PROLOGO




La casa di Carey Stone sembrava sul punto di esplodere.

L'orda di adolescenti festanti si scandagliava dal grande portico davanti l'abitazione, fino all'interno.

Accostai la macchina sul vialetto, inserendo il freno a mano con più forza del necessario.

Uscii fuori dalla vettura senza neanche darmi un'ultima occhiata.

Una volta superata la graziosa staccionata bianca il terreno prese a tremare sotto i colpi della musica sparata a palla dai diversi amplificatori sparpagliati per la casa.

Gettai un'occhiata svogliata ai piccoli gruppi di ragazzi disseminati per il giardino.

Quasi tutti avevano in mano un grosso bicchiere rosso che sicuramente non conteneva acqua o bibite a base di caffeina.

Dalle facce di molti intuii che quello doveva essere sicuramente almeno il terzo giro.

Schivai una coppietta avvinghiata lungo gli scalini del portico, non prima di avergli scoccato un'occhiata sdegnata.

Perché non si cercavano una camera?!

Quella casa ne aveva almeno otto a disposizione.

Solitamente non avrei fatto caso a certe cose, non era certo una novità per una festa movimentata come quella.

Ma non era una giornata buona. Per niente.

Non appena varcai la soglia scoprii che la situazione dentro non era di certo migliore.

Dovevano esserci almeno un centinaio di persone, molte delle quali avevano deciso di evitare i due giardini esterni per assieparsi nei locali interni.

«Ehi Laurel.»

Mi salutò un ragazzo sollevando il bicchiere in mia direzione.

«Ehi» dissi di rimando senza aggiungere il nome. Non me lo ricordavo proprio.

Ma anche quella, non era una novità.

Tenere a mente i nomi di tutta la Weirst High School era impossibile.

Il ragazzo si avvicinò traballando leggermente sulle gambe.

«Dov'è Jason?» domandò guardandosi intorno alla ricerca di questo.

Mi accigliai sforzandomi per non digrignare i denti. «Non ne ho idea» ribattei secca. «Sono venuta da sola!»

Il ragazzo spalancò gli occhi poi si lasciò andare ad una risata. «Guai in paradiso?»

«Quale Paradiso?!»

Lo superai scocciata da quella conversazione tanto quanto dalla menzione di Jason.

Mi immisi nuovamente tra la fiumana di gente scherzosa e rumorosa.

Nel salotto il volume della musica triplicava quello delle altre stanze, alcune ragazze erano salite su dei tavolini muovendosi al ritmo di una canzone della Minaj.

Non mi soffermai neanche un secondo in quella bolgia.

L'ultima cosa che volevo era incontrare qualcun altro che potesse imbandire una conversazione su me e Jason.

Per fortuna il giardino sul retro era più tranquillo.

Non che non fosse affollato, ma quanto meno lì la musica non era così forte e lo spazio era sufficiente per contenere tutti senza che ci ammassassimo.

«Laurel.»

Mi voltai intercettando la mano di Meredith svolazzare in aria per farmi segno.

Lei ed Amy se ne stavano accanto alla piscina sorridendo in mia direzione.

Le raggiunsi provando a nascondere l'espressione funerea ma fallendo miseramente.

«Ciao.»

L'espressione di Meredith si accigliò. «Che faccia.»

Sospirai annuendo. «Lo so.»

Se non ero stata in grado di nasconderla, figurarsi provare a mentire al riguardo.

«Cosa è successo?» domandò Amy facendosi perplessa. «E dov'e Jason?»

Perché erano tutti così ansiosi di farmi quella domanda?

«Non lo so e non mi interessa» tagliai corto incupendomi ulteriormente.

Le mie amiche si scambiarono un'occhiata dubbiosa.

«Oh no, di nuovo» esclamò Meredith riavviandosi i capelli rossi. «Vi siete lasciati un'altra volta?»

Evitai i loro sguardi intercettando invece un ragazzino del primo anno con due grossi bicchieri in mano.

Ne afferrai uno mentre mi sfilava accanto.

Non mi premurai nemmeno di scoprire cosa ci fosse dentro, trangugiando tutto d'un sorso.

Con la coda dell'occhio vidi la matricola strabuzzare gli occhi.

Non avrebbe mai avuto il coraggio di ridire qualcosa.

Dopotutto lui era una matricola ed io, ero io.

Un fischio sommesso partì alle nostre spalle. «Vacci piano Vane. Se ti fai trovare ubriaca da Nathan le cose non si metteranno bene.»

A parlare era stato Sean Dorty, compagno di squadra di mio fratello.

Mi lanciò un'occhiata divertita a cui risposi con una scocciata.

«Fanculo pure lui» sbottai.

Non avevo ne la voglia ne la forza per preoccuparmi della furia di Nathan o dei commenti dei suoi amichetti.

Sventolai il bicchiere davanti il volto critico di Meredith e quello basito di Amy.

«Dove ne posso trovare un altro?»

Meredith inarcò un sopracciglio incrociando le braccia sul petto. «Sai che a questa festa c'è pure tuo fratello, vero?»

Le regalai un'occhiata priva di interesse. «E allora?»

«E allora, Sean ha ragione. Si incazzerà parecchio.»

Scrollai le spalle. «Basterà che tu lo trascini in una delle camere a disposizione» conclusi con tono pratico.

«Adesso sono diventata la tua cortigiana?»

Amy ridacchiò. «Come se ti dispiacesse.»

Sorrisi a mia volta mentre Meredith ci scagliava contro occhiatine poco amichevoli.

«Comunque non scherzavo» precisai tornando a rabbuiarmi. «Ho bisogno di altro alcol. Vado a vedere se in cucina è rimasto qualcosa.»

Prima che una delle due potesse provare a fermarmi feci velocemente marcia indietro.

La cucina era il caos più completo.

Bicchieri e patatine erano ovunque, insieme ad altre cose non ben identificabili.

Al mio passaggio alcuni ragazzi mi salutarono, altri si limitarono ad un cenno, ma fortunatamente nessuno pensò di fermarmi per far domande su Jason.

Quel coglione.

Avrei voluto strozzarlo con le mie stesse mani.

La nostra ultima rappacificazione era durata meno di un mese.

Sapevo che non avrei dovuto cedere e tornare con lui per la millesima volta.

Certo, agli occhi degli altri potevamo anche sembrare la coppia perfetta.

Lui capitano di football, io delle cheerleaders.

Lo stereotipo americano per eccellenza.

Ciò nonostante, eravamo incompatibili.

Se ci avessi fatto i conti qualche mese prima, forse avrei evitato di guastarmi quella giornata e mi sarei persino potuta godere la festa.

Invece gli avevo permesso di fregarmi un'altra volta. Ma sarebbe stata l'ultima.

Scandagliai rapidamente le varie bottiglie disposte sul piano in marmo.

Molte erano già vuote.

Ne afferrai una di vodka ancora piena per metà.

Me ne versai un'abbondante dose nel bicchiere.

Quella sera sarebbe stata la mia migliore amica.

Dei passi alle mie spalle mi avvisarono dell'arrivo di qualcuno.

Continuai a sorseggiare il liquore senza voltarmi.

Speravo solo non si trattasse di Nathan o di Jason.

«Laurel Vane che si dà ai super alcolici.»

Oh no, era anche peggio di quello che pensassi.

Mi voltai lentamente, i peli ritti come quelli di un gatto pronto a balzare.

Nick Evans se ne stava davanti a me con un sorrisetto strafottente stampato su quella faccia da schiaffi.

Alto un metro e ottanta o anche più, capelli neri come l'ebano ed occhi grigi come il metallo.

Ala destra della squadra di Basket, nonché migliore amico del mio fratellino.

Era il sogno erotico della stragrande maggioranza delle ragazze della Weirst High, nonché il mio più grande incubo.

Ci conoscevamo sin da bambini ma con il passare degli anni avevamo finito per odiarci.

Non si poteva mai dire come sarebbe finita quando io e Nick ci trovavamo nella stessa stanza.

Il ghigno sulle sue labbra si intensificò. «Questa si che è una sorpresa. Credevo bevessi solo champagne costoso.»

Il suo sarcasmo mi diede sui nervi anche più del solito.

«Evapora, Nick» sibilai asciutta tornando a bere dal bicchiere.

«L'ultima volta che ho controllato, questo era un paese libero.»

«Ed io sono libera di mandarti a fanculo.»

«Linguaggio, Vane» mi riprese con scherno. «So che i tuoi genitori ti hanno insegnato ad esprimerti meglio di così.»

Serrai i pugni, al limite della sopportazione, ma anziché rispondere tornai a calare un altro sorso di Vodka.

«Hai intenzione di lasciarne un po' anche per il resto degli invitati?»

«E tu hai intenzione di continuare a startene qui a sparare cazzate non richieste?»

Avremmo potuto continuare all'infinito, peccato non ne avessi per niente voglia.

La giornata mi aveva provato abbastanza senza che ci si mettesse pure il saccente sarcasmo di Nick Evans.

Nick sfoggiò il suo miglior sorriso compiaciuto. «In realtà, direi che potrei farlo. Si.»

Mi voltai del tutto fronteggiandolo a viso aperto. «Perfetto. Chiedimi pure che fine abbia fatto Jason, a che ci sei. Sarai il fortunato numero tre» sbottai con stizza.

Le sue sopracciglia si arcuarono in una perfetta espressione sorpresa. «Perché dovrei domandarti dov'è il tuo lacchè?! L'ho appena visto nell'altra stanza.»

Strabuzzai gli occhi rischiando di soffocare con l'ultimo sorso ingerito.

«Jason è qui?» domandai stupita.

Speravo vivamente che si trattasse di un altro dei suoi trucchetti per mettere a dura prova i miei nervi.

Ma la sua espressione rimase seria.

«Nell'altra stanza» tornò a ripetere poi mi rivolse un'occhiata scettica. «Devo dedurre che fossi tu a non sapere dove si trovasse.»

Mi studiò per qualche momento come se cercasse la risposta che gli mancava per risolvere l'enigma.

«Fammi indovinare» proruppe dopo un istante. «Lo hai scaricato per l'ennesima volta.»

Ed ecco nuovamente quel fastidioso ghigno a curvargli le labbra.

«Non sono affari tuoi» replicai assottigliando lo sguardo.

Si strinse nelle spalle con noncuranza. «Probabile. Ma la tua irritazione rende tutto più interessante. Cosa ha combinato questa volta? Si è rifiutato di mettere il guinzaglio per farsi scarrozzare a quattro zampe?»

Istintivamente feci un passo avanti minacciandolo con lo sguardo. «Ribadisco: non sono affari tuoi.»

Non sembrò neanche cogliere le mie parole, il mio piccolo movimento aveva calamitato il suo sguardo verso la scollatura del mio vestito.

Mi ritrassi finendo per cozzare contro il ripiano in marmo.

La cosa sembrò divertirlo. «Se non vuoi che gli altri ti guardino, non dovresti indossare completi del genere, ragazzina» sussurrò lascivo.

«Non l'ho certo indossato per attirare la tua di attenzione e non chiamarmi così » replicai di getto.

Odiavo quello stupido soprannome.

«Beh.» Mosse un passo in avanti costringendomi a spalmarmi contro il bancone per mantenere le distanze. «Direi che hai fallito, in tal caso.»

Si avvicinò ulteriormente rendendo vani i miei sforzi.

Il suo sguardo tornò a posarsi sui contorni della mia figura.

Sapevo che lo stava facendo per mettermi a disagio eppure percepii una scossa risalirmi lungo la spina dorsale davanti al suo sguardo bramoso.

Quando i suoi occhi risalirono sul mio viso, inarcò un sopracciglio con fare divertito in un muto "eh quindi?"

Forse ero uscita di senno, ma i miei ormoni sembravano impazziti.

Non potei fare a meno di soffermarmi ad osservare le sue labbra leggermente dischiuse e incurvate in quel mezzo sorrisetto tipico.

Avrei dovuto scostarlo e tornarmene in giardino dalle mie amiche.

Il giorno dopo avremmo ricominciato la nostra guerra.

Ma la notizia della presenza di Jason in quella stessa casa aveva cambiato le carte in tavola.

Si era presentato lì nonostante quello che era successo, molto probabilmente avrebbe concluso la serata con la nuova oca di turno.

E Nick era lì.

Davanti a me. A pochi centimetri di distanza.

La cosa non sembrava infastidirmi come al solito, anzi.

Jason l'avrebbe pagata ed io avrei smaltito la rabbia in un modo più sano e piacevole.

Mi spostai delicatamente dal ripiano, chiudendo del tutto la poca distanza che vi era fra noi.

L'espressione di Nick mutò, facendosi stupefatta.

Gli sorrisi provocante. «Allora andiamo?»

«Andiamo dove?» domandò sempre più critico.

Il mio sorriso si fece famelico. «Di sopra.»

La porta venne spalancata senza troppe cerimonie.

Fummo abbastanza fortunati da beccare una stanza ancora vuota.

Le labbra di Nick si schiantarono sulle mie ancor prima che la porta venisse richiusa.

Le mie mani corsero a sbottonargli la camicia mentre ricambiavo il bacio.

Era prepotente e per nulla delicato, ma era esattamente ciò di cui avevo bisogno.

In un istante venni sollevata da terra emettendo un gemito di sorpresa.

Sul suo sguardo era caduto un velo di pura brama che mi fece rabbrividire piacevolmente.

Tornai ad attaccare le sue labbra stringendo con forza i capelli corvini tra le mani.

Ringhiò nella mia bocca, graffiandomi il labbro con i denti e costringendomi così a dischiudere le labbra per far accedere la sua lingua.

Persino in un momento come quello stavamo lottando.

Per la supremazia.

Per la rabbia repressa che nutrivamo l'uno per l'altra.

E sicuramente, per riuscire a sovrastarci a vicenda.

«Non chiam-»

La sua bocca tornò sulla mia mettendo a tacere ogni protesta.

Ancora una volta le nostre labbra lottarono.

«Giuro che se lo racconti a qualcuno ti uccido» lo minacciai riavendo un breve sprazzo di lucidità.

La sua espressione tornò beffarda. «Credimi, è l'ultima cosa che voglio.»

«Bene» sentenziai . «Da domani torneremo ad odiarci, ma per il momento basta parlare.»


SPAZIO AUTRICE

Scavando nei meandri del pc, ho recuperato questa storia scritta un po' di tempo fa. Ha avuto bisogno solo di una piccola revisione, per il resto era praticamente pronta alla pubblicazione, con tutti i capitoli già finiti.

Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate.

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