Capitolo 16- Tu dove sei?


Non ero riuscita a chiudere occhio per tutta la notte.
Dopo essermi ripresa dalla piccola crisi isterica avuta non appena Nick aveva messo piede fuori dalla porta, mi ero trascinata fino alla mia stanza, dove ero rimasta per il resto della giornata.
Il pomeriggio era diventato sera e la sera notte prima di cedere il posto all'alba di un nuovo giorno.
Ricontrollai il cellulare nella vana speranza di trovare un messaggio di Amy.
Ma ovviamente nulla.
Sospirai girandomi nel letto e rannicchiandomi su me stessa.
Forse sarebbe stato meglio se fossi rimasta a casa.
Affrontare una giornata di scuola in quello stato non era proprio il massimo.
Ma quello avrebbe significato un'altra giornata senza alcuna notizia di Amy.
Seppur le probabilità che si presentasse a scuola fossero poche, valeva la pena tentare.
Scostai le coperte con un gesto deciso mettendomi in piedi.
Strisciai fino al gabinetto al di fuori della mia stanza.
Avevo assolutamente bisogno di una doccia e per quanto avrei preferito rimanere chiusa nel mio antro fino a quando non fosse stato strettamente necessario emergere, il gabinettino privato non aveva la doccia e quella non era un'opzione.
«Che faccia» commentò Nathan uscendo dal bagno. I suoi occhi mi studiarono attentamente. «Allora stai davvero male, non era una scusa per sfuggire al cocktail party.»
Corrugai la fronte palesemente confusa. «Come?» replicai incerta.
In quel momento nella mia mente vi era una densa coltre nebbiosa che mi rendeva impossibile concentrarmi su qualunque cosa.
Nathan mi guardò critico. «Hai presente, il cocktail party da Durmont?! Quello che ieri hai saltato grazie alla carta "esci di prigione" che voi ragazze chiamate ciclo.»
«Ah si» affermai con aria vuota.
L'espressione di Nathan si fece ancora più indagatrice. «Non hai neanche provato a ribattere a tono» constatò come fosse un medico che appunta i sintomi dei pazienti. «Sorellina, sembri davvero uno straccio. Sicura di voler venire a scuola?»
Annuii meccanicamente. «Devo.»
Nathan si scostò dalla porta permettendomi di passare senza investigare oltre.
«Ah Laurel» mi richiamò prima che potessi richiudere la porta del tutto. «Hai notizie di Amy?»
Mi paralizzai serrando maggiormente la presa intorno alla porta. «Amy?» ripetei provando a tenere la voce ferma.
Nathan annuì. «Si, le avevo chiesto di passare ieri, per venire a vedere come stavi. Ma non mi ha più risposto. Strano, non credi?»
I miei livelli di paranoia schizzarono al massimo mentre i miei occhi studiavano il volto di mio fratello alla ricerca di qualche indizio che anche lui sapesse.
Che Amy lo avesse avvisato in preda alla rabbia del momento?
D'accordo, sapevo che la mente stanca rendeva più vigili e sospettosi, ma quello era troppo persino per me.
Sospirai lievemente rendendomi conto che la preoccupazione di Nathan era più che sincera.
«Si» conclusi tornando a chiudere la porta. «Molto strano.»
Il getto caldo dell'acqua sulla pelle ebbe un effetto lenitivo per i muscoli tesi, ma non riuscì altrettanto bene con la mia mente.
Le immagini dell'espressione sconvolta di Amy riaffacciavano prepotentemente ogni volta che mi permettevo di rilassarmi per qualche secondo.
Le sue parole rabbiose vorticavano nelle mie orecchie ripetendosi in un loop senza fine.
Sapevo che l'unico modo per esorcizzare quel fantasma avrei dovuto affrontarlo.
Il problema stava nella disponibilità di Amy.
Quando arrivai a scuola, iniziai a guardarmi intorno per cercarla.
Non notai nemmeno le altre persone facendo palesemente la parte della maleducata davanti ad i saluti non ricambiati.
«Cosa stiamo cercando?»
Dylan comparve al mio fianco guardandosi attorno con circospezione.
Gli lanciai appena un'occhiata prima di tornare a fendere con lo sguardo il corridoio affollato. «Amy» risposi non riuscendo a mascherare del tutto il nervosismo nella mia voce.
«Ok e perché sembri sul punto di esplodere?»
«Perché lo sono.» Inspirai a fondo voltandomi a guardarlo. «Ieri è venuta a casa mia per vedere come stavo e....»
Dylan inarcò le sopracciglia. «E?»
«Ha beccato me e Nick insieme.»
Sganciare una bomba avrebbe avuto un effetto meno catastrofico sulla psiche di Dylan.
«Vi ha visti mentre facevate sesso?» esclamò salendo con il tono di circa otto ottave.
«Shh» lo ammonii afferrandolo per un braccio e trascinandolo verso l'angolo. «Ci stavamo solo baciando» specificai.
Dylan si portò una mano al petto sospirando. «Meno male, per un attimo ho pensato il peggio.»
«Questo comunque non cambia niente» ribattei. «Ad Amy è bastato quel bacio per arrivare ad una conclusione più che ovvia. Ha accusato me e Nick di aver complottato alle sue spalle.» Scossi la testa esausta. «Avresti dovuto vedere la sua faccia, era distrutta.»
«Ma tu le hai spiegato come stanno davvero le cose?» replicò Dylan.
Emisi una risata caustica. «E non stanno esattamente come crede lei?»
L'espressione di Dylan si fece seria. «Questo devi dirmelo tu.»
Mi lanciò uno sguardo carico di sottintesi che non riuscii a comprendere fino in fondo.
Sapevo che il suo tono allusivo racchiudeva qualcosa di più.
La campanella della prima ora riempì l'aria aiutandomi ad uscire da quell'impasse.
«Se la vedi, avvisami» conclusi iniziando ad indietreggiare.
Dylan annuì mantenendo un'espressione pragmatica. «Contaci.»

***
Non riuscii a incrociare Amy in nessuna delle cinque ore successive.
Arrivata in mensa mi ero praticamente arresa.
Ma proprio nel momento in cui presi posto al tavolo con Meredith e la mia squadra, un paio di pon-pon atterrarono davanti il mio viso.
Non ebbi bisogno di sollevare gli occhi per sapere a chi appartenessero.
Alla fine era stata lei a trovare me.
«Questi puoi anche riprenderteli» affermò tagliente.
Lo sguardo dell'intera tavolata si puntò su di lei, in piedi davanti la mia sedia, le braccia incrociate e lo sguardo truce.
«Cosa significa?» domandò Stacia con aria perplessa.
«Esattamente quello che sembra» decretò. «Lascio la squadra.»
La confusione venne sostituita dallo sconcerto generale.
«Andiamo Amy» la esortò Dylan. «Non puoi fare sul serio.»
Per tutta risposta Amy incrociò le braccia sul petto. «Mai stata tanto seria in tutta la mia vita.»
Vidi Meredith lanciarmi una muta domanda dalla parte opposta del tavolo.
Nessuno riusciva a capire quello che stava succedendo, ma allo stesso modo nessuno sembrava voglioso di indagare davanti al tono scuro di Amy.
Alzai lo sguardo su di lei cercando di cogliere un barlume nel suo. «Amy...»
«No» scattò fermandomi sul nascere. «Non osare dire nulla, Laurel.»
A quel punto non avevamo più addosso solo gli occhi del resto del tavolo, l'intera mensa si era voltata a guardarci.
«Cosa sta succedendo?» Nathan comparve in quel momento un'espressione dubbiosa disegnata sul volto.
Alle sue spalle Davon e David ci guardavano alla ricerca di qualche indizio.
E poi vidi lui.
Nick sorpassò Nathan di qualche passo finendo in prima linea in quella guerra di sguardi.
«Amy» la chiamò puntandola con sguardo cupo. «Non fare così.»
Amy liberò una risata aspra. «Ed ecco il cavaliere senza macchia che viene in soccorso della bella.»
«Qualcuno mi spiega cosa succede?» esclamò Meredith lasciando passare lo sguardo su noi tre.
«Chiedi a loro» sentenziò Amy. Mosse un passo indietro indicandoci. «Chiedigli come ci hanno presi tutti in giro per tutto questo tempo.»
Mi sollevai facendo ricadere la sedia con un tonfo. «Andiamo a parlarne da un'altra parte» asserii.
Sentivo gli occhi di tutti puntati addosso e quello era l'ultimo dei modi in cui volevo affrontare quella discussione.
Amy mi scoccò un'occhiata truce. «Certo» replicò beffarda. «In modo da continuare a mandare avanti il vostro segretuccio per salvaguardare la tua faccia?» Scosse la testa mentre un sorriso perfido le curvava le labbra. «Devono sapere tutti.»
«Basta così» tagliò corto Nick irrigidendo la mascella.
Mi sentii sbiancare, un solo sguardo al volto di Amy mi fece capire che sarebbe andata fino in fondo.
Non importava cosa io e Nick avessimo detto o fatto, non si sarebbe fermata.
«Vorreste far capire pure a noi?» si intromise Nathan ancora fermo.
«No» ribatté Nick seccamente mentre nello stesso momento Amy esordiva con un: «Certo.»
«Stai esagerando» ringhiò Nick, le spalle tese per la tensione, gli occhi ridotti a due fessure.
«Per favore» boccheggiai io in direzione di quella che fino a meno di ventiquattro ore prima potevo ritenere mia amica.
Mi sentivo terribilmente in colpa per tutto quello che era successo.
Per aver agito alle sue spalle senza avere il coraggio di dirle per tempo come stavano le cose.
Ma non volevo che finisse così.
Non doveva finire così.
Amy emise una risata deliberata. «Risparmiatelo, Laurel» sentenziò duramente. Allargò le braccia con fare enfatico, gli occhi iniettati di rabbia a sottolineare come fosse tutto meno che lucida in quel momento. «Volete sapere perché Nick Evans mi ha lasciata senza troppe spiegazioni?» domandò rivolgendo lo sguardo a tutti e a nessuno in quella stanza.
Mi paralizzai mentre il mio cuore sembrava voler uscire dal petto.
Non avrei potuto fermarla. Era finita.
«Ovviamente è stato per un'altra, ma questo era prevedibile» il sorriso sul suo volto si fece più appuntito. «Quello che non era tanto prevedibile è che quella ragazza, fosse proprio la mia migliore amica.» Il suo dito svettò verso di me puntandomi come l'indice mosso verso una strega. «La qui presente reginetta della Weirst High: Laurel Vane.»
Il mio nome uscì dalle sue labbra come il sibilo di un serpente. Peccato che il tono non fu altrettanto basso.
Quell'accusa riecheggiò nella stanza lasciando ben poco al dubbio.
Sentii la testa svuotarsi mentre i brusii si levarono tutto intorno e gli occhi di tutti atterrarono su di me.
Davanti a me, Nick era impietrito.
Il suo sguardo era arreso, l'espressione carica di impotenza.
Un vassoio venne sbattuto prepotentemente contro uno dei tavoli. «Che cosa?» ringhiò Nathan.
Amy annuì rigidamente. «Lì ho beccati in casa vostra ieri, si stavano baciando e sono sicura che se non li avessi interrotti non si sarebbero limitati a quello.»
«Oh adesso sei anche un'indovina?» ribatté Nick liberando una risata caustica.
«È vero?» domandò Nathan asciutto puntando il suo sguardo nel mio.
Non ebbi il coraggio di dire niente.
Spostò lo sguardo su Nick. «Allora?»
L'espressione di Nick rimase impassibile. «Si.»
Mi sentii svuotare l'aria dai polmoni mentre vedevo la sorpresa lasciar il posto alla delusione e poi alla rabbia sul volto di mio fratello.
«Da quando?»
Nick scosse la testa sospirando. «Nathan..»
«Da quando» lo interruppe alterandosi.
Nick si voltò per fronteggiarlo. «Pensi che cambierebbe qualcosa se lo sapessi?»
Gli occhi di Nathan si strinsero in due fessure. «Come hai potuto? Come cazzo hai potuto?»
Sbattei una mano sul tavolo avvilita. «Basta» strillai perdendo anche l'ultimo briciolo di pazienza rimasto.
Stavamo dando uno spettacolo gratuito come se quello appena fornito non fosse sufficiente.
Nathan mi rivolse un'occhiata di fuoco. «Me ne vado» sentenziò voltandosi fulmineo.
«Nathan» gli corsi dietro provando a raggiungerlo.
«Lasciami stare, Laurel» sentenziò emergendo nel corridoio centrale.
«Vuoi fermarti?» urlai disperata.«Nathan.»
Non si degnò nemmeno di rispondermi, camminando a grandi falcate fino a scomparire verso il corridoio successivo.
Le porte della mensa si riaprirono alle mie spalle. «Dov'è andato?» domandò Meredith.
Socchiusi gli occhi sospirando. «Non ne ho idea.»
Il silenzio che aleggiò tra di noi fu tutto meno che confortante.
«Perché non mi hai detto nulla?» si informò improvvisamente.
Le rivolsi un'occhiata mesta. «Non lo so.»
Scosse la testa guardandomi risoluta. «Eppure ti ho dato mille modi per dirmelo. Te l'ho pure chiesto senza scendere nei dettagli, ma tu hai preferito negare e continuare a nasconderti. Perché, Laurel?»
«Pensavo non avresti capito.»
«Ed infatti non capisco» asserì con forza. «Non capisco come sia potuto succedere. Hai sempre detto di odiarlo, non riuscivi neanche a sopportarne la vicinanza. Era solo una tattica?»
«Certo che no» ribattei piccata.
Lo sguardo di Meredith si fece più intenso. «E allora cosa, Lau? Spiegami cosa mai ti abbia potuto spingere a fare una cosa del genere, a farla ad Amy.»
Emisi una risata secca ed incolore. «È esattamente per questo che non ti ho detto nulla.»
Me ne andai lasciandola li.
Non avevo bisogno di altri giudizi, occhiate o commenti.
Nessuno sembrava comunque interessato a sentire come fossero realmente andate le cose, erano solo vogliosi di puntare il dito.
Ne avevo avuto abbastanza.
Uscii nel parcheggio infilandomi nella mia auto.
Me ne fregavo delle lezioni, degli allenamenti e persino di una possibile punizione.
Volevo solo tornare a casa.

***

Avevo passato il resto della giornata barricata nella mia stanza.
Ad un certo punto i miei erano usciti fuori per cena e Nathan, dopo avermi accuratamente evitato come la peste, era uscito a sua volta.
Stavo concentrando tutta la mia attenzione sullo studio, nonostante dovessi rileggere circa cinque volte ogni paragrafo.
Lanciai la matita contro il libro passandomi le mani sul volto.
Ero distrutta, le ore di sonno mancate si stavano mischiando alla tensione accumulata durante tutta la giornata.
Forse era arrivato il momento per mandare al diavolo ogni cosa e provare a dormire.
Mi sollevai per risistemare i libri sulla scrivania, quando dal piano di sotto giunse il rumore del campanello.
Lanciai un'occhiata dubbiosa alla porta della mia stanza.
Per come erano andate le cose durante la giornata, poteva trattarsi di un gruppo di ragazzi venuti per una missione punitiva. Oppure direttamente l'intera città pronta a bruciarmi al rogo.
Decisi quindi di ignorarlo e perseguire i miei piani.
Altre due scampanellate si diffusero nell'aria.
Socchiusi gli occhi serrando la mascella.
La terza scampanellata arrivò con maggiore insistenza.
Chiunque fosse aveva deciso di attaccarsi al campanello.
«Maledizione» borbottai dirigendomi verso il piano di sotto.
Quasi sperai trattarsi di qualcuno venuto per litigare, almeno avrei sfogato i nervi repressi.
Il campanello continuò a trillare finché non aprii la porta con un unico scatto.
Non riuscii a nascondere un sussulto di sorpresa quando fui faccia a faccia con la persona oltre la porta.
Nick mi guardò fisso per qualche secondo. Non si poteva dire cosa gli passasse per la testa, l'espressione tormentata si era andata a miscelare con una punta di fastidio che lo portò ad irrigidire la mascella.
«Non mi avevi sentito le prime volte?» domandò scocciato mettendo subito in evidenza come non avesse voglia di scherzare.
Mi ripresi dallo stupore iniziale sostituendolo con un'aria vuota. «Avevo deciso di ignorare il campanello» ammisi semplicemente.
Lui non diede segno di avermi sentito. «Nathan è in casa?»
Inarcai le sopracciglia con fare scettico. «Per fortuna, no.»
Sospirò spazientito sollevando lo sguardo. «Non ho voglia di scherzare.»
«Beh, nemmeno io» ribattei incrociando le braccia contro il petto.«Se fosse stato qui non penso che sarebbe finita bene. Se non ti fosse ancora chiaro, al momento non siamo proprio in cima alla lista delle persone che vuole vedere. Figurati insieme.»
La sua espressione non si scompose. «Hai idea di dove sia andato?» domandò dimostrando di non aver recepito il messaggio, o forse, più semplicemente di non importarsene.
«Nick» lo richiamai costringendolo a concentrarsi su di me, per davvero. «Lascia stare, per favore.»
Il mio tono uscì più supplichevole di quanto non volessi, ma non riuscivo proprio a reggere altro dramma per la giornata.
«No che non lascio stare» sbottò piccato. «Non so quando lo capirai, ma questa non è mai una buona soluzione.»
Lo guardai critica sorvolando sulla frecciatina gratuita. «Oh, invece costringerlo ad affrontarti lo è?» lo provocai. «Cosa speri di ottenere se non un pugno in faccia?»
Emise una risata cupa che non aveva nulla a che vedere con la leggerezza. «Se questo dovesse aiutarlo a smaltire la rabbia, perché no.»
Scossi la testa stancamente. «Perché non vuoi proprio capire?»
«Io capisco benissimo Laurel» sentenziò con impeto. «Ho bisogno che anche lui faccia altrettanto, prima che questa cosa scoppi in una guerra.»
Lo guardai per qualche istante. «Forse già lo è.»
Annuì portandosi una mano tra i capelli. «Beh, ho bisogno di scoprirlo da me.»
Improvvisamente mi resi conto di quanto fosse stanco. Sotto la rabbia ed il nervosismo era possibile intravedere i segni di quella giornata.
Magari poteva essere consolante sapere di non essere la sola, ma non lo fu.
Vedere Nick scosso fino a quel punto non fece altro che indurire il mattone che si era posato sul mio stomaco.
«D'accordo» sentenziò iniziando ad indietreggiare. «Scusa per averti disturbato.»
«Dove vai?» domandai accigliandomi.
«Carey fa un barbecue a casa sua» spiegò prima di sollevare le spalle. «Probabilmente sarà lì.»
Strabuzzai gli occhi. «E tu hai intenzione di affrontarlo ad una festa?»
Curvò appena le labbra in quello che risultò essere un abbozzo poco convincente di un ghigno. «La presenza di molti testimoni magari lo indurrà ad evitare di uccidermi, non credi?»
«È una pessima idea» sentenziai esasperata.
«Possibile» confermò prima di tornare ad avviarsi verso la macchina.
Battei il piede per terra prima di capitolare: «Aspetta.»
Si voltò a guardarmi con fare dubbioso.
«Vengo con te» specificai afferrando velocemente una giacca per poi richiudere la porta.
Mi avviai verso la BMW ben consapevole del suo sguardo puntato su di me.
«Non avevi detto che era una pessima idea?»
«Infatti» affermai aprendo la portiera. «E qualcuno dovrà pur impedirvi di saltarvi al collo alla prima occasione buona.»
Mi accomodai sul sedile del passeggero senza aggiungere altro.
Ben consapevole di stare andando incontro ad un disastro annunciato.
Nick avviò la macchina senza guardarmi.
Per qualche minuto nessuno dei due parlò lasciando l'abitacolo in un silenzio disarmante.
Osservai la strada scorrere attraverso il finestrino, facendomi sempre più inquieta mano mano che ci avvicinavamo.
«Pensi sul serio che sia disposto ad ascoltarti?» domandai di punto in bianco.
«No» ammise. «Ma devo comunque provarci.»
Sospirai reclinando la testa contro il sedile. «Come siamo finiti a questo punto?»
Nick mantenne lo sguardo sulla strada. «Giocando con il fuoco di tanto in tanto capita di scottarsi.»
«E noi siamo finiti proprio dentro la pira.»
La macchina si fermò davanti il viale d'ingresso della casa di Carey.
Sorrisi amaramente. Eravamo esattamente dove tutta quella storia era iniziata.
Quanto sapeva essere crudelmente poetica la vita.
Nick tirò il freno a mano prima di volgersi verso di me. «Sicura che non preferisci aspettarmi qui?» domandò studiandomi attentamente.
Improvvisamente tutta la sua sicurezza sembrava essersi volatilizzata.
La cosa divertente era che la sua preoccupazione era tutta rivolta su di me.
Sorrisi caustica. «Quello che rischia di prendersi un pugno in faccia sei tu.»
Le sue labbra si curvarono appena. «Non è comunque uno spettacolo piacevole a cui assistere.»
Mi slacciai la cintura. «Sono responsabile di questa situazione tanto quanto te» affermai rivolgendogli un'occhiata risoluta. «Ricordi, devi avere un po' di fiducia e non trattarmi come una ragazzina.»
Inarcò un sopracciglio con aria scettica. «L'ultima volta non è finita proprio bene.»
«Andiamo» decretai aprendo la portiera ed emergendo all'esterno.
In giro non c'era la solita confusione; trattandosi di un barbecue, Carey non aveva esagerato con gli inviti.
Questo però, non impedì ad ogni persona che incrociammo sul nostro cammino di puntarci con gli occhi.
La voce si era diffusa talmente bene che adesso anche chi non era presente in mensa era venuto a saperlo.
Provai ad ignorare tutta quell'attenzione non richiesta continuando a seguire Nick attraverso le stanze alla ricerca di mio fratello.
Stavo giusto lanciando un'occhiataccia ad una tipa che bisbigliava qualcosa alla sua amica fissandomi, quando Nick mi scosse il braccio.
«Eccolo.»
Seduto nei divanetti del giardino sul retro, Nathan ci dava le spalle mentre parlava con altri ragazzi.
Nick ricominciò a camminare costringendomi a seguirlo.
Ora ero del tutto certa non essersi trattato di una buona idea.
Ma Nick sembrava implacabile.
Emergemmo nel giardino e subito fu come se un gigantesco faro si fosse puntato su di noi.
L'unico a non voltarsi nella nostra direzione fu proprio Nathan.
Continuò a sorseggiare dalla propria bottiglia di birra, mantenendo lo sguardo ben puntato sul barbecue.
Lentamente Davon si sollevò venendoci incontro con aria mesta. «Non è una buona idea» bisbigliò cogliendo le intenzioni di Nick e lanciando delle occhiate preoccupate al punto in cui si trovava mio fratello.
«Ottimo» sentenziò Nick con amara ironia. «Sei già la seconda persona che me lo fa presente, ora spostati.»
Davon provò a fermarlo per un braccio. «Nick, davvero, lascia perdere.»
Nick si scostò dalla sua presa con un gesto brusco avanzando per mettersi davanti al volto inespressivo di mio fratello.
Accanto a me Davon trattenne il respiro.
Io forse ero già entrata in apnea da quando avevamo messo piede lì fuori.
«Dobbiamo parlare» sentenziò Nick andando dritto al punto.
Gli occhi di Nathan scattarono su di lui, affilati come rasoi.«Non abbiamo niente da dirci» decretò asciutto.
Nick emise una risata scettica. «Allora facciamo che a parlare sarò solo io.»
«E cosa vorresti dirmi?» sbottò Nathan balzando in piedi. «Di come ti sei portato a letto mia sorella, è di questo che hai tanta voglia di parlarmi?»
Nessuno osò fiatare, qualcuno aveva persino spento la musica in modo tale da rendere ben udibili quelle parole.
Nick serrò la mascella continuando a sostenere lo sguardo furioso di Nathan. «Non qui» sibilò.
Nathan allargò le braccia con un gesto enfatico. «Perché no? Tanto lo sanno già tutti. Avresti dovuto preoccupartene prima.»
Provò a sorpassarlo ma la mano di Nick glielo impedì immobilizzandogli il braccio. «Se smettessi di fare lo stronzo e mi ascoltassi, te ne sarei grato» asserì con tono basso e vibrante.
Nathan scattò in avanti assestandogli una spinta in pieno petto. «Ti sembra che stia facendo lo stronzo, Evans?» urlò colto da un'ira cieca. «Ti aspettavi forse che venendo a scoprire che ti sei sbattuto mia sorella mi congratulassi con te?» aggiunse caustico. «Esattamente cosa ti aspettavi, che mi complimentassi o che ci scherzassimo su come per tutte le altre che ti sei ripassato?»
«Nathan» esclamai trovando finalmente il coraggio per farmi avanti. «Stai facendo una scenata, calmati.»
I suoi occhi volarono su di me con la potenza di un macigno. «Forse dovevi pensarci prima di aprire le gambe per lui.»
Fu come ricevere un pugno in piena faccia.
Come se quelle parole da sole non bastassero, la cattiveria nella sua voce compensò il resto.
«Nathan» lo richiamò Nick rabbioso, ma lui lo ignorò, ormai la sua più completa attenzione era proiettata su di me.
«Il mio migliore amico, Lau, sul serio?» mi provocò tagliente.
Assottigliai lo sguardo sentendo lo sgomento venir sostituito da un prepotente fastidio. «Finché sei tu a portarti a letto la mia migliore amica, va tutto bene però.»
Una risata dura fuoriuscì dalle sue labbra. «Io non volevo solo ripassarmela per far punteggio.»
Ebbi appena il tempo di incassare il colpo, che vidi Nick scattare in avanti afferrando Nathan per il collo della maglia.
«Non osare mai più parlare per conto mio» ringhiò. «E non osare mai più rivolgerti così a lei.»
Aveva perso anche l'ultimo barlume di calma, tremava per la rabbia come se si stesse trattenendo mentre il suo sguardo era puntato su Nathan carico di minaccia.
In un secondo Davon li raggiunse per dividerli, seguito tempestivamente da David.
«Basta così, ragazzi» sentenziò Davon iniziando a tirare Nathan da una parte prima che gli venisse in mente di reagire al gesto di Nick.
Mio fratello si dibatté provando a sottrarsi dalla presa dell'amico. «Se provi a mettere le tue mani addosso a me o a mia sorella, ancora una volta, giuro che te ne farò pentire, Evans» tuonò perdendo l'ultimo barlume di ragione.
Dall'altro lato, David si era posizionato davanti a Nick teso e pronto a scattare nuovamente.
Sentii il panico invadermi ed il mio cuore risuonare nelle orecchie.
Dovevo uscire da lì.
Era troppo.
Mi voltai iniziando a correre a perdifiato.
«Laurel» sentii qualcuno chiamarmi, ma lo ignorai.
Non mi fermai finché non raggiunsi la strada.
«Laurel.»
Questa volta riuscii a distinguere la voce.
Nick era fermo alle mie spalle.
Non trovai la forza per guardarlo nonostante i suoi occhi stessero bruciando su di me.
«È stata una pessima idea» mormorai stringendomi nelle braccia.
Lo sentii sospirare. «Lo so. Avevo sperato stupidamente che fosse disposto almeno a parlare.»
Scossi la testa. «Non mi riferisco a questo.»
Una folata di vento si sollevò scompigliandomi i capelli.
L'aria si era fatta improvvisamente elettrica, carica dei nostri respiri.
«A cosa allora?»
Socchiusi gli occhi inspirando a fondo. «Non importa» sentenziai.
In un secondo Nick mi fu accanto trattenendomi per un braccio e costringendomi a guardarlo.
Le sue iridi grigie brillavano cupamente. «Si, invece» asserì duramente. «Parla.»
«Tutta questa storia» sbottai sottraendomi alla sua presa. «Andare a letto insieme, è stato un colossale errore.»
La sua espressione si indurì. « A quale delle tante volte ti riferisci?» replicò piccato.
«Tutte» decretai esasperata. «Fin da quel capodanno.»
I suoi occhi si aprirono leggermente per la sorpresa poi un sorriso tagliente gli curvò gli angoli delle labbra. «Certo, torna pure a darmi la colpa.»
«Non ti sto dando la colpa. Mi sto prendendo la mia responsabilità» ribattei carica di frustrazione.
Il suo respiro si era fatto lento e pesante. «Non fare questi giochetti con me» sentenziò freddamente. «Di pure quello che vuoi dire. Sono stanco di girare sempre intorno a questo argomento.»
Distolsi lo sguardo. «Lascia perdere, Nick. Non è la serata giusta.»
Dalle sue labbra fuoriuscì una risata critica. «E non lo sarà mai per parlarne, ma andrà sempre bene come arma da rinfacciarmi velatamente.»
Gli scoccai un'occhiata truce. «Non ti ho mai rinfacciato nulla, Nick. Avrei potuto farlo ma non l'ho mai fatto.»
«Non a parole, hai sempre preferito agire di conseguenza. O pensi che sia tanto stupido da non aver mai capito quale fosse il motivo che ti portasse ad odiarmi tanto?»
«E non credi che ne avessi il diritto?» strillai senza più riuscire a trattenermi. «Quella notte mi hai spezzato il cuore.»
Non lo avevo mai detto ad alta voce e non fu così liberatorio come avrei potuto pensare.
Mi sentivo anche peggio.
Aprire il vaso di Pandora non era mai una buona idea.
«Te ne sei andato lasciandomi da sola pur sapendo quello che avrebbe significato per me» continuai sentendo anche l'ultimo rimasuglio di calma abbandonarmi.
«E pensi che io non mi sia odiato per questo?» tuonò avvicinandosi. «Pensi che non mi sia sentito una merda ogni singolo giorno?»
La furia nella sua voce competeva solo con la frustrazione del suo sguardo.
Gli rivolsi un'occhiata scettica. «Beh, nessuno ti aveva costretto a farlo. Perdonami se non riesco a vederti come la vittima in tutta questa storia» affermai tagliente.
«Maledizione, Laurel» urlò. «Smettila di giungere a conclusioni senza neanche ascoltarmi.»
«Vuoi spiegarti? Prego, il palco è tutto tuo» ribattei scoccandogli un'occhiata caustica.
Si passò la lingua sul labbro con fare nervoso. I suoi occhi non abbandonarono i miei neanche per un secondo.
«Quella notte ho avuto paura» iniziò. «Eri una delle poche persone di cui mi importasse realmente qualcosa. Avrei dovuto dirti di no, probabile. Ma non ce l'ho fatta, ti desideravo ed ero stanco di negarmelo» sospirò scuotendo appena la testa. «Quando ho realizzato ciò che avevamo fatto, mi sono lasciato prendere dal panico. Sapevo che le cose non sarebbero più potute tornare quelle di prima, c'era solo da capire in che direzione sarebbero cambiate e questo mi ha fatto ancora più paura. Quindi ho scelto la via più facile, ho deciso di andarmene ed ignorare la cosa.»
«Pur sapendo che mi avresti persa» mormorai con voce tremante.
Una scintilla di disperazione gli accese lo sguardo. «Si» ammise in un sussurro. «Ho dimostrato ancora una volta di essere un codardo, preferendo nascondere la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontare altro.»
Sbuffai caustica. «Affrontare me?»
«Affrontare me stesso e quello che provavo.»
Quelle parole mi investirono con la forza di un treno in corsa.
Nick continuò a guardarmi, il tormento sul suo volto, la risolutezza nel suo sguardo propria di chi si è appena liberato di un peso inconfessabile.
"Quello che provavo"
Quelle parole continuarono ad echeggiare nella mia testa, ogni volta più potenti, ogni volta più insinuanti.
Mosse un passo in avanti esitante. «Ci ho fatto i conti ogni giorno durante gli ultimi anni, senza mai lamentarmene, ben consapevole che era esattamente quello che mi ero andato a cercare. Leggere il disgusto nel tuo sguardo, vederti allontanare sempre di più e sapere di non poter fare nulla per impedirtelo, senza esser costretto a fare i conti con quello che mi ero imposto di ignorare. Ma non posso più essere messo in croce per questa cosa. Non posso cambiare quello che è stato, ma non puoi continuare ad usarla come scusa.»
Ormai ci divideva solo un sospiro.
Il suo sguardo si era colorato di un'intensità che non avevo mai visto prima.
«Ho bisogno che tu sia sincera, Laurel.» asserì fermamente. «Perché vedi, sono anche disposto a combattere contro il mio migliore amico, contro chiunque, per difendere ciò che c'è tra di noi. Ma devi darmi un motivo per farlo.»
Tremai.
La mia bocca si era asciugata, mi sembrava di bruciare nel deserto ma contemporaneamente di essere affettata dal gelo dell'inverno.
Mi studiò attentamente rimanendo fermo nella sua espressione. La risolutezza propria di un eroe mitologico pronto ad affrontare il peggiore dei mostri: il suo cuore.
Il suo polpastrello salì a sfiorare il mio labbro mentre un sorriso spento gli piegava le labbra. «Basta scappare, ragazzina. Sono proprio qui davanti a te, ma tu dove sei?»
Quelle parole mi bruciarono l'anima.
Scattai indietro sottraendomi al suo tocco.
Vidi la delusione rabbuiare il suo sguardo.
«È finita» affermai sommessamente. «È tutto finito.»
Il petto mi si strinse in una morsa di ferro.
Vedevo il muro di ghiaccio che avevo creato tra di noi.
Invalicabile. Inespugnabile.
Iniziai a camminare senza più voltarmi.
Era finita.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top