CAPITOLO 61

— Sono già due giorni che non mi chiama e non mi contatta!!
— Lo so, ma magari é...impegnato, non puoi mai sapere.

Amy cercava di consolarmi invano. Erano due giorni che Gabriele non si faceva vivo, e mi sentivo come se avessi appena ricevuto una bella batosta. Forse mi aveva rimpiazzata con un'altra, chissà, forse non l'avrei piú rivisto.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
— Su, tesoro, non piangere! — mi disse Amy.
— Non sto piangendo.
— Hai gli occhi lucidi, tu non mi devi mentire!
— Ok, quindi posso sfogarmi?
— Certo.
Cominciai a piangere una lacrima dopo l'altra, mentre la mia migliore amica mi stringeva fra le braccia.


Uscii di casa verso le cinque di pomeriggio. Amy se n'era andata per pranzo, e le avevo chiesto di lasciarmi sola nel pomeriggio, perché volevo schiarirmi le idee.
Stufa della solita vita, mi chiusi la porta alle spalle e mi misi a correre. Corsi tantissimo, senza mai fermarmi.
In pochi passi raggiunsi la periferia della città, e mi addentrai in uno dei tanti boschi che circondano il paese.
Andai avanti a correre in mezzo agli alberi fin quando la milza cominció a fare un dolore atroce e mi mancó il fiato. Mi sedetti sotto un faggio, ad ammirare la bellezza della natura.
Gli uccellini canticchiavano allegramente, le chiome degli alberi si muovevano a causa del vento.
Non sapevo perché avevo corso fino a lí, era stato il mio istinto a suggerirmi di farlo.
Avevo un bisogno assoluto di stare sola, e quello era il posto giusto.
Mi sdraiai su un praticello, e pensai che bello sarebbe stato addormentarmi lí, su quel mantello di foglie, e dimenticare tutto.
Ma era impossibile. Non avrei mai dimenticato. Era come se il mio destino mi volesse male, non mi liberasse mai piú di quel peso che portavo sempre.

All'improvviso mi venne da piangere, e io lasciai che le lacrime mi rigassero il volto, che ogni parte di me potesse sfogarsi in pace. Lasciai al dolore il piacere di impossessarsi di me, di occupare il mio corpo.
E piansi, piansi per tutte le volte che mi ero illusa, per tutte le volte che invece di godermi la vita avevo pensato a Gabriele, per come ero caduta ai suoi piedi senza accorgermene. E, soprattutto, per come mi aveva abbandonata, per come ero stata stupida a fidarmi di lui.

Probabilmente in quel momento stava illudendo una ragazza proprio come aveva fatto con me. Il problema era che la sua voce era credibile, perfettamente credibile. Quando mi parlava e mi diceva che l'unica cosa che voleva era tornare da me, avere una vita accanto a me...in tutti quei momenti magari stava mentendo, ma io non me ne accorgevo.
Era terribile come fosse facile per lui prendersi gioco di me.

Era naturale, non lo avrei piú rivisto. Non avrei mai piú rivisto quegli occhi verdi, quegli occhi incredibilmente perfetti. Non sarei piú annegata nel suo sguardo.
Era ovvio, non sarebbe tornato. Non dovevo illudermi e stare ad aspettarlo, ma dovevo abituarmi a una vita senza di lui. Era la pena da scontare per essermi innamorata.

Appoggiai la testa su un tronco e mi abbracciai le ginocchia. Ero cosí piccola davanti al destino. Non potevo fare niente.

— Eccoti, lo sapevamo che saresti stata qui.
Amy ed Aron spuntarono da dietro un albero, e io rimasi a guardarli a bocca aperta.
— Come avete fatto? — domandai.
Evidentemente il mio aspetto non doveva essere dei migliori perché entrambi mi fissavano come se avessero appena trovato un cucciolo abbandonato.
— Semplicemente sono la tua migliore amica. — fece Amy.
— Tua madre ha detto che te n'eri andata in questa direzione e un mio amico ti ha visto passare. — si spiegó Aron.
— E io avrei fatto la stessa cosa se fossi voluta stare da sola. — concluse la mia amica.
— Già, é stata un'idea di Amy venirti a trovare.

Ascoltai i miei amici in silenzio, poi sorrisi ad entrambi.
— Grazie.
Amy mi posó una mano sulla spalla.
— Ti vedo giú.
Io annuii, poi andai avanti a camminare senza guardarla.
— Proprio non riesci a dimenticare...
— No — mi affrettai a dire.
Presi il mio cellulare e senza dire una parola mi misi a camminare verso casa.

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