Capitolo 7- UN GIOCO ALTERNATIVO


Il Natale era alle porte  ed ogni angolo di Lincolnville ne era un monito continuo.

Dalle strade innevate, ai locali commerciali addobbati di tutto punto.

Osservai con malcelato fastidio il piccolo babbo natale festante sul tavolino del Little Bistrot.

Solitamente adoravo quel localino, molto più intimo e meno caotico dell'unico Starbucks in città; si poteva gustare un'ottima cioccolata calda in inverno ed una varietà di gelato in estate.

Ma quel periodo dell'anno mi rendeva impossibile apprezzare qualunque cosa.

«Fa caldo qui dentro» mi lamentai tirando il colletto del maglione.

Meredith mi rivolse un'occhiata critica. «Ci saranno meno cinque gradi fuori. È normale che tengano il riscaldamento acceso.»

Sbuffai spazientita. «Beh è eccessivo.»

«Ecco le nostre cioccolate.» Amy posò tre tazze fumanti al centro del tavolo prima di iniziare a dividerle. «Vaniglia per Laurel. Variegato alla nocciola per Mer e» inspirò a fondo la fragranza dell'ultima tazza. «Cioccolato fondente per la sottoscritta.»

Arricciai il labbro in una smorfia di disgusto. «Come fai a bere quella robaccia?» domandai.

La mia amica si strinse nelle spalle mente tornava a sedersi dall'altra parte del tavolo. «Non lo so, mi piace.»

«La vita è già abbastanza amara per i miei gusti» conclusi soffiando verso la cioccolata fumante.

«Ed ecco a voi la versione bionda di Scrudge» esclamò Meredith indicandomi con entrambe le mani. 

Sollevai appena lo sguardo dalla mia tazza grugnendo con fastidio.

«Potresti ridurre il cinismo, almeno per le feste?» propose lei seppur con aria sconfitta in partenza.

«No» decretai regalandomi una piccola cucchiaiata della cioccolata ancora fumante. «Odio il Natale. Non posso farci nulla. Quando iniziano a togliere dalla naftalina addobbi e cori, mi viene una voglia incredibile di fare lo stesso con le croci e l'aglio.»

«Forse quelle dovremmo utilizzarle noi contro di te» borbottò Meredith facendo ridere Amy.

«Qualunque cosa mi risparmi il Natale, mi va benissimo» sentenziai tornando ad abbassare la tazza.

Le mie amiche si scambiarono un'occhiata.

«Non c'è nulla da fare» affermò Meredith. «Anche quest'anno dovremo convivere con il Grinch.»

Emisi uno sbuffo secco. «Anche voi rivalutereste tutta questa storia se al vostro ritorno a casa vi aspettasse un mega party organizzato dalla cara mammina.»

Le budella mi si attorcigliarono al solo pensiero di quello che avrei trovato mettendo piede a casa.

Scossi la testa. «E non è nemmeno la vigilia. Siamo appena al 22. Quasi quasi, rimpiango i giorni di scuola.»

«Non esagerare» protestò Amy.

«Anche quest'anno mega party per ricconi?» Meredith abbozzò un sorriso, ma in realtà sapevo quanto si sentisse a disagio.

Questo mi fece detestare doppiamente mia madre.

«Si» assentii palesemente scocciata. «Nathan non ti ha detto nulla?»

Dalle labbra di Meredith fuoriuscì una risata di scherno. «Vuoi scherzare? Portare la ragazza dei quartieri poveri ad una festa come quella? È fuori discussione» il tono disinvolto con cui proferì quelle parole non combaciava per nulla con lo sguardo pungente leggibile sul suo volto.

«I tuoi genitori sono degli onesti lavoratori» protestò Amy. «Non vivi sotto un ponte, non vendi il tuo corpo per pagarti una dose di droga e avete una casa di tutto rispetto dove stare. Che problema c'è?»

Meredith sorrise amaramente. «Per certe persone, questo non sembra sufficiente.»

«Dovete parlarne, una volta per tutte» sentenziai guardandola fissa negli occhi. «Questa storia è andata avanti anche per troppo tempo.»

«Credi che non lo sappia?» replicò lei frustrata. 

«E allora mettilo alle strette» sbottai battendo il palmo contro il ripiano.

Diversi clienti si voltarono a guardarmi costringendomi ad elargire un sorriso cordiale.

«Laurel ha ragione» commentò Amy. «Se non pretendi una storia alla luce del sole, le cose non cambieranno mai.»

Annuii con vigore supportando le parole di Amy.

«Prendi me e Nick, per esempio.»

Mi bloccai voltandosi a guardarla con uno scatto.

Amy sorrise con aria trasognata. «Da uno come lui non ti aspetteresti mai tanta trasparenza e invece, siamo molto felici.»

«Siete una coppia, ora?» domandai con voce stridula.

Meredith mi rivolse un'occhiata indagatrice e mi costrinsi a schiarirmi la voce fingendo che mi fosse andato di traverso un sorso di cioccolata.

«Beh, non ancora» chiarì la mia amica in tutta tranquillità. Il suo sorriso si fece più intenso. «Ma vi confesso che credo non manchi molto.»

La tazza rischiò di cadermi dalle mani. «Davvero?»

Meredith continuò a soppesarmi mentre io sentivo di sbiancare.

Amy annuì con entusiasmo. «Davvero. È sempre così premuroso. Quando non ci vediamo passiamo ore a massaggiare» sollevò le spalle in un movimento gioioso. «Chi poteva immaginarlo.»

Io no di certo.

Quando avevo chiesto a Nick di non spezzare il cuore di Amy, non avevo immaginato che le cose potessero andare diversamente.

Ero felice per la mia amica... giusto?

«Tutto bene, Lau?» mi domandò questa con aria vagamente preoccupata.

Mi riscossi dal mio antro di turbamento per far cenno di si con la testa. «Solo che probabilmente dovrei andare» sentenziai iniziando ad afferrare il cappotto e la sciarpa. «Mia madre andrà su tutte le furie se non torno in tempo per aiutarla.»

«Vuoi che ti accompagnamo?» 

«No no» replicai agitando una mano in aria. «Finite pure le vostre cioccolate. Faccio due passi.»

Mi sforzai di stamparmi un sorriso sul volto poi uscì dal locale nel modo più rapido possibile.

L'aria invernale mi sferzò il volto e respirai a pieni polmoni mentre alcuni fiocchi di neve si depositavano sul cappotto.

«Laurel. Aspetta.» Meredith uscì dal locale attraversando di corsa il marciapiede.

«Hai dimenticato questi» sentenziò porgendomi i guanti.

Sospirai. «Grazie.»

La mia amica annuì continuando a fissarmi. «C'è qualcosa che dovrei sapere?» domandò di getto cogliendomi impreparata. 

«Cosa?» replicai ritraendomi.

Il volto di Meredith rimase serio. «Ti conosco, Laurel. Quindi te lo chiederò un'altra volta: c'è qualcosa che dovrei sapere?»

Liberai una risatina leggermente tesa. «Certo che no.»

Meredith mi studiò per qualche altro istante infine sospirò. «Va bene» capitolò nonostante l'espressione non fosse mutata. «Torno dentro.»

Sollevai la mano per salutarla guardandola allontanarsi.

Quando la porta del locale si fu richiusa alle sue spalle, mi lasciai andare in un rantolo di disperazione.


«Laurel, sei tu?»

Roteai gli occhi liberandomi dalle scarpe ricoperte di neve. «Si, mamma.»

«Vieni in cucina, tesoro.»

Come se avessi avuto altra scelta. Mi trascinai verso l'altra stanza con lo stesso entusiasmo di chi percorre l'ultimo miglio.

«Wo» esclamai esterrefatta fermandomi sulla soglia e finendo quasi per urtare un uomo che portava un vassoio stracolmo di argenteria.

«Sono finita su un set cinematografico» mormorai guardandomi attorno basita.

Mia madre mi assestò un'occhiata critica. «Molto spiritosa. Ho fatto venire quelli del Catering con qualche ora di anticipo.»

Osservai le piccole formiche laboriose che correvano da un punto all'altro della cucina.

«Chiamiamolo pure "largo anticipo"» replicai scostandomi per evitare che il tizio con il carrello dei liquori mi finisse addosso.

Lanciai uno sguardo verso il salone; come previsto, della stanza che ricordavo era rimasto ben poco, adesso a fare da padroni erano inutili addobbi ed un albero talmente imponente da far concorrenza a quello di New York.

«Non tagliate troppo lo stelo delle rose» ordinò mia madre guardando male la donna che stava sistemando i fiori in un vaso.

Mi avvicinai con circospezione al frigorifero, spaventandomi che da un momento all'altro una delle renne di babbo natale potesse saltar fuori.

«Non credi di aver esagerato?» domandai trovando il frigorifero intasato da vassoi e vassoi di antipasti.

«Il resto lo porteranno in serata.»

«Il resto?» ripetei allibita. «Quanto cibo hai ordinato?»

Mia madre mi guardò con aria ovvia. «Ci saranno una cinquantina di persone. Non vorrai mica lasciarle digiune.»

Sollevai gli occhi al soffitto chiudendo bruscamente il frigorifero, tanto non avrei comunque potuto trovare nulla che non fosse destinato alla serata. «Perché non possiamo limitarci a celebrare il Natale in famiglia. Non siamo neanche alla vigilia» mi lamentai.

«Perché il party di Natale è una tradizione dei Vane e farla coincidere con la Vigilia rischierebbe di diminuire gli ospiti disponibili.»

Risi critica. «Ciò vorrebbe dire trenta persone anziché cinquanta?»

«Possibile che le feste ti rendano ancora più indisponente?» sbottò infastidita.

«Forse se festeggiassimo come una famiglia normale, riuscirei persino ad apprezzarle.»

«Oh, a proposito» esclamò ignorando deliberatamente le mie parole. «Ho invitato i Sanders.»

«Che cosa?» tuonai spalancando gli occhi.

Annuì con disinvoltura iniziando a tagliare i gambi dei fiori. «Purtroppo hanno dovuto rifiutare, sono già in partenza per Aspen. Che peccato.»

«Si, proprio un vero peccato» ribattei carica d'ironia.

Fece come se non mi avesse sentita. «Potevi andare con loro. Io e tuo padre non ci saremmo offesi.»

Era seria?

«Mamma» sibilai carica d'astio. «Io e Jason non stiamo più insieme. Te l'ho già detto.»

Abbassò la forbice per puntare il suo sguardo nel mio. «Sarebbe stata la scusa perfetta per una bella rappacificazione.»

Risi senza entusiasmo. «Certo, se ci trovassimo in una commedia francese.»

«Oh, Laurel» esalò immedesimandosi nella parte della gran donna di mondo. «Cosa ti avrà mai fatto di così drammatico? È andato a letto con qualcun altra? I ragazzi fanno queste cose, ma non vuol dire che non ti amasse.»

Vidi una delle donne del Catering voltarsi verso di lei.

Ecco, almeno non ero l'unica a rendersi conto della follia di Melinda Vane.

«Jason non mi ha tradita» ringhiai. «Lui...»

Mia madre mi guardò con superficialità, in attesa di una risposta che non le importava più di tanto.

«Lascia perdere» sentenziai prima di uscire dalla cucina.

***

«Benvenuti.» 

«Benvenuti.»

Avevo ripetuto quella parola al punto da aver perso il conto.

La famiglia Vane, al completo, se ne stava davanti la porta d'ingresso a ricevere gli ospiti come dei bravi padroni di casa.

Io e Nathan avevamo solo sei anni quando ci avevano indottrinato a quell'usanza.

Stretti nei nostri abiti d'occasione, con la mascella dolente per i sorrisi di cortesia stampati sulle labbra.

In dieci anni non era cambiato nulla.

Ed eccoci ancora una volta alla porta d'ingresso fingendo entusiasmo mentre accoglievamo i pezzi grossi della città.

«Quanti ne rimangono?» sussurrai in direzione di mio fratello.

«Un centinaio?» ipotizzò lui sfinito.

Davanti a noi, mia madre ci lanciò un'occhiata carica di ammonimento prima di passare a stringere la mano al nuovo ospite appena entrato.

«I tuoi figli sono proprio cresciuti, Thomas» asserì Desmond Carlisle, chirurgo al General Ospital di Seattle, faceva il suo ritorno nella città d'origine ogni anno.

Mi chiedevo che ci trovasse di così entusiasmante.

Mio padre sorrise dandogli una pacca sulla spalla. «Crescono loro e crescono i guai.»

Tutti scoppiarono a ridere ed io e Nathan li seguimmo con qualche secondo di ritardo.

«Non ce la faccio più» mi lamentai piegandomi verso Nathan. «Le scarpe mi stanno uccidendo.»

Abbassai lo sguardo sui tacchi che portavo ai piedi. 

Avrei volentieri ripiegato su qualcosa di più comodo, se solo mia madre non mi avesse imposto di indossare un Armani sagomato bianco con le spalline nere in pizzo.

«Non dirlo a me» borbottò mio fratello.

«Tu non hai i tacchi» protestai.

«Se nessuno parla della comodità dei mocassini, un motivo ci sarà.»

Sospirai sconfitta. «Evviva il Natale.»

«Thomas, Melinda. Buone feste.»

Sollevai la testa di scatto, riconoscendo il timbro di Anthony Evans.

«Tamara» salutò calorosamente mia madre piegandosi per poggiare un bacio sulla guancia della signora Evans, mentre mio padre stringeva la mano del marito.

Alle loro spalle, Nick si appoggiò allo stipite della porta con le mani in tasca.

Rischiai di avere un infarto.

Che diavolo ci faceva in casa mia?

Ero riuscita ad evitarlo durante l'ultima settima di scuola, ormai mi ero convinta che fino al rientro sarei stata apposto.

Tirai un lembo della manica di mio fratello. «Perché nessuno mi ha detto che sarebbero venuti anche gli Evans?»

Nathan mi rivolse un'occhiata tranquilla. «La mamma li invita ogni anno, ma questa è la prima volta che accettano.»

Sbuffai seccamente.

Figurarsi se mia madre si perdeva l'opportunità di ricevere in casa sua niente popò di meno che un giudice. Discendente diretto di una sequela infinita di membri della corte.

Gli Evans erano esattamente quelli che mia madre definiva "gli elitari".

«Nick» esclamò mio padre rendendogli la mano. «Da quanto tempo.»

«Signor Vane» ricambiò educatamente la stretta sfoggiando il suo miglior sorriso di circostanza.

Sembrava entusiasta tanto quanto me di trovarsi lì.

Bene. Almeno non sarebbe stato dell'umore per rompermi le scatole.

Il signor Evans si girò verso me e mio fratello.

Gli stessi occhi grigi di Nick, che per il resto aveva preso tutto dalla madre.

«Ragazzi» ci salutò prima di prodigarsi in un baciamano con me. «Laurel, sempre più incantevole. Tale e quale alla madre. Una vera bellezza.»

Sorrisi garbatamente trattenendomi dal lanciare un'occhiata a Nick per dire "vedi, prendi esempio."

«Sei sempre troppo buono, Anthony» cinguettò mia madre che, come prevedibile, aveva prestato attenzione solo alla parte di complimento che la riguardava.

«Ma prego accomodiamoci» incalzò mio padre iniziando a sospingere il signor Evans verso il salone. «Ti offro un whisky.»

Io e Nathan scattammo contemporaneamente in avanti, prendendo quelle parole come la fine del pubblico servizio davanti la porta.

Ma mia madre in un istante ci redarguì con un dito. «Voi due rimanete qua davanti. Assicuratevi che non arrivi nessun altro e chiudete la porta.»

«Ma mamma» protestò Nathan arrivando a tanto così dallo sbattere i piedi per terra come un bambino.

Nick sghignazzò ancora fermo contro lo stipite della porta.

«Tu e papà vi state allontanando. Anche noi vorremmo bere e mangiare qualcosa» asserii incrociando le braccia contro il petto.

L'espressione di mia madre rimase impassibile. «Finite di ricevere gli ospiti e poi potrete mangiare.»

Digrignai i denti. «Sai che fine fa fare Cenerentola alla matrigna?» domandai ostile, ma ormai era troppo lontana per sentirmi.

Nick continuò a ridere portandosi due dita contro la tempia per osservarci meglio. «Siete davvero un visione.»

«Sta zitto» borbottò Nathan guardando la porta con ostinazione.

Socchiusi gli occhi inspirando a pieni polmoni. 

Sarebbe stata una lunga serata.

Circa venti minuti dopo, mio padre venne a liberarci.

Ero piuttosto sicura che se non fesse stato per lui, mia madre ci avrebbe lasciato a fare le sentinelle per il resto della sera.

Scrutai con diffidenza le varie portate disposte lungo i tavoli da buffet.

Non c'era niente che mi appetisse, per non parlare della strana morsa che si era impossessata del mio stomaco da quando Nick era arrivato in casa.

Ogni volta che i miei occhi si posavano su di lui, nella mia testa partiva l'intero film dell'ultima notte trascorsa insieme, seguito repentinamente dal volto gioioso di Amy che decretava il loro imminente "fidanzamento".

Tutto ciò mi faceva sentire orribile.

Andare a letto, più di una volta, con la persona che più odi al mondo, è un conto.

Non riuscire a trattenere gli ormoni in sua presenza e scoprirsi vogliosa di mettergli le mani addosso continuamente, era un altro.

Fare e pensare tutto ciò, con quello che si supponeva essere il ragazzo di una delle tue migliori amiche, era un'altra storia.

Una talmente grande e complessa che neanche Dante ci avrebbe voluto metter mano.

Come se avesse sentito la direzione dei miei pensieri, Nick si voltò a guardarmi.

Se ne stava seduto contro la spalliera del divano a parlare con mio fratello e un altro piccolo gruppo di ragazzi.

I suoi occhi mi studiarono senza mezzi termini.

Mi girai bruscamente, decisa ad allontanarmi, finendo per cozzare contro qualcuno.

«Dove scappavi, Vane?» Trip Austen mi rivolse un sorriso divertito.

«Ovviamente fuggivo da te» lo schernii trovandomi a sorridere a mia volta.

«Così mi spezzi il cuore» replicò corrugando la fronte in una smorfia di dolore.

Lo spintonai ridendo. «Quando sei tornato?» domandai prima di farmi critica. «E soprattutto perché?»

«Sono arrivato ieri, per passare le vacanze natalizie qui, nel profondo Nord, con la mia famiglia. Non ci crederai, ma Yale ti fa sentire la mancanza di casa.»

Arricciai il naso. «No, credo che io non la sentirò» sentenziai.

Trip curvò le labbra in un sorriso divertito. «Ancora convinta di voler venire a studiare nella grande Alma Mater?»

Annuii. «Verrei anche subito per poter scappare da qui. Peccato mi manchino ancora due anni di  inferno» sospirai sconfitta.

«Il liceo non è poi così male» protestò sottraendo un bicchiere di champagne dal vassoio di un cameriere.

«Certo. E la muraglia cinese è solo un recinto.»

Scoppiò a ridere attirando diversi occhi su di noi.

Scossi la testa stancamente. «Almeno tu, avresti potuto passare queste feste altrove. Come ti è venuto in mente di tornare?»

«Scherzi?» esclamò sollevando il bicchiere. «Alcol e cibo gratis.»

Sorrisi caustica. «Come se non potessi permetterli.»

Annuì sardonico. «È vero. Ma il gusto del gratis, rimane il gusto del gratis. O lo hai dimenticato?»

«Non so a cosa ti riferisca» mentii spudoratamente, sottraendogli il bicchiere per berne un goccio.

Il sorriso di Trip si fece cospiratore. «Quindi, se ti dicessi Harmony Shop?» mi provocò.

«Risponderei che i loro prodotti non valevano tutti quei soldi e quindi che il furto è stato giustificato.»

Trip tornò a ridere di gusto ed io lo seguii.

«Ah, mi mancano quei tempi» sentenziò giulivo. «Adesso che sono legalmente perseguibile come adulto, non posso più divertirmi come una volta.»

«Cosa ci vuoi fare, la vecchiaia arriva per tutti» lo pungolai.

«Ma sentitela» mi beffeggiò. «Scommetto che anche tu hai perso molto del tuo smalto.»

Gli rivolsi un'occhiata offesa. «Neanche un po'!»

«Ah, davvero?» mi sfidò inarcando un sopracciglio.

Sorrisi con aria di superiorità. «Davvero.»

«Bene, e allora che mi dici di organizzare qualcosina?»

Spalancai gli occhi con stupore. «Qui?»

Trip annuì. «E ora?»

Lo guardai con espressione dubbiosa. «E sentiamo, cosa vorresti fare?»



«Che cosa?» sbraitò Nathan.

«Shh» lo ammonii guardandomi attorno.

Eravamo circondati dal tipo di persona che non avrebbe apprezzato la proposta appena avanzata.

Non che mio fratello l'avesse presa meglio.

Avevo appena fatto in tempo a comunicargli la proposta di Trip e cinque secondi dopo aveva già dato in escandescenza.

«Siete impazziti?» insisté facendo scorrere lo sguardo da me a Trip.

«Eddai, Vane» replicò quest'ultimo. «È una partita a strip poker, non una rapina in banca.»

«Ti facevo più tipo dalla seconda» asserì Nick derisorio.

Trip sorrise furbamente. «Ci accontentiamo di quello che abbiamo.»

«Non esiste» sentenziò Nathan provando ad allontanarsi.

«Andiamo» protestai fermandolo per un braccio. «Questa serata non potrebbe essere più noiosa. Se ascolto altri due minuti il signor Tyrell parlare del Vietnam, giuro che mi pianto una forchetta nella giugulare.»

«Per me va bene» sentenziò Davon.

«Volete scherzare?» ribatté mio fratello fulminandoci con lo sguardo.

«Disse quello che ha fatto una cosa a tre» lo accusai.

Colpito e affondato.

La sua espressione si fece contrita. «È diverso.»

«Hai ragione. Questo è nulla a confronto.»

Scosse la testa. «No, non voglio vederti in intimo, o peggio ancora nuda. E non voglio che lo facciano neanche questi qui» sentenziò facendo scorrere il dito verso gli altri tre.

Sentii gli occhi di Nick su di me e seppi esattamente che pensieri gli stavano passando per la mente.

«Ok, allora facciamo che si rimane in intimo» propose Trip, diplomatico come sempre.

Nathan lo soppesò per qualche momento.

«Dai» insistetti tirandogli la manica.

«Tu che dici?» domandò rivolgendosi verso Nick.

Questo gli riservò un'espressione disinvolta. «Non ho mai avuto problemi a farmi vedere in boxer.»

Roteai gli occhi mentre Trip se la rideva.

«Ben detto amico.»

Nathan sospirò. «Diciamo, per ipotesi, che accettassi. Dove hai intenzione di giocare?»

Un sorriso soddisfatto mi incurvò le labbra.

«Quand'è stata l'ultima volta che avete utilizzato questo posto?» domandò Davon aggirandosi nella dependance come un animale curioso.

Strinsi le spalle con noncuranza. «La mamma si é messa in testa di volerla ristrutturare, da allora è totalmente abbandonata a se stessa.»

«Questo è tutto quello che ci serve» decretò Trip battendo il pugno contro il tavolino in vetro.

«Qui ci sono le carte» borbottò Nathan entrando in quel momento.

Il cipiglio sul suo volto era una chiara conferma di quanto poco gradisse quella storia.

Gliele tolsi di mano guardandolo torva. «Potresti almeno fingere un po' d'entusiasmo?» 

Arricciò le labbra in una smorfia di fastidio. «Non vedo perché non possiamo giocare con la formula classica.»

«Guarda che io non ho problemi ad andare oltre la biancheria intima» scherzò Trip avvicinando alcune sedie al tavolo rotondo.

La faccia di Nathan si incupì ulteriormente. «Intendevo la variante con i soldi.»

Trip mi lanciò un'occhiatina divertita.

«Non ho intenzione di puntare soldi» replicai secca.

Nick sollevò lo sguardo su di me mentre il ghigno di fabbrica gli incurvava le labbra. «Paura di perdere?»

«Terribilmente» assentii prendendo posto. «Nulla in contrario se smazzo io?» domandai con una faccia ingenua.

Gli altri si guardarono a vicenda prima di stringersi nelle spalle.

«Fai pure» sentenziò Trip.

Un sorriso furbo si affacciò sulle mie labbra. «Perfetto.»

Iniziai a rimescolare le carta nel modo classico. Poi le stesi lungo il tavolo in in un'unica linea riprendendole tra le mani rapidamente.

Le rigirai fermandole con quattro dita per poi smezzare facendole richiudere a cascata.

Gli altri mi osservarono esterrefatti.

Persino Nick non riuscì a celare tutto il suo stupore.

«Dove diamine hai imparato?» esclamò Davon continuando a seguire i rapidi movimenti delle mie mani.

Sorrisi soddisfatta. «I ritiri per cheerleader insegnano pur qualcosa. A stare rinchiuse in un hotel con altre trecento ragazze, incontri gente di ogni tipo.»

«In questo caso si trattava di un giocatore d'azza?» ironizzò Trip sollevando un sopracciglio.

«Quasi» replicai misteriosa iniziando a dividere le carte.

Dal capo opposto del tavolo Nick mi lanciò un'occhiata che non riuscii a decifrare del tutto.

Mi sembrò di cogliere una sfumatura di desiderio ma preferii tornare a concentrarmi sulle carte.

«Bene signori» annunciò Trip raccogliendo le sue carte tra le mani. «Vediamo di non farci spogliare, letteralmente, dalla signorina qui presente. Buona partita a tutti.»

Il primo giro fu veloce e indolore, o almeno per me.

Con un full costrinsi Davon a togliersi le scarpe.

Con la scala Nathan si tolse la maglietta e Trip ripiegò direttamente sui pantaloni.

«Full» esclamai trionfante abbassando le mie carte.

«Forse dovremmo sopprimerla» sentenziò Trip gettando le sue con noncuranza.

«Ridimmelo tra un paio di minuti e potrei starci» bofonchiò Nathan mostrando il suo misero punteggio.

Stavo quasi per cantar vittoria quando Nick girò la sua mano.

«Poker.» Il sorrisetto sul suo volto la diceva lunga su quanto stesse godendo di quel momento.

«Beccati questa» gridò Davon saltando su dalla sedia.

Corrugai leggermente la fronte non riuscendo a mascherare il mio fastidio.

«Te la sei cercata» asserì Nathan.

Mi faceva piacere che vedermi umiliata gli facesse rivalutare la bontà di quel gioco.

«Cosa mi devo togliere?» sbottai cupa. 

Nick mi lanciò un'occhiata allusiva. «Sorprendici.»

Solo io riuscii a leggere la sfumatura caustica nel suo tono.

Iniziai a slacciare il cinturino delle scarpe, quando Trip sbuffò.

«Davvero vuoi essere così banale, Vane?»

«Anche Davon si è tolto le scarpe.»

«Ed ora sono praticamente in mutande» borbottò.

«Banale» insistette Trip.

Inarcai un sopracciglio con sfida per poi alzarmi e tirare giù la zip del vestito. Questo mi scivolò fino ai piedi lasciandomi nell'intimo di pizzo nero.

Istintivamente il mio sguardo corse su Nick.

La sua mascella si era irrigidita e per quanto provasse a non darlo a vedere, i suoi occhi mi stavano divorando.

Non avevo bisogno di abbassare lo sguardo sul cavallo dei pantaloni per comprovare lo stato d'eccitazione.

Un fischio sommesso mi costrinse a cambiare la direzione dello sguardo.

Trip mi osservava senza alcun pudore. «Però, sono cresciute dall'ultima volta che le ho viste.»

«L'ultima volta?» proruppe Nathan.

Fulminai trip con un'occhiataccia.

«Che c'è?» replicò lui stupito. «Non pensavo fosse un segreto di stato.»

«Di cosa stai parlando?» sibilò Nathan.

Oddio. 

Improvvisamente mi sentivo un animale allo zoo con i turisti che picchiettano sul vetro della gabbia per ottenere una reazione.

«Di niente» replicai.

«Non sembrerebbe» sentenziò Nick asciutto.

Le sue iridi si erano fatte fredde come il ghiaccio.

E adesso perché stava reagendo così?

Nathan sembrava pronto ad esplodere mentre Nick lanciava stilettate al posto di occhiate.

Solo Davon pareva godersi la scena come se fosse al cinema.

«Amico, non è successo praticamente nulla» ribatté Trip in tutta tranquillità. «Un po' di petting innocente. Non siamo mai andati oltre.»

Mi schermai il volto con una mano mentre sentivo anche l'ultimo briciolo di compostezza staccarsi dalla pelle e fuggire lontano.

«Innocente» ripeté Nathan su tutte le furie.

Si scostò bruscamente dalla sedia facendola stridere a terra. «Il gioco è finito» decretò marciando velocemente verso la porta.

«Nathan» lo richiamai sussultando quando fece sbattere la porta a vetri.

Il silenzio calò nella stanza.

«Forse non dovevo dirlo» rifletté Trip dopo qualche secondo.

«Credi?» sbraitai guardandolo male.

«Scusami, piccola. Ma mi è scappato vedendole ancora» spiegò indicando il mio petto con ampi gesti.

«Abbiamo capito» taglio corto Nick assottigliando lo sguardo verso di lui.

Davon si alzò lentamente. «Vado a cercare Nathan.»

Annuii senza trovare nulla da aggiungere.

Trip tamburellò tranquillamente con le dita contro il tavolo. «Che situazione imbarazzante» concluse sollevandosi. 

Mi si avvicinò sorridendo accattivante. «Credi sia il momento sbagliato per chiederti di concludere quel conto in sospeso?» domandò allusivo.

Un'altra sedia stridette contro il pavimento. «Rivestiti» mi ordinò Nick con un tono che non sembrava voler ammettere repliche. «E tu sparisci» aggiunse puntando il proprio sguardo in quello di Trip.

«Però. Siete tutti nervosetti» constatò senza scomporsi.

Tornò a guardarmi come se attendesse una mia risposta. «Come non detto» capitolò davanti al mio silenzio. 

Con tutta tranquillità si avviò fuori dalla porta fischiettando.

L'aria si era fatta pesante, mi sembrava quasi di poter soffocare.

Mi abbassai per recuperare il vestito sistemandomelo velocemente.

Nick continuava a fissarmi dal capo opposto della stanza.

«Trip Austen, sul serio?» domandò tagliente.

Roteai gli occhi mentre facevo scorrere su la cerniera. «Vuoi farmi la predica. Sul serio?» gli feci eco piccata.

La sua espressione era dura e scontrosa, una maschera perfetta di una rabbia gelida.

«È successo prima o dopo che...»

«Che mi portassi a letto per la prima volta?» terminai per lui scoccandogli un'occhiata caustica. «E sappiamo perfettamente che non mi sto riferendo alle scopate più recenti.»

Nick irrigidì la mascella mentre il suo sguardo si faceva pungente ma non osò aprir bocca.

Scossi la testa ridendo cupamente. «Dopo» dichiarai.

Raggiunsi la porta soffermandomi per scoccargli un'ultima occhiata. «Sta tranquillo. Il tuo ego è salvo. Puoi ancora dire di aver piantato per primo la bandierina.»

Uscii dalla stanza sbattendo la porta con un tonfo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top