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Ieri notte ho dimenticato di chiudere le tende e ora ne pago l'ostinata conseguenza: un raggio di sole riflesso nello specchio che mi finisce dritto sull'occhio destro e che secondo me brucerà la retina anche attraverso la palpebra chiusa. Caccio un lamento, ma non credo che un paio di occhiali da sole si posizionerà per magia sulla mia faccia devastata dalla stanchezza. Rotolo su un fianco, poi mi isso a sedere. Che fatica.

Mi ci vogliono una doccia fredda, un caffè con la cannella e due waffle ricoperti di crema di burro d'arachidi per trovare la forza di uscire di casa, proprio oggi che è domenica e avrei potuto dormire un po' di più. Sulla porta, abbandono gli stivali per un altro paio, di quelli in plastica, da pioggia, degni di Peppa Pig: comincia a fare fresco, questa notte deve aver piovuto e non voglio ammalarmi perché mi sono bagnata i piedi.

Liberi nei paddock, i cavalli si sono divisi in piccoli gruppetti e si sono posizionati vicini vicini, il loro modo, scritto nella genetica, di stare più al caldo e di sopravvivere alle peggiori tempeste. Un cavallo solo è un cavallo morto, quasi sempre. La forza è nel branco come per qualunque altro animale sociale, essere umano compreso.

Nel paddock più limitato che abbiamo scelto di lasciare a Sol Invictus c'è un'altra silhouette oltre quella del castrone palomino. Assottiglio lo sguardo per vedere oltre la foschia, non che io ne abbia bisogno per sapere che quella con lui è Rosalba. A quest'ora di domenica al ranch ci siamo solo noi due e Jackson, che quando sono uscita si stava facendo la barba. Oggi si vede con Olli e Ada e mi ha chiesto il piacere di occuparmi delle mucche, a sera. Ovviamente gli ho detto di sì, ogni tanto deve pur respirare.

Resto a guardare mentre Rosalba... non fa niente. Sta ferma al centro del paddock umido, non si impone su Sol Invictus anzi lascia che sia lui ad avvicinarsi, ad annusarla e ad andare via quando è stufo della novità. Non allunga nemmeno una mano per accarezzarlo, non pronuncia nemmeno una parola per convincerlo a restare.

Ogni tanto sbircio l'ora sullo schermo del telefono. In tutto, io ad aspettare che Rosalba faccia qualcosa e lei a cercare di conquistare la fiducia di Sol, passiamo in silenzio nel paddock tre quarti d'ora. I più freddi dell'anno.

Rosalba si gira e dapprima fa la stessa cosa che ho fatto io: assottiglia lo sguardo, cerca di capire chi sia la figura appoggiata al recinto. Quando mi riconosce allunga il passo, sembra una puledra che si avvicina perché ha capito che hai dello zucchero. Mi strappa un sorriso e nemmeno me ne accorgo finché non mi mordo per sbaglio l'interno della guancia.

«Da quanto eri lì?»

«Un po'.» Le apro il recinto così che possa uscire e lei aggrotta la fronte, la mia risposta evidentemente non le basta. «Abbastanza da sapere che ha cercato di morderti la chiappa destra a un certo punto. Tu?»

«Un'ora e mezza, forse due.» Si stringe nello smanicato. «Non riuscivo a dormire ed era troppo presto per videochiamare qualcuno a casa.»

Non mi è mai venuto in mente che potesse mancarle la sua famiglia. Che potesse cercare di avere un contatto prolungato con loro nonostante... quante ore di fuso orario? Sei? Sette?

Non mi è mai venuto in mente che potesse sentirsi sola, ogni tanto, o forse sempre.

Un colpetto di tosse, due, poi le porgo la mano. «Andiamo?»

Rosalba mi guarda in faccia, sembra non capire nemmeno che le sto facendo una proposta, e quando nota la mia mano aperta fa un mezzo passo indietro. Come se stesse cercando di valutare la situazione, la sua pericolosità. Come se potessi avere un serpente nella manica. Va bene, sono scorbutica, a tratti, ma così tanto?

«L'impegno nel fare questa... cosa con Sol Invictus va premiata e in questo momento tu sembri una quaglia infreddolita» spiego, mettendomi la mano nella tasca dei jeans. «Che ne dici di un bel bagno?»

A questo non potrà dirmi di no.

#

Rosalba non dice di no ma è perplessa quando parcheggio l'auto lungo le sponde del Madison River. C'è un punto specifico, poco lontano dalla zona abitativa di Comley Road, dove il letto del fiume si allarga tanto da ospitare tre isolette vicine e selvagge. Quando eravamo più piccole, più stupide, Remi e io ci sfidavamo a raggiungerle a nuoto e poi restavamo lì, sdraiate sull'erba, ansimanti, finché non trovavamo le energie per tornare indietro. La tradizione si è evoluta quando abbiamo cominciato a passare ore sulle isolette, portando con noi a nuoto delle borse impermeabili prima e tutti i nostri amici poi.

«Che te ne pare?» chiedo mentre tolgo gli stivali e sfilo i jeans. Non credo che sarò in grado di arrivare nemmeno all'isoletta più vicina, ma mi sembra di avere di nuovo sedici anni e poca testa.

«Speravo ti rifessi a un bagno in piscina.» Almeno è onesta. «O in una vasca, magari a idromassaggio.»

«Fidati, questo è meglio.» Combatto con la giacca a vento, con la felpa e la maglietta fino a restare solo con la canottiera termica. Fa un freddo cane e vorrei quasi tenerla, ma preferirò metterla dopo, lo so, quindi sfilo anche lei. «Ci venivo sempre con Remi quando eravamo adolescenti, e poi abbiamo cominciato a invitare anche gli altri. L'anno scorso ci venivo quasi tutti i giorni con la mia compagna.»

La facilità con cui i ricordi con Darcy si sovrappongono alla mia quotidianità farebbe male a chiunque. Non c'è fuga dalla memoria, non quando ogni posto ti ricorda qualcuno che è andato via, qualcuno che ti ha lasciato. Non c'è posto a Ennis che non mi sussurri il suo nome.

«Raelynn?»

Sgrano gli occhi in direzione di Rosalba. «Raelynn?»

Lei mi guarda come se fossi io ad aver appena bestemmiato. Si chiude nelle spalle prima di togliersi le scarpe e i pantaloni. Guarda lo smanicato con pentimento mentre lo poggia in macchina, seguito dal maglione, ma diversamente da me tiene addosso la maglietta della salute che ha sotto.

«Raelynn e io non siamo mai state insieme ufficialmente» metto in chiaro. Rosalba non sembra voler chiedere nulla ma questo silenzio di domenica mattina non mi piace, rischio di riaddormentarmi mentre sto a mollo e risvegliarmi chissà dove. «Il suo nome era Darcy. Cioè, è Darcy, non è morta, si è solo trasferita.» Chiarissima, Bailey, davvero chiarissima, vedi di cambiare argomento. «E tu?»

Sbatte le palpebre davanti alla mia domanda. Ha la fronte corrugata mentre si strofina le braccia con le mani, infreddolita. «Cosa?»

In effetti forse è ora di entrare in acqua, o diventeremo due ghiaccioli. «Chi hai lasciato in Italia a soffrire la tua assenza?»

Rosalba scoppia a ridere, ma è una risata amara. L'argomento deve essere delicato, dato che ci mette del tempo a rispondere e al rispondermi preferisce entrare nell'acqua gelida senza colpo ferire. Almeno all'inizio. «Proprio nessuno» dice, chissà se la voce trema per il freddo o l'argomento.

Entro in acqua anche io, sento la corrente sbattermi con violenza contro i polpacci. Mi immergo fino alle spalle, ogni centimetro guadagnato una fitta gelida, e aspetto. Non saprei cosa dirle, non saprei nemmeno se insistere.

«Proprio nessuno» ripete. Non ha ancora il coraggio di immergersi del tutto, quindi la guardo dal basso, ed è... gloriosa. L'unica cosa che mi viene in mente in questo momento è che questa donna che non conosco nemmeno è gloriosa. Potenzialmente venerabile. «Ventisette anni di vita e gli unici mazzi di fiori me li regalava papà a San Valentino.»

«Non capisco.» Le parole mi scivolano dalle labbra, sincere, testimoni del pensiero vergognoso che mi sta assillando. Che vorrebbe la sfiorassi.

Quando si gira a guardarmi, quando abbassa il viso per incontrare il mio sguardo, c'è un lampo nei suoi occhi che sa di rabbia. No, meglio, di oltraggio, quello che si prova davanti a una palese, crudele presa in giro. «Ma mi hai vista?»

Certo che l'ho vista, certo che la vedo, ogni giorno da quando ha messo piede al ranch l'ultimo lunedì di agosto. I polpacci muscolosi danno spazio a cosce che si sfregano, promessa di tantissime paia di pantaloni da rammendare o buttare via; a una vita ampia che si nota anche quando fasciata alla perfezione dai migliori jeans. L'ho vista asciugarsi il viso con la maglietta, la pancia morbida e poco abbronzata ripiegata su di sé nel ricaderle sul ventre; ho visto, poco nascosto da magliette scollate, il suo seno che definire "ingombrante" è dir poco. Ho notato come tiene le braccia sempre un po' distaccate dal resto del corpo per non metterle in mostra, per farle sembrare più snelle; ho voluto accarezzare le sue guance morbide, piene nonostante il contouring magistrale che fa quando ha tempo di truccarsi al mattino.

Rosalba Montoro è una donna grassa, questa non è una novità per nessuno. Ma non è, non dovrebbe essere, una novità nemmeno il fatto che Rosalba Montoro sia una donna meravigliosa.

«Le attenzioni piacciono a tutti» mormoro. Non sono mai stata brava con le rassicurazioni e non credo che ora ne servirebbe una. Non sono mai stata brava nemmeno con le parole, intese come quelle necessarie per spiegare un sentimento complesso. «Ma non è riceverle o meno a determinare il nostro valore.»

Pensiero degno di un filosofo, no?

Sospiro, una nuvoletta di fiato scivola sul pelo dell'acqua. Assolutamente no.

«Poi scusa...» ritento. «Non erano gli italiani quelli del "The bigger the figure the better I like her"?»

La canzoncina di Louis Prima, cantata con una stonatura degna di Remi, le strappa una risata. «Quanti italiani hai conosciuto, Bailey Steele? Perché la cosa più body positive che io abbia mai sentito di prima persona è la canzoncina di Moto Moto in uno dei cartoni di Madagascar, quella che fa "Mi piace tonda e pure grassa". E a cantarla era un ippopotamo.»

Poco consolatorio, in effetti, se si cresce in un ambiente non proprio amante dei corpi non conformi. Mi sa che qui in Montana è più facile, non credo di aver mai assistito a un vero episodio di grassofobia, e se anche fosse successo non potrei parlare per esperienza. A furia di allenamenti di barrel racing quotidiani, lavori forzati al ranch e nuotate occasionali ho un corpo muscoloso che, quando sto più attenta a come mangio, diventa facilmente snello. Sarebbe ipocrita da parte mia mettermi sullo stesso piano di una persona grassa e pretendere di poterla capire. Aiutare.

Restiamo in acqua per una decina di minuti, Rosalba trova il coraggio di immergersi e addirittura di fare qualche bracciata controcorrente prima di farsi riportare da me. Quando usciamo, prendo un vecchio telo mare dalla macchina e lo stendo a terra. C'è un po' di timido sole, sarebbe un peccato sprecarlo, quindi ci sdraiamo ad asciugare al silenzio. Anche se a malapena, sul telo c'entriamo entrambe, e l'unica testimonianza della presenza di Rosalba è la sua pelle umida contro la mia. Non dice una parola per troppo tempo. Che si sia addormentata?

«Devo asciugarmi i capelli» sussurra a un certo punto. No, altro che dormire, questa sta pensando a quando in Italia le dicevano di non uscire di casa con i capelli bagnati pena la morte. «Mi prenderò un malanno.»

«Madonna santa.» Mi giro sul fianco per guardarla in faccia. Davvero crede a queste cose? «Che deboluccia che sei.»

«Io? Siete voi americani i pazzi che vanno in giro con i capelli bagnati anche con l'aria condizionata» ribatte. «E alla cervicale non ci pensi?»

«Cioè, scusa, tu vai a cavallo, rischi di spezzarti l'osso del collo ogni giorno, e ti preoccupi della cervicale?»

Ho ragione e Rosalba deve averlo capito, perché quando rientriamo al ranch va direttamente nel paddock a prendere Sol Invictus. D'altronde, mia madre almeno su una cosa aveva ragione: non c'è phon migliore del sole di mezzogiorno.

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