Uno.

Sento il sole addosso, letteralmente. Riesco a sentire i raggi solari che, come piccoli aghi, s'insinuano nella mia pelle e mi donano il calore di cui ho bisogno per affrontare questa giornata. Devo ammettere che è una sensazione piacevole e frustante al tempo stesso. Piacevole, perché riesce a scaldarmi il corpo, infreddolito per la nottata gelida che ho avuto. In effetti, mi sono svegliata molte volte durante la notte, tremante per il freddo di New York in questo periodo. Frustante, perché mi costringe ad aprire gli occhi e realizzare che oggi sto per iniziare un nuovo capitolo della mia vita.

«Mya! Giuro che se non ti svegli entro cinque secondi ti prendo di peso e ti faccio cadere a terra!». La voce di mia madre, stridula come sempre, risveglia completamente ogni mio senso ancora addormentato.

Apro gli occhi e cerco di mettere a fuoco le cose intorno a me. Cerco subito il cellulare appostato nel comodino di legno accanto al letto e guardo l'ora: sono le sette della mattina, e già sto sbuffando.

«Adesso mi alzo», grido a mia madre, che è ancora al piano di sotto, intenta a minacciarmi come se fossi una bambina incapace di alzarsi dal letto senza sua madre.

Mi alzo controvoglia e raggiungo il cellulare, su cui prima avevo solo visto l'orario, e trovo una chiamata di Jessie, così la richiamo subito.

«Ehi», risponde dopo il secondo squillo. Probabilmente, vuole assicurarsi che vada tutto bene, che sia tranquilla e che non faccia qualche cazzata.

«Jessie», dico ancora assonnata, stropicciandomi gli occhi per cercare di rendere la mia vista più nitida.

«Mya! Mi raccomando, non fare cazzate». Proprio come avevo previsto.

«Non farò nessuna cazzata, Jess», rispondo scocciata, dato che percepisco che in questo mondo nessuno si fida davvero di me. Non sono una ragazza modello, lo ammetto. Non prendo sempre buoni voti, dico alcune bugie a mia madre, quando capita. Ma sicuramente non sono una cattiva ragazza, non sono una di quelle che si droga, che va alle feste all'oscuro dei genitori, né una di quelle che scappa in piena notte per fare visita ad un ragazzo. «Però ho paura», ammetto poi, timida, perché non sono solita a parlare dei miei stati d'animo con altre persone, nemmeno con la mia migliore amica.

Sono una persona riservata, è difficile che io mi confidi con altri, che esprima i miei sentimenti e le mie emozioni. Tengo tutto per me, dentro di me. Se non mi mostro fragile, allora le persone penseranno che io sia forte, o comunque non avranno il potere di distruggermi, non conoscendo i miei punti deboli.

«Non devi aver paura, stellina. Vedrai che andrà tutto bene. Incontrerai nuovi amici, uscirai e andrai alle feste con dei bei ragazzi», cerca di rassicurarmi, ma a quelle parole il mio stomaco si ingarbuglia ancora di più.

Io non voglio tutto questo.

«Sai che non è questo che m'interessa», dico in tono lamentoso. «Io odio i cambiamenti».

La sento sospirare. «Lo so, stellina, ma è un cambiamento obbligatorio. Tutti noi lo stiamo facendo, anche io sto andando al college», mi ricorda, come se non lo sapessi.

Ma per lei è diverso, è sempre stata una ragazza socievole. Riesce a farsi degli amici anche al supermercato, mentre io non sono brava a dialogare con le persone.

«Tu stai bene?», le chiedo, chiudendo il discorso sulla mia vita. Ho già parlato troppo.

«Si, sto bene. Fra poco devo entrare, ci sentiamo dopo?»

«A dopo», la saluto, prima di chiudere la chiamata.

Mi posiziono di fronte allo specchio, che sta appoggiato sul muro di fianco alla porta, e sospiro.

È il momento.

Ti vestirai, Mya, ti preparerai, ed inizierai questa nuova avventura.

Prendo un paio di jeans che avevo messo sulla scrivania ieri sera, così da organizzare bene le cose da mettere, e li indosso. Sono i miei preferiti perché riescono a valorizzare le curve che amo di più, mentre non mette in rilievo le curve dei fianchi, che sono quelle che odio di più.

Poi opto per una maglietta bordeaux, non molto scollata ma abbastanza attillata da non darmi l'aria di una ragazzina.

Decido di sistemarmi i capelli rossi con la piastra, lisciandoli appena, e passarmi un po' di trucco negli occhi, un minimo di mascara, tanto per non sembrare troppo sciatta.

«Mya, ti muovi!», insiste mia madre dal piano di sotto. Urla così forte che credo che la stiano sentendo anche i vicini.

«Arrivo, mamma», dico con uno sbuffo, trasmettendole tutto il mio cattivo umore.

Prendo lo zaino e mi reco verso mia madre, che trovo seduta sul tavolino, intenta a sorseggiare un caffè.

Io non ho nemmeno fatto colazione.

«Pronta, amore?», chiede lei con un sorriso stampato in volto. Si pavoneggia, dimostra proprio la sua felicità per questa esperienza, non le interessa se io mi sento stritolare la gola dall'ansia.

No, non sono pronta. «Si».

Si alza con uno scatto e posa la tazza nel lavabo, poi ci dirigiamo in auto.

«Potevi vestirti meglio, comunque», mi fa notare, passando lo sguardo su tutto il mio corpo. La sua espressione è quasi disgustata, ma la cosa non mi tocca per niente.

Ci sono abituata. Lei è sempre stata così, le interessa solo l'aspetto esteriore, quello estetico e più inutile. Per lei, se ti vesti bene, allora sei automaticamente una brava persona.

«E tu puoi anche evitare di fare questa espressione disgustata ogni volta che mi guardi», sputo. Nel frattempo, siamo arrivati di fronte al campus, così non le lascio nemmeno il tempo di ribattere che mi precipito fuori, senza nemmeno salutarla.

Sono così stanca di essere sempre giudicata da chiunque. Vorrei solo che le persone iniziassero a notare tutte le belle cose che faccio, invece di farmi pressioni solo sulle cose brutte.

Mia madre torna tardi, io ho cenato da sola e decido di lavare i piatti?

Brava, Mya, ma potevi anche sparecchiare!

Decido di pulire la casa perché lei sta lavorando e non voglio che si affatichi appena torna a casa?

Brava, Mya, ma potevi pulire anche il water!

È sempre stato un: «brava, Mya, ma...».

Ed io sono dannatamente stufa di non essere mai abbastanza.

Ammiro il campus di fronte a me, cercando di strecciare i miei pensieri ingarbugliati, e noto che è davvero grande, quasi maestoso. Di fronte a me si propaga un'area verde, con dei fiori e delle piante. Alla fine di quest'area, si innalza l'edificio scolastico, che sembra un castello.

Percorro tutta l'area finché non entro nella scuola. Le pareti sono bianche, un po' tristi, per i miei gusti.

La prima cosa che noto è un gruppetto di ragazzi, tutti bellissimi, visti da dietro, che stanno parlottando tra loro. Intenta a guardarli, non noto che una ragazza mi sta venendo completamente addosso.

«Ehi, guarda dove metti i piedi!», grida una voce femminile, mentre sento il tonfo di tutti i libri che aveva in mano cadere a terra.

L'ho notata solo all'ultimo secondo, quando ormai era troppo tardi per rimediare.

«Scusami», dico quasi piagnucolando, maledicendo me stessa per quanto sono impacciata. Mi piego a raccoglierle i libri e lei fa lo stesso. «Davvero, mi dispiace», continuo a scusarmi.

Il suo sguardo passa sul mio e mi sorride in modo compassionevole. «Non preoccuparti».

Bene, Mya, non è arrabbiata con te!

Tiro un sospiro di sollievo. «Comunque, io sono Mya», mi presento, porgendole la mano.

Lei guarda la mia mano, tesa di fronte a lei, come se fosse un oggetto alieno e ridacchia subito dopo. «Tesoro, non siamo nell'Ottocento. Leva questa mano», continua a ridere. «Io sono Molly».

Decido di lasciar perdere quella sua affermazione, anche se ci sono rimasta un po' male.

Da quando non si da più la mano per presentarsi?

«Senti...anche tu fai Lettere?», le chiedo, sia per fare conversazione, che per trovare qualcuno che frequenti il mio stesso corso.

«Si!», risponde euforica. «Vuoi che ti accompagni?»

Annuisco, contenta anche io per quest'incontro inaspettato. «Si, certo», rispondo, mentre ci incamminiamo in mezzo ai corridoi. Molti studenti stanno davanti ai propri armadietti, parlando tra loro o ridendo a crepapelle.

Vorrei tanto essere così disinvolta anche io, ma non lo sono. Sono un'asociale, cavolo.

Guardo la ragazza che mi sta accompagnando ed è davvero bellissima, una delle ragazze più belle che abbia mai visto. Ha la pelle ambrata, scura, che fa contrasto con i capelli biondo cenere e gli occhi verdi. Dovrebbe fare la modella.

O magari lo fa già, tu che ne sai, Mya? Mi ricorda la mia coscienza.

«Allora...sei al primo anno?», chiedo titubante. Devo almeno provarci, a fare conversazione.

«No, al secondo, tu?». Il suo sguardo passa sul mio, mentre continua a camminare come una scheggia.

Annuisco.

«Vedrai che ti troverai bene. E poi, mi stai già simpatica. Sembri in gamba», si complimenta e la cosa mi fa sorridere istantaneamente.

Forse potrei non essere così asociale come pensavo.

angolo autrice

e così ci siamo...il primo capitolo di "My disaster" è stato revisionato...o meglio, riscritto da capo.

Fatemi sapere cosa ne pensate. Ho fatto dei cambi, come i nomi dei protagonisti, ma alla fine la storia rimarrà la stessa.

Spero che vi piaccia lo stesso, con questa scrittura leggermente più "matura" rispetto alla precedente.

un bacio❤️

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