36. Save

Ti risveglio con un cerchio alla testa e le tempie pulsanti. Definirti confusa è poco. Ti senti; ti senti come se avessero completamento capovolto il tuo mondo; quasi lo avessero rivoltato come un calzino. E in un simile stato è davvero troppo il senso di smarrimento che provi nel trovarti in una camera buia di cui non vedi molto, ma che sai per certo non essere la tua; e per di più, di avere in dosso solo la biancheria intima. Per un momento hai davvero una profonda paura, così inizi a guardarti intorno con una certa ansia. Alla fine trovi al lato del letto una lampada la accendi e vedi, su di una sedia appoggiata contro una parete, i tuoi vestiti ripiegati. La cosa, chi sa perché, ti calma; così decidi di alzarti e di iniziare a vestirti. Poi lo senti. È il suono dei piatti di una batteria ed è seguito da alcuni accordi di quello che pensi essere un basso. Il tuo primo istinto è di uscire dalla porta, ma decidi di spalancare la finestra – coperta da pesanti tendaggi neri – e d'illuminare la stanza in cui ti trovi. La scena che hai davanti è davvero confusa. Sei in un'ampia camera in disordine, con fogli sparsi sul pavimento e quadernoni e libri ovunque. Il soffitto è in lamiera nuda e le pareti sono di mattoni. Gli arredi, oltre al grande letto nel quale ti sei svegliata e alla sedia, sono composti da un armadio malandato, alcune cassette – di quelle da mercato della frutta – con su un paio di lampade spaiate e una scrivania che deve aver visto tempi migliori. Raccogli un foglio. Sembrano spartiti musicali con alcune parole scritte nello spazio al di sopra delle note. Intanto, da oltre la porta, ricominciano gli accordi. Una voce che credi di riconoscere, chiama il tempo, e quel che ne segue è il puro delirio di una canzone rock che però in questo momento ti attraversa la testa come una dolorosa fitta.

Ti massaggi una tempia, ti fai coraggio e superi la porta.

Ti trovi davanti a una grande sala che sembra ricavata da quella che doveva essere il primo piano di un capannone industriale, al centro del quale, la band di Cameron si sta esibendo per quella che sembra un'ospite molto particolare seduta su di un vecchio divano posto di spalle rispetto alla tua prospettiva. È Cameron a notarti e a smetter subito di suonare, seguito poco dopo dagli altri.

«Ehi» ti fa, sfilandosi la chitarra e venendo da te «come ti senti?»

È in quel momento che la testa di Vanessa spunta dal divano e ti sorride.

«Sei svegli!» ti fa. Poi scavalca la testiera e corre ad abbracciarti.

Anche gli altri della band lascino i loro strumenti e ti sommergono di attenzioni. Tante domande, tante voci; ma troppa confusione. Così sei attraversata da un'altra dolorosa fitta alla testa, talmente forte da darti i brividi. Ti massaggi ancora la tempia e allora Cameron chiede agli altri di fare silenzio.

«Ho io quel che fa per te.» ti dice Spike, prima di afferrarti per una mano e di trascinarti in un angolo del fabbricato in cui sorge una cucina che – come il resto – sembra aver visto tempi migliori. Il ragazzo versa in un bicchiere un po' di vodka presa da un vecchio frigorifero e ti dice di bere.

«Ma sei scemo. Così la ammazzi.» fa Cameron sfilandogli il bicchiere.

«Ehi.» gli risponde l'amico «è il modo migliore per far passare una sbronza.»

«Come no» interviene Kobe – il grosso batterista – con il suo tono monotono «gliela farà passare come una botta in testa. E poi, già te l'ho spiegato, la sua non è una sbronza.»

«Già; ha bisogno di acqua per depurare l'organismo.» fa Lincoln prendendo una bottiglia d'acqua e un grosso bicchiere.

«E di frutta per mantenersi idratata.»

«E allora diamogli la vodka.» insiste il cantante «che c'è di meglio della frutta con la vodka.»

«E smettila con sta vodka.»

«Già, ci vuole frutta.»

«E acqua.»

«Pensate quel che volete, ma io dico...»

I tre continuano a battibeccare abbastanza che una nuova fitta ti attraversa il cervello manco fosse un proiettile. Ed è qualcosa di sufficientemente dolorosa da farti sfuggire un profondo gemito.

«Basta ora.» esclama Cameron zittendo gli altri. «non vedete che sta male. Forza. Tornate di là. Non statele addosso. Lasciatela respirare.»

Il trio di musicisti torna ai propri strumenti ma si guardano bene da riiniziare a suonare. Vicino a te restano solo, Vanessa – che sembra avere l'aria di chi ha dormito poco e male – e Cameron che prende un bicchiere d'acqua e ci scioglie dentro una capsula effervescente.

«Bevi» ti fa offrendoti il bicchiere. Ci metti un po' troppo tempo per prenderlo e solo dopo averlo guardato in volto e avergli sorriso con un certo sospetto. Allora la sua maschera severa da capo – un'espressione un po' arcigna che gli hai visto sul viso solo la sera della tua aggressione e di nuovo ora dopo aver ordinato agli altri di lasciarti in pace – si trasforma in un sorriso dolce e caldo.

«Non preoccuparti» ti fa allora «è solo un analgesico. Niente droga. Solo qualcosa che ti farà passare il mal di testa in un lampo.»

Che altro puoi fare se non fidarti e scolare il contenuto del bicchiere?

«Brava, ragazza.» fa Cameron poi, rivolgendosi un po' a te e un po' alla tua amica Vanessa aggiunge: «torno di là dagli altri; se non li metto in riga, finiscono sempre per litigare» e si allontana lasciandovi da sole.

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