Ti sto guardando.»
«E allora? Ti fa male ciò che vedi?»
«Certo» fa lui senza esitare «Non si dovrebbe nemmeno sfiorarla una donna se lei non vuole. Figurarsi farle del male...»
«Quindi è solo questo? Non t'interessa di me.»
«Certo che m'interessa. Sei una mia amica.»
«Un amico non mi avrebbe ignorata per tutto questo tempo come hai fatto tu.»
«Tu mi chiedi» fa lui molto lentamente mentre torna a guardare fuori dalla finestra «qualcosa che non posso darti.»
«Non puoi o non vuoi?»
Lui si prende del tempo prima di risponderti. E anche stavolta torna a fissarti e a serrare la mascella come se qualcosa gli facesse male.
«È lo stesso.»
Malgrado tutto non puoi non sorridere. Nemmeno adesso. Tanta rabbia che leggi nei suoi occhi per quelle che sono le condizioni del tuo viso, in qualche modo strano e un po' sbagliato, ti lusinga.
«Io invece» gli fai «credo che stai solo mentendo a te stesso.»
Restate a fissarvi per un po', abbastanza perché tu possa tornare a sentire chiaramente quella passione vibrante che sembra volervi spingere l'uno verso l'altra. Ma Cameron ancora una volta si gira verso la finestra, e fissa di nuovo qualche punto imprecisato dello spazio al di là del vetro.
Vederlo così, immerso in questa luce che, malgrado la stagione, riesce ancora ad essere dolce e azzurra, ti riempie di una strana dolcezza mista a una qualche forma di malinconia che ti pare di provare per la prima volta. E ripensi a quello che Lincoln ti ha raccontato di lui la sera che è venuto a trovarti con Vanessa dopo che eravate tutti e tre chiusi nella tua stanza.
«Quel ragazzo» ti aveva detto riferendosi a Cameron «ha sofferto in vita sua più di chiunque altro.» Poi ti aveva raccontato la sua storia avvertendoti che per il tuo Lui, quello era un terreno minato nel quale avresti fatto bene a non addentrarti.
La storia che ti raccontò Lincoln, era straziante. E considerato l'amore che provi per Cameron, era se possibile ancora più dolorosa. Lincoln sapeva poco dell'infanzia del suo amico; tanto più che il Cameron non ne parlava mai, e glissava su ogni domanda. Tutto ciò che il bassista sapeva, lo aveva ricostruito sbirciando in una cassetta di latta che il ragazzo portava sempre con sé durante i loro traslochi e che sembrava conservare con una certa cura. La cassetta conteneva una foto della sua famiglia – padre, madre e sorella, più un piccolo Cameron di appena cinque o sei anni – alcune lettere mai aperte e tutte provenienti da un carcere statale, e un vecchio articolo di cronaca di un giornale locale. Nell'articolo si raccontava di questo padre di famiglia, violento e senza un lavoro, che ammazza sua moglie e lascia orfani i due bambini prima di essere condannato al carcere a vita. Il fatto che nella foto di famiglia la faccia dell'uomo fosse stata bruciata e che le lettere provenissero tutte dal braccio della prigione dedicato agli ergastolani, la diceva lunga su tutto ciò che c'era da sapere sul quel capitolo della sua vita.
Cameron e sua sorella maggiore – senza parenti diretti cui essere affidati – furono sballottati tra centri per l'infanzia abbandonata e famiglie affidatarie fino a che la ragazza non compì la maggiore età e non si trovò un lavoro per potersi far nominare tutrice di suo fratello. Questo Lincoln lo sapeva perché era proprio in quegli anni – i primi del liceo – che conobbe Cameron.
Sua sorella era davvero una grande, giovane donna. Bella, sicura, cazzuta. E adoravo il suo fratellino. Aveva solo un grande difetto – probabilmente ereditato dalla madre – sceglieva per sé sempre gli uomini peggiori.
Cameron sé né lamentava molto all'epoca. E come dargli torto? Sua sorella passò a ospitare in caso, nell'ordine: uno scansafatiche scioperato, un piccolo ladruncolo, un impiegato che perse il lavoro poco dopo, fino, per ultimo, a un brutto tipo di Greek che, originario del sud e cattivo come un mal di denti, tutti evitavano come la peste: un certo S.J.
«Certe donne si abituano così tanto ai problemi, che non possono proprio farne a meno.» aveva sentenziato Lincoln prima di ricominciare il suo racconto. Mentre gli altri compagni di sua sorella finirono per essere gestiti da lei e Cameron, e messi alla porta senza troppi problemi, S.J. ... beh, S.J. era un vero criminale, di quelli da spaccio di droga e da pistola sempre in tasca, e ... beh, con uno così non c'era molto da ragionare. Quel verme picchiò la sorella di Cameron per poi pestare anche il ragazzo. Dopo che fu denunciato, quello psicopatico, visto che forse credeva che quella ragazza fosse una cosa, e una cosa di Sua proprietà per giunta, prima la minacciò, poi la fece fuori proprio sulla porta di casa. Dio solo sa cosa Cameron gli avrebbe potuto fare se quel bastardo non fosse morto quella stessa sera, in uno scontro a fuoco con gli sbirri che lo stavano cercando.
Cameron aveva, alla morte della sorella, diciassette anni. E, malgrado fosse prossimo alla maggiore età, il giudice tutelare lo affidò di nuovo a un istituto. Di ciò che accadde in quel posto, le informazioni che aveva Lincoln dipendevano solo dalle storie che aveva sentito raccontare da alcuni ragazzi che ci avevano vissuto lì nello stesso periodo e che, di tanto i tanto, venivano a vedere i concerti di un loro ex compagno. Pare che il chitarrista conobbe una ragazza dell'istituto. Una molto bella e con tanti, tanti problemi e ... beh, i due finirono insieme.
«Non so dirti» ti aveva fatto Lincoln «che tipo di relazione avessero. Conoscendolo e conoscendo il suo passato, potrei azzardare che il mio amico vedesse in quella ragazza un surrogato di sua sorella, o addirittura di sua madre. Ma, ascolta, di una cosa sono certo: il suo più grande desiderio era solo uno: salvarla. Solo questo; e anche se nessuno salva davvero qualcun altro senza che lui lo voglia, credo che comunque ce la mise tutta per farlo.»
Quando Lei, la ragazza dell'istituto che Cameron aveva deciso di fare la sua donna, fu trovata morta per overdose in un vecchio capannone ferroviario dalle parti di Torren, il ragazzo diede di matto.
Passò i due mesi che lo separavano dalla maggiore età nel padiglione ospedaliero dell'istituto; e, secondo Lincoln, fu solo per miracolo che né uscii vivo e sano di mente, se metà delle storie che aveva sentito raccontare dai suoi ex compagni, erano vere.
«Ascolta: c'è da capirlo» aveva concluso Lincoln «tutte le donne che ha amato, sono finite male. E tutte in modo o nell'altro a causa di un uomo. Non c'è molto da stupirsi se l'ho sempre sentito ripetere che non si sarebbe mai sposato né avrebbe mai messo su famiglia. È dura convivere tutti i giorni con un passato come il suo. Ma senti cosa ti dico, non l'ho mai visto tanto bene come quando era con te. Nonostante tutta la sua ostilità, nonostante tutto l'astio che ti sta dimostrando, quello che vuole davvero è solo evitare di soffrire come ha sofferto per tutte le donne che ha amato.» E no, pensasti tu; una cosa del genere non era difficile da immaginare con un passato così.
Ora lo guardi e hai la certezza che c'è davvero un angolo di te che sa cosa sta provando Cameron. Quel ragazzo è teso; teso come una corda tirata da due parti: da una c'è il dolore, quello che lo lega al suo passato, quello che adesso gli sta ripetendo di allontanarsi da te; l'altro capo è tenuto da tutto ciò che sai adesso per certo sta provando; e provando per te.
Perché ne sei sicura? Perché non sei mai stata più convinta dei tuoi sentimenti prima d'ora e non puoi pensare che qualcosa di così forte e grande, possa rivelarsi in qualche modo falso o non contraccambiato. E pensi che sia davvero curioso che la persona più coraggiosa che conosci, sia adesso come bloccata; e bloccata dalla paura.
«Sei ancora convinto di quello che mi hai detto quella sera.» gli chiedi a bruciapelo «che non importa; che non conta nulla di ciò che c'è stato tra di noi?».
Lui aspetta un po' prima di aprire di nuovo bocca.
«Se l'ho detto, vuol dire che lo penso.»
Stavolta tocca a te stringere i denti per la rabbia. La mascella però ti trasmette un dolore intenso, tanto che per un istante delle piccole lucine bianche iniziano a volteggiare sul fondo delle tue palpebre.
«In questo caso» gli dici trascinata dal dolore e da un senso profondo di malessere «non capisco che ci fai qui.»
«Sono solo venuto a trovare un'amica.» ripete lui. E sì, ti sembra di vedere un muto dolore sul fondo dei suoi occhi. «Ma hai ragione» aggiunge «forse non avrei dovuto. Quindi è meglio che vada.»
Lo vedi alzarsi e dirigersi alla porta, e per un brevissimo istante sembri davvero non essere in grado d'impedirgli di uscire da casa tua e probabilmente, e per sempre, dalla tua vita. Poi però, quasi non avessi controllo sulle tue azioni, reagisci.
«Aspetta» esclami saltando in piedi. Lui si ferma ma non si volta verso, se non con la testa che gira di lato come a mostrarti il suo profilo.
«Voglio che tu sappia» dici iniziando ad avvicinarti lentamente a lui «che non ti lascerò andare così facilmente» e a ogni frase, a ogni parola, fai come un piccolo passo verso di lui «che puoi fuggire tutte le volte che vuoi; ma che non riuscirai mai a farlo da ciò che provo per te. E che non c'è nulla che tu possa fare per impedirmelo.» sei alle sue spalle ormai. Appoggi la testa tra le sue scapole e respiri il suo odore, poi continui: «Non lo merito. Noi» marchi la parola «non lo meritiamo. Tutti dovrebbero darsi una possibilità per essere felici. Ma chi ha sofferto davvero, se è possibile, ne ha persino il diritto.» prendi un altro respiro poi concludi: «non m'interessa cosa ti è successo in passato, non m'interessano i tuoi dolori. Di quelli né è pieno il mondo. Io voglio solo te. E nulla mi separerà mai da ciò che voglio.»
Chiudi gli occhi, poi fai: «Sono sopravvissuta a due tentativi di stupri e alla morte di mia madre; e se sono riuscita a superare questo, sappi che supererò qualunque ostacolo proverai a mettermi davanti... tutto ... farò di tutto pur di avere te...» resti così per un tempo che ti sembra infinito, quasi bussassi alla porta del suo cuore. Poi lui, lentamente, si stacca da te e ricomincia a dirigersi verso l'uscita. Ti volti prima che ci arrivi. Non vuoi vedere. Non sopporti nemmeno l'idea che ora si allontani di nuovo. Quando senti l'ingresso di casa sbattere, quasi ti va in pezzi il cuore.
Poi qualcuno ti prende per le spalle e ti fa volta.
Cameron ti stringe forte tra le sue braccia e ti bacia.
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