CAPITOLO 62
Mi sdraiai sul letto con un libro in mano. Addentai una fetta di torta che avevo appoggiato sul comodino e mi misi a leggere. Entrare nella vita dei personaggi e dimenticare la mia era la cosa che preferivo in quei giorni.
Avevo passato tutta la giornata chiusa in casa, e non avevo risposto alle chiamate di Amy. Il giorno precedente non ci eravamo congedate in modo del tutto gradevole, ma in quel momento non avevo voglia di parlare con nessuno.
Ormai mi ero abituata a non ricevere la mia chiamata serale, anche se ogni giorno appoggiavo il cellulare sul cuscino e continuavo a fissarlo.
Non avevo nemmeno osato guardarmi allo specchio, dovevo avere un aspetto tremendo. Mi sentivo gli occhi gonfi e dovevo avere un centinaio di nodi fra i capelli.
Ero immersa nella lettura quando sentii il cellulare che squillava. Non guardai nemmeno chi era, perché sapevo che l'unica poteva essere la mia migliore amica.
Quando peró gli squilli non terminavano, mi decisi ad alzarmi dalla mia comoda posizione e afferrai il telefono.
Quando mi accorsi che la chiamata non era da parte di Amy quasi mollai il cellulare per la sorpresa.
Non mi sarei mai aspettata che lui mi chiamasse. E soprattutto non a quell'ora. Erano solo le undici, di soliti chiamava a mezzanotte inoltrata. E contando il fatto che erano giorni che non si faceva vivo, capii che doveva essere una chiamata diversa dal solito.
Mi affrettai a rispondere a Gabriele.
— Pronto? — feci con voce fin troppo tremante.
— Anna — la sua voce sembrava ancora piú tremante, impaziente, forse entusiasmata — Anna vieni presto...vai alla stazione, sto arrivando.
Mi cadde il cellulare di mano dalla sorpresa. Quando lo ripresi mi accorsi che si era chiusa la chiamata, ma non importava. Il mio ragazzo era lí, e stentavo a crederci.
Dopo tutti quei giorni di pianto, di lacrime, di depressione, Gabriele era veramente tornato.
Era una cosa..incredibile.
E infatti non ci credevo. Ci avrei creduto solo quando sarebbe stato fra le mie braccia.
Non persi altro tempo a pensare, ma mi buttai su la prima felpa che trovai e scesi di corsa le scale, incurante del mio aspetto.
Non persi tempo nemmeno a mettermi le scarpe, ma mi fiondai fuori dalla porta in meno di un secondo. Ignorai anche le grida della mamma Anna, dove vai cosí tardi?
L'unica cosa che importava in quel momento era che dovevo arrivare il piú in fretta possibile alla stazione.
Finalmente sarei stata nelle sue braccia di nuovo, avrei respirato il suo profumo.
Non volevo nemmeno perdere tempo a sistemare la bici, cosí mi precipitai in strada di corsa.
I passanti mi guardavano come se fossi pazza, ma non mi interessava, dovevo solo arrivare da lui.
Corsi come non avevo mai fatto, ignorai il dolore alla milza, il fiatone, ignorai tutto.
Non seppi quanto tempo era passato dalla chiamata. Mi precipitai verso l'ingresso della stazione appena in tempo per vedere un treno che si stava fermando.
Mi appoggiai ad una colonna per prendere fiato e cercai invano di sistemarmi i capelli. Solo in quel momento mi resi conto di come fosse pessimo il mio aspetto, ma non riuscii a pensarci molto che il treno si fermó e le porte si spalancarono.
Tantissime persone cominciarono a scendere dalle uscite, spintonandosi e facendosi largo tra la folla. Io cercai di farmi avanti. Esaminavo i volti dei passeggeri uno ad uno, ma non riconobbi quello di Gabriele.
Continuai a guardare speranzosa, vidi ragazzi che scendevano dal treno e correvano verso la fidanzata, famiglie che si riunivano, amiche che si abbracciavano...
Ognuno sembrava trovare la felicità scendendo dal treno, ognuno se ne andava sorridendo.
Io rimasi ferma a guardare le uscite, perdendo l'ultimo barlume di speranza.
Poi, fra la marea di gente, vidi spuntare un ragazzo piú alto della media. Spuntarono dei riccioli neri e due occhi verdi che mi esaminarono a lungo, poi la bocca del ragazzo si aprí in un sorriso.
Uno di quei sorrisi che ti cambiano la vita.
Ci separavano venti metri, ma la gente ci impediva di raggiungerci.
Quando finalmente si aprí un varco, mi misi a correre. Corsi come non avevo mai corso, corsi come se dovessi riacciuffare la mia vita.
Per la prima volta un sorriso mi si dipinse sul volto, un vero sorriso.
Non appena fummo abbastanza vicini, saltai in braccio a Gabriele, che mi strinse come non aveva mai fatto.
Mi strinse con forza la testa al petto, come se da un momento all'altro fossi potuta sparire.
Mi tenne stretta a sé senza dire una parola, e io riassaporai il suo odore buonissimo, l'odore di casa. Il mio corpo si riempí di lui e il suo calore mi infuse sicurezza.
Non avevo mai capito quanto fosse importante per me fino a quel momento.
Finalmente mi allontanai da lui e mi guardó negli occhi.
Non riuscii a sostenere quello sguardo a lungo, che mi si riempirono gli occhi di lacrime.
Appoggiai la testa al suo petto e cominciai a singhiozzare, sfogandomi dopo tutti quei giorni di silenzio.
Gabriele mi accarezzó i capelli senza dire una parola.
Singhiozzai senza sosta, non mi ero mai sentita peggio. In quei giorni era stato come se la mia vita fosse scomparsa, come se si fosse interrotta.
Erano stati i giorni peggiori di tutta la mia vita, avevo sofferto troppo.
Mi era stata strappata la felicità ed era come se fossi stata in coma.
— T-tu n-non sai q-q-quanto m-mi sei mancato. — mi sforzai a dire fra un singhiozzo e l'altro.
Il mio ragazzo mi bació dolcemente la fronte.
— Anche tu, bambola. Ma ora sono solo tuo.
Non riuscii a dire altro, continuai a piangere sul suo petto.
Lui mi prese in braccio e mi portó sulla panchina piú vicina.
Quando mi calmai un attimo vidi che eravamo in un luogo molto meno affollato, e anche se eravamo al buio notai di aver lasciato una macchia bagnata sulla sua maglietta.
Mi misi a cavalcioni su di lui e lo fissai a lungo negli occhi. Lui posó la fronte sulla mia.
— Mi sei mancata, bambola. — sussurró.
Io mi lasciai sfuggire un singhiozzo, poi mi calmai e mi concentrai su di lui.
— Tranquilla, non importa se piangi. É normale. — mi accarezzó una guancia e si forzó di sorridermi.
Anche io cercai di sorridere, in quel momento ero la persona piú contenta del mondo.
— É stato cosí difficile saperti lontano. — dissi.
— Già. É stata l'impresa peggiore che io abbia mai fatto...é stato..terribile. — anche lui sembrava turbato, e per la prima volta capii quanto fosse innamorato.
— Non sai..é stato come..se avessi smesso di vivere. — aggiunsi.
— Anche io. La mia felicità é qui. Con te.
Restammo in silenzio. Al buio, insieme. Lí mi sentivo al sicuro, ero a casa. Dopo tutto quel tempo, finalmente ero a casa.
— Sono dovuto partire di corsa...ma adesso é tutto a posto, fidati. Fabian é guarito e mi ha lasciato partire. Ho preso il treno appena é stato dimesso. Non sopportavo di starti lontano.
Ascoltai con pazienza.
— Nemmeno io. E ti ho aspettato. Anche se devo ammettere che a volte ho perso le speranze.
— Scusami. Ma fidati che ho fatto di tutto.
— Non preoccuparti, ti credo. Ma ora siamo insieme, e non importa cosa succederà, giusto?
Incrociai le dita alle sue.
— Già. E io resteró qui con te. Promesso. Se l'unica che voglio.
Io gli sorrisi.
— Io...ti amo.
— Anch'io. Tu mi hai insegnato ad amare, Anna.
Si avvicinó a me. Sentii il suo fiato caldo sulle labbra, strinsi le mani di piú alle sue, poi appoggiai le labbra sulle sue.
Mi lasciai andare a quel morbido tocco.
Il bacio prima era tenero, poi divenne sempre piú appassionante.
Gabriele la bació come non aveva mai fatto. La bació come se fosse potuta volare via. La bació avaro, bació ogni angolo della sua bocca, bació quelle labbra come se quello dovesse essere l'ultimo bacio.
Fu un bacio indimenticabile.
Quando ci staccammo eravamo entrambi contenti. Ci guardammo a lungo, poi scoppiammo entrambi a ridere.
Una risata sincera.
Ero felice.
Dopo tre anni, ero felice.
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