CAPITOLO 21

Andammo avanti per un po' in silenzio. Poi mi indicó l'altro lato della strada. Lo guardai interrogativa.
Mi indicó una moto parcheggiata accanto a un muretto.
— É tua? — chiesi, sempre piú preoccupata. Cominciavo a capire le sue intenzioni.
Lui mi sorrise con fare divertito.
— Non andavamo a piedi? — domandai mentre tirava fuori dalla tasca delle chiavi.
Rise amaro.
— A piedi? Lo sai quanta strada dobbiamo fare? Saranno le tre di notte! — guardó l'orologio.
In effetti, aveva ragione. Non si poteva fare altro. Io, Anna Sky, dovevo andare in moto di notte, per un tragitto cosí lungo, per di piú con uno sconosciuto. Ed ero costretta a farlo. Solo dieci giorni prima sarei stata inorridita da un'idea del genere.
Dovetti accettare di andare in moto, e cominciai ad esaminare il veicolo.
Certo, non era come quella di Matthew, ma era niente male. Di sicuro mi fidavo di piú di Gabriele che di Matthew.
— Daccordo, andiamo. Scommetto che non avrai neanche il casco.
Alzai un sopracciglio come avevo visto fare da lui.
Mi sorrise.
— Se vuoi aspettiamo che aprino i negozi e compriamo il casco..vorrà dire domattina.
Sembrava serio. Lo guardai interrogativa.
— Vorrà dire che andremo a dormire in un Motel e domani mattina torniamo al villaggio. — parlava sorridendo, e in un modo alquanto sensuale.
Devo dire che l'idea non mi spiaceva, ma lasciai perdere. Pensai a come sarebbe stato trascorrere una nottata con lui in un Motel. Meglio di no.
— Vado senza casco.
— Facile farti cambiare idea, bambola.
Volevo ribattere, ma mi ero abituata a quel soprannome.
— Sei mai stata su una moto?
— Sí, una sola volta per un tragitto di due minuti ma ci sono stata.
Rise.
— Lo sapevo— disse.
— Sappi che non vorrei salire qui sulla tua moto ma sono costretta, quindi vedi di non farmi cambiare idea.
— Daccordo. Ora che mi hai detto questo ti sentirai tranquilla immagino.
Nella sua voce c'era una nota di divertimento che non mi piaceva affatto, anzi, mi irritava.
Mi sentii afferrare per i fianchi e sollevare. Mi voltai e vidi Gabriele che mi reggeva dolcemente.
— Cosa fai? — dissi forse un po' troppo bruscamente.
Non riuscivo ancora a fidarmi di lui. Forse il fatto che fumasse e che fosse un perfetto "bad boy" me lo faceva sembrare poco affidabile, forse il fatto che io fossi diventata amica di un perfetto "bad boy" mi irritava.
— Ti metto sulla moto — nel suo volto passó un lampo di divertimento misto a..qualcosa di insolito.
Staccai delicatamente le sue mani dai miei fianchi.
— So salire, grazie.
Ero diventata fredda, me ne accorsi subito. E probabilmente anche lui se ne accorse. Salí davanti a me, e io gli balzai dietro.
— Tieniti stretta — disse.
— Daccordo — Urlai — Ma sappi che forse urleró.
— Ci sono abituato.
Inserí la chiave e il motore si accese. Ero abbastanza preoccupata. Abbracciai la sua vita saldamente e mi strinsi forte a lui.
La moto partí a tutta velocità. Per un attimo chiusi gli occhi, poi cominciai ad abituarmi. Quando non ebbi piú paura, mi accorsi che per tenermi salda avevo appoggiato la testa sulla sua spalla. Mi staccai subito.
Successivamente la mia attenzione passó sulle mie mani. Il contatto con il suo corpo saldo le faceva tremare. Cercai di controllarmi. Era difficile. Era tanto che non mi succedeva, cercai di pensare all' Anna che ero prima. Ma nonostante questo, non riuscivo a smettere di provare brividi lungo la schiena.
" Ci sono abituato" aveva detto. Era abituato agli urli delle ragazze, o alle ragazze sulle moto? Magari ne portava una al giorno, o di piú. Ero una come le altre. Pensai a tutte quelle che si erano sedute al mio posto e che magari abbracciavano Gabriele illudendosi di essere speciali. E poi, di certo mi stava portando a casa perché aveva provato pena a vedermi mezza morta su un prato.
Improvvisamente il suo comportamento mi fece schifo.
— Quante ragazze hai avuto? — grugnii.
Lui si voltò brevemente verso di me. Mi guardó confuso.
— Guarda la strada! — sbraitai.
Silenzio.
Capii di non essergli stata abbastanza grata per quello che aveva fatto per me quella notte.
— Scusa— mormorai — sono agitata.
— Ti capisco.
Poi fece una breve risata e il suo tono di voce tornó quello presuntuoso e seducente di sempre.
— Comunque non so quante ragazze ho avuto, di sicuro non si possono contare sulle dita di una mano.
— Questo mi basta — urlai.
Eravamo costretti ad alzare la voce per sovrastare il rombo del motore.
La sua vicinanza mi metteva a disagio e le mie mani continuavano a tremare.
— Ti interessava cosí tanto? — domandó con una punta di divertimento nella voce.
— Abbastanza — dissi ironica. Ma il problema era che non ero affatto ironica.
— Quanto manca? — chiesi.
Non ce la facevo piú a stare cosí vicina a lui e volevo il mio letto.
— Siamo quasi arrivati.
— Grazie mille.
— Allora, hai fratelli o sorelle?
— No, tu?
— Sí, un fratello minore. Si chiama Fabian. Fidanzato?
— No, tu? — la voce mi tremó un po' e probabilmente lui se ne accorse.
— Preferisco non parlarne.
Gli fui grata di quella risposta, anche se capii che mi teneva nascosto qualcosa, altrimenti sarebbe bastato un semplice "no".
— Quindi dove vivi?
— Vicino a Venezia.
— Amo Venezia.
— É molto incasinata. Tu sei di qui, giusto?
— Sí..
— E avrai i tuoi giri, le tue amicizie, la tua casetta, la tua ragazza — pronunciai l'ultima parola con una punta di amarezza — Insomma, cose di cui io non potró mai fare parte — dissi piú a me che a lui, infatti non mi aspettavo una risposta.
Lui cadde in silenzio. Probabilmente la pensava come me, anzi, non voleva che io entrassi a far parte dei suoi giri.
— Siamo arrivati — disse poi in maniera piuttosto dolce.

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