CAPITOLO 30

No che non ero impazzita, semplicemente dovevo fuggire al piú presto da lí, per ora l'importante era mettermi in salvo.
La figura mi strinse piú forte.
— Non puoi correre là!
Mi strattonó e mi tiró dietro l'angolo di una casa.
Urlai.
Anche se avevo riconosciuto quella voce. Mi girai e guardai negli occhi Gabriele.
— Cosa ci fai qui? — ringhiai.
Ero arrabbiata con lui. Mi aveva ignorata per due giorni consecutivi.
— Cosa ci fai tu qui— sbottó.
— Se non ti dispiace, devo prendere l'autobus per tornare a casa— dissi cercando di allentare la sua presa.
— E vuoi passare lí in mezzo?? Ma ti rendi conto? Quelli ti fanno fuori, idiota!
— Non sei tu a decidere per me!
Lo guardai negli occhi. Non lo avevo mai visto cosí. Il suo sguardo era pieno di ira. Quasi mi spaventava.
Sembrava che l'avessi disturbato, come se adesso fosse costretto a farmi da badante.
Guardai l'ora. L'autobus stava per passare.
— Devo andare!— sgusciai via dalle sue mani e mi misi a correre.
— Fermati!
Mi prese e mi portó dietro un vicolo.
— Tu non ci sali su quell'autobus, non vedi cosa sta succedendo?
Sentimmo degli spari. La situazione stava degenerando. Gabriele mi prese per un braccio e mi tiró con sé attraverso il vicolo. Io lo seguii senza fiatare, ero terrorizzata dal fatto che da un momento all'altro potesse uscire un serial killer dall'ombra.

Arrivammo in un locale del centro. Tutto era tranquillo e dei ragazzi mangiavano qualcosa.
Mi liberai dalla presa di Gabriele. Dovevo ricordarmi che mi aveva ignorata per due giorni dopo che mi aveva baciata. E dovevo anche tener conto degli avvertimenti di Taylor. Non era un ragazzo affidabile.
— C'é una via secondaria per... —non finii la frase che qualcuno lo afferró per le spalle.
Io urlai per lo spavento, ma lui si liberó dalla presa e rimase calmo. Un uomo, probabilmente ubriaco, mi guardava. Diede un pugno a Gabriele, che per un po' trattenne il fiato.
Poi si avvicinó a me.
— Sei davvero un angelo — il suo fiato puzzava di alcool e io cercai di fuggire, ma mi prese per un gomito.
— Ora vieni con me, angelo— mi strattonó ma si fermó di colpo.
Gabriele gli sferró un pugno e prima che si potesse mettere a seguirmi mi urló — Corri— e io lo feci.
Mi misi a correre senza perdere tempo e mi lanciai nel primo bar che trovai.
Poco dopo arrivó Gabriele.
— Sapevo che saresti entrata qui. Devi imparare ad essere piú originale.
Gli angoli della bocca gli si sollevarono in una specie di sorriso.
— Tutto bene? — riuscii a dire solo questo. Avevo il fiato mozzo. Peró gli ero grata, mi aveva salvata.
— Sí, io sí..tu?
— Sto bene grazie.
Ci voltammo verso la TV per ascoltare gli ultimi annunci.
Rissa scoppia in paese. Due poliziotti feriti, un uomo aveva una pistola.
Caspita, per fortuna che ero venuta via. Per fortuna che Gabriele mi aveva portata via.
— Cavolo, mi sa che il tuo autobus é partito — disse improvvisamente dolce.
Mi sorrise timidamente.
— Cosa facciamo? — domandai.
— Se vuoi prendiamo la moto, anche se ci vorrà un'oretta, lo sai.
L'idea di viaggiare un'ora in moto con Gabriele mi preoccupava, andavano bene 10 minuti, ma non un'ora.
— Un'ora no.
Lui sospiró.
— Qui vicino c'é un Motel, se vuoi ci possiamo fermare lí.
Per un momento immaginai una notte con lui in un Motel.
Perché proprio quando decidevo di dimenticarlo ero costretta a passare cosí tanto tempo con lui?
— D'accordo. Ma tu non vuoi andare a casa?
Mi guardó serio. Sembrava come se fosse costretto a stare lí con me.
— Vorrei. Ma non posso lasciarti sola.
— Mia madre ti ha chiesto di vegliare su di me?
— No.
All'improvviso si giró e mi guardó fissa negli occhi.
— Anna, non posso. Non riesco a lasciarti sola, hai capito? Vorrei andarmene, ma non riesco...perché sei un essere speciale e io sí, avró sempre cura di te.
Si giró e si mise a camminare ma io gli strattonai un braccio, costringendolo a girarmi.
— E allora perché mi eviti? Perché..
Mi salirono le lacrime agli occhi.
Perché mi trattava cosí?
— Non voglio avere altri problemi — sibiló.
Una lacrima mi scese lungo il viso.
— Cos'ho fatto!? Dimmi cos'ho fatto! Non mi piace essere trattata come una marionetta! Ti sto fra i piedi? Ti ho fatto litigare con Taylor? Non mi sembra di essere stata cosí invadente!! Io c-c-cercavo solo di...di ..di piacerti.

Vomitai tutte queste parole prima urlando, poi singhiozzando. Lui mi guardó in silenzio mentre parlavo, poi sembró irritarsi piú di ogni altro.
Tiró un calcio a un cassonetto della spazzatura.
— Accidenti, Anna.
Lo fissai a lungo e lui mi si avvicinó con aria di sfida.
— Sai cos'é? Sai qual'é il problema? Che la vita é cosí...divertente.
Non capivo dove volesse andare a parare con questa frase. Lo fissai e lui continuó a guardarmi e dire queste parole sottovoce.
— Guarda, com'é divertente. Guarda che bella sorpresa la vita, quando credevo che fosse finita...arrivi tu. Il problema sei tu Anna. Anzi, sono io.
Il problema é che ti amo.

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