65. Supremacy

Il ragazzone che ti tiene per il polso e che quasi ti sta trascinando, ha spalle larghissime e, a occhi, peserà almeno tra le due e le tre volte il peso del tuo armadio di casa. Ti sta portando verso una delle uscite di sicurezza che sai dare sul parcheggio, e non pare preoccuparsi molto delle tue proteste o anche solo della possibilità di farti del male. Provi a tirare via il polso dalla sua presa, ma non solo non ci riesci, non puoi nemmeno impedire che ti porti con sé, quasi fossi poco più di una bambola. Nessuno sembra notare nulla o prestare attenzione a voi visto che tutti sembrano calamitati verso il palco. Sarebbe inutile urlare, così come lo sarebbe continuare a protestare. Così t'inizi a sentire sul serio arrabbiata per quella sopruso che ti tocca subire. E allora pensi che non hai altra scelta che combattere. Riesci con tutte le tue forze a infilare parte della mano libera nella salda presa del ragazzo. Poi, quando ormai avete varcato l'uscita e siete nel parcheggio, inizi a tirare forte verso l'alto il suo pollice facendo leva col tuo avambraccio, un po' come se volessi strappargli il dito. L'effetto è quasi istantaneo. Il bestione, preso com'è alla sprovvista, prima molla la presa su di te, poi, sofferente, mentre tu gli afferri la mano ed eserciti tutta la tua forza su di un particolare legamento del polso, finisce in ginocchio tenendosi il braccio e piagnucolando. Sai quanto è doloroso ciò che gli stai facendo. Ma, malgrado la tua sensibilità, sei abbastanza contrariata da ammettere con te stessa che stavolta, non te ne frega davvero nulla.

«Ma che diavolo credi di fare?» gli dici, quasi stupendoti di quanto la tua voce risulta calma «ti pare questo il modo di comportarsi?» Quello, continuando a piagnucolare, ti dice che non è colpa sua ma che è Melissa che ti vuol vedere.

«Te l'ha chiesto Melissa?» gli fai, e visto che quello continua a piagnucolare, aggiungi: «e tu sei uno di quelli idioti che fa tutto quello che gli viene chiesto?» Ma il bestione non risponde. E ti viene da pensare che uno così, alla fine dei giochi, sia solo un bambino troppo cresciuto.

«Lei dov'è?»

Lui t'indica con la testa un lato della palestra. Sai che da quella parte ci sono solo siepi e qualche albero e poca illuminazione. E pensi che davvero non sia un buon posto in cui andare da sola; ma che anche starsene lì ad aspettare o tornare dentro fingendo che nulla sia successo, non risolverebbe nulla. Né sarebbe un modo maturo di affrontare un problema.

Così fai al ragazzo: «Tu tornatene dentro e sta fuori da questa storia.» lo molli, poi, mentre controlli che il tuo vestito sia in ordine, aggiungi: «e per la prossima volta, fatti un piacere: pensa con la tua testa. Non è dignitoso per un giovane uomo come te lasciare che siano gli altri a pensare al suo posto. E poi, non siamo più alle elementari; potrei denunciarti per ciò che hai fatto.» Lo lasci lì mentre quello sì rialza e inizi a procedere a passo di marcia verso il punto in cui ti aspetta la persona che forse ti odia di più al mondo.

Il profilo di Melissa lo riconosci subito malgrado il buio. E pensi che è bella – anzi – che è persino più bella del solito. Delle altre persone presenti non distingui che le ombre. Due sono di ragazze che non fatichi a identificare come le due arpie che seguono la tua avversaria ovunque. La quarta non la distingui se non come appartenere a un ragazzo.

«Ecco la stronza» senti dire nel buio da una delle ombre. Ma tu ignori tutti. Vai diretta da Melissa e le dice che sei lì, visto che lei vuole tanto parlarle, ma che non sarai più disposta a sopportare un sopruso da parte sua o di uno dei suoi tirapiedi, che il suo non è un comportamento da adulta, e che è da una vita che ti tormenta e che ormai sei piuttosto stufa. Lei sembra allibita. Ma quel suo stato dura solo un momento. Poi inizia a parlare, anzi, a urlare. E quello che le esce dalle labbra è l'equivalente di bile rancorosa trasformata in parola. T'insulta, spalleggiata dalle sue amiche, e in quella sequela si lascia sfuggire che tu vuoi portarle via il ragazzo, che quello è il SUO ragazzo, e che tu sei una sfigata, un'infelice e che dovresti abbassare la cresta a scuola che da un po' di mesi ormai sembri esserti montata la testa forse a causa dei complimenti che tutti ti fanno, e dell'ammirazione che provano per te, ma che hai solo fatto di tutto per metterti in mostra ma che primo o poi tutti torneranno a considerarti solo una perdente come è giusto che sia, ma che devi tornare presto in riga che altrimenti ti saresti fatta male perché tutti avevano notato che tu e Manuel – che è il SUO ragazzo – avevate passano almeno due ore chiusi da soli nel magazzino della palestra a fare chi sa cosa, e che così proprio non andava e che doveva menarti anche solo per averci pensato e così via. E ogni due per tre t'insulta dandoti della puttana e della stronza e della perdente con le due arpie a riempire i buchi tra i suoi insulti con altri insulti. E ancora e ancora.

Ma la verità è che non ti senti offesa. E che malgrado tutto questo buio ti sembra per la prima volta di vederla chiaramente. Melissa, la regina, la più bella di tutte. Ed è la prima volta che sai con sicurezza cosa prova qualcuno. Ed è adesso che scopri di conoscerla davvero e che non hai paura di lei o rispetto per lei – non più che per chiunque altro – perché non si può aver paura di qualcosa che si conosce così bene né rispetto per qualcuno che ha questo genere di paura.

È spaventata, Melissa, ne sei certa. E stressata perché – come per Manuel – anche lei ha come uno schema nella testa, un piano, le istruzioni su come bisogna – o bisognerebbe – essere felici in una relazione. Ma nessuno dei due sembra attenersi al piano dell'altro. E sembra bastare questo per renderli infelici. E ti fa una gran pena lei, perché davvero ti pare di non aver mai visto qualcuno di così infelice e insicuro. E perché è ancora poco più di una bambina capricciosa. E senti che ormai c'è come un solco che vi divide; e che tutti i dolori che, purtroppo per te, hai dovuto sopportare in una vita – quelli veri; quelli che vanno dalla morte di tua madre fino a quel tentativo di stupro – ti hanno costretto in qualche modo ad affrontare un mondo più grande e serio e impegnativo di quello con cui lei – con la sua vita da barbie e le sue amicizie di cartone e le sue corone di carta e brillantini – ha sempre potuto evitare di affrontare. E a un tratto ti sembra davvero solo quel che è: un'altra bambina troppo cresciuta. Solo qualcuno che com'è giusto alla vostra età, ancora non sa di preciso come affrontare il mondo. Ti sembra per un istante di essere come sopra una rupe, come in un posto nel quale lei non può raggiungerti. Ed è strano perché è come se anche lei se ne accorgesse. E non solo lei, ma tutti i presenti. Così le due arpie smettono di darle manforte. E lei prima rallenta il suo parlare, poi si ferma del tutta come se fosse intimorita da qualcosa.

Prendi un breve respiro prima di aprire bocca. E quando lo fai, hai il tono più pacato del mondo.

«Credo che tu e Manuel dovreste imparare a conoscervi meglio.» e poi: «credo che per provare a essere felice dovreste iniziare a confrontarvi con ciò che desiderate davvero l'uno dall'altra.»

«E tu che ne sai, stronza?» ringhia ancora lei «Che ne sai di noi?» ma lo fa con un tono così ingenuo e scontato che quasi è come se non avesse parlato affatto.

«Dovreste cercare di non stare insieme solo perché vi sembra la cosa giusta da fare.» continui tu «e comunque non preoccuparti: nessuno te lo porterà via; ma non potrai mai impedirgli di lasciarti se davvero lo vuole. Gli uomini non sono tutti disposti a fare quello che dici.»

Lei sembra provare a dire qualcosa. Ma scopri che non hai più tanta voglia di ascoltarla. Così, giri sui tacchi, le mostri quanto è bello il tuo sedere, e vai via come la più strafiga delle raagzze.

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