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Esito prima di bussare alla porta della . Non sono abituata a rincorrere nessuno, tranne Bonnie Lass nel suo paddock, e questa sembra davvero una mossa disperata per raggiungere qualcuno che ieri sera sembrava davvero voler stare da solo. Dopo aver rimuginato qualche secondo, comunque, busso. Sarebbe ancora più imbarazzante se Rosalba aprisse la porta per qualunque motivo e mi trovasse qui fuori a guardarmi le punte degli stivali.

Sento i passi di Rosalba avvicinarsi alla porta e fermarsi. Dal tempo che passa prima che apra immagino abbia guardato dallo spioncino per capire chi le stia rompendo le scatole alle sei del mattino, tant'è che mi apre ancora in pigiama. Carino quel barboncino stilizzato.

«Buongiorno!»

«Buongiorno» ricambia, la voce poco sveglia. Sono arrivata prima io del gallo che non abbiamo.

«Ho delle donut.» Alzo la scatola di cartone già unto e sformato che ho tra le mani. «Posso entrare?»

Alle donut di primo mattino non si dice mai di no, soprattutto se sono calde o quasi. C'è pur sempre da considerare il viaggio di andata e ritorno per andarle a comprare a Ennis, e in microonde tendono ad ammosciarsi. Meglio mangiarle freddine.

La dépendance è impolverata come quando Jackson le ha lasciato le chiavi. Se non ci fossi io non ci sarebbe differenza tra la casa di famiglia e i box dei cavalli, sarebbero ugualmente sporchi di fieno e schifezze, ma ho smesso di combattere una guerra che so di non poter vincere. Basta che la mia camera sia pulita.

Rosalba prepara due tazze di caffè, tassativamente espresso anche se sono davvero due gocce nelle mie enormi tazzone natalizie, e ci sediamo sul piccolo divano giallo della dépendance. Apro le donut per rivelare le meraviglie al cioccolato che ho trovato stamattina in pasticceria e parto all'offensiva.

«Tieni Sol.»

Rosalba alza gli occhi al cielo in un chiaro "Lo sapevo". «Ci sto pensando.»

«No, non hai capito, è un imperativo, non un esortativo o qualunque cosa sia grammaticalmente: tieni Sol.» Mollo un mozzico alla mia donut. Non voglio si freddi troppo. «Fino a metà ottobre ci concentreremo sul costruire un rapporto di fiducia incondizionata tra di voi e faremo lavoro da terra fino a esserne così tanto annoiati tutti da pregare che un asteroide ci faccia estinguere prima del giorno successivo. Appena Teo ci darà il via libera per montarlo, Sol non avrà problemi ad accettarti in sella.»

Mi fermo per masticare e non strozzarmi, non sono utile a nessuno da morta. La faccio facile, lo so, ma ho deciso di aiutare Rosalba, di aiutare quel mustang. Tenerli qui con me è l'unico modo che ho per farlo.

«Ma se...»

«Non ho finito» metto le mani avanti mentre stacco e mando giù un altro boccone. «Oltre a lavorare con Sol, in questo periodo smetterai di montare sia Blue che Bobby.»

Sono entrambi cavalli troppo buoni, quasi automatici, inutili se Rosalba vuole migliorare con cavallerizza e adattare il suo stile a un tipo di monta nuovo. Ma poi le sono arrivati o no i pacchi dall'Italia?

«Inizierai a montare dei Quarter Horse più giovani, più caldi a livello caratteriale, così ti potrai abituare a un tipo di cavallo più verde e più grezzo a livello di addestramento.» Che buone queste donut, avrei dovuto comprarne di più. La prossima volta lo faccio e ne congelo un po'. «Ora facciamo colazione con calma, poi ti vai a vestire» aggiungo prima che lei possa opporsi. «Andiamo con Thomas al ranch di Walker, il tizio che hai conosciuto al rodeo. Dobbiamo prendere uno stalloncino.»

Non dice niente.

Non commenta il mio geniale piano d'azione.

Non mangia nemmeno una donut, che è l'insulto peggiore.

Si limita a guardare nella tazza, forse ora si chiede anche lei quale sia il senso di bere così poco caffè, poi quando sto per sgraffignare la terza donut alza finalmente lo sguardo su di me. «Non c'è proprio modo di farti cambiare idea, eh?»

«Assolutamente no. A costo di chiuderti qui dentro per il resto della tua vita.»

La cosa peggiore è che sembra prendermi sul serio: manda giù il caffè, afferra la donut che avevo puntato io per finire in bellezza la mia colazione e, dopo averla finita in tre morsi famelici, si chiude in bagno. Quasi quasi le chiedo se le serve una mano a spogliarsi, d'altronde siamo di fretta...

#

Non ho mai frequentato molto il ranch di Walker, non ne ho avuto motivo, se non per un breve periodo quando Teddy stava prendendo in considerazione l'acquisto di un paio di giumente. Quasi tutti nel mondo competitivo preferivano gli stalloni, ma Teddy era convinto che avrei visto le migliori vittorie in sella a una femmina. Quando gli ho detto di Darcy, è scoppiato a ridere e mi ha fatto i complimenti per essere stata un'allieva tanto brava da portarmi dietro questa filosofia di vita anche al di fuori del campo di gara.

Walker mi ha detto di aspettarlo all'ingresso delle scuderie, quindi dopo aver parcheggiato scendo dall'auto e vado proprio lì, davanti all'enorme porta di castagno. Thomas, al mio fianco, non è mai stato qui prima, e lo stesso vale per Rosalba, a cui la cura dedicata agli spazi sembra piacere molto più di quanto piaccia a me. La trovo poco pratica.

«Io aspetto Walker, voi andatevi a fare un giro» dico. Ho bisogno di stare un attimo da sola, di evitare la sovrapposizione di ricordi e illusioni e rendermi ridicola davanti a questi due se dovessi cedere a emozioni che non voglio. «Questa è una signora struttura. Non mi dispiacerebbe un'organizzazione simile da noi, eccezion fatta per i vasetti di fiorellini e roselline.» Walker li mette ovunque.

Quando mi affaccio all'interno della scuderia principale, mi sembra di vedere l'ombra di Teddy che cammina lenta tra i box e allunga la mano per farsi annusare dai cavalli e poi accarezzarli, intrecciare loro il ciuffo e sfregargli le nocche contro una guancia e più giù, all'attaccatura del collo. Distolgo lo sguardo appena sento gli occhi pizzicare.

Walker non è tipo da perdere tempo, quindi non mi sorprendo affatto quando lo vedo uscire dall'ultimo box insieme a un cavallino snello, non troppo alto, un meraviglioso baio ciliegia con quattro balzane basse e una lista ampia tutto il muso che ricorda Joey in War Horse.

«Steele.»

«Walker Shaw.» Sembra un altro quando è lontano dai campi di gara, è più tranquillo. Sembra anche che abbia meno rughe. «È lui la nostra stella?»

Walker mi ha scritto un messaggio formalissimo in cui mi presentava il cavallo il giorno dopo il rodeo. Io non ricordavo nemmeno che avesse il mio numero di telefono e invece si è presentato con una proposta davvero tanto ghiotta. Una proposta che avrebbe potuto fare a chiunque altro.

Annuisce. «Lui è Twenty-three Flying Eagles. Per gli amici Fly.»

«Fortuna che gli amici possono risparmiarsi lo scioglilingua.» Mi lascio annusare dal cavallino, che esplora attentamente dalla punta delle mie dita fino al gomito prima di decidere che sono una valida macchina per grattini. Gli sfrego la guancia. «Ciao, Fly.»

Sembra una creatura troppo intelligente per portare il nome di un insetto dittero che non ha nulla di speciale, se verrà via a casa con me dovremo provvedere in qualche modo. Spinge con il muso contro il mio stomaco come farebbe un gatto che cerca di indicarti dove vuole essere grattato.

Mi perdo nell'abitudine del movimento e solo quando Fly scatta, spaventato da una folata di vento inaspettata anche per me, torno a guardare Walker. Taglio corto, non sono qui per vecchi romanticismi né per perdere tempo. «Quindi addestramento e messa in vendita?»

«Eh, Steele, vuoi sapere la verità?» No, vecchio scemo, dimmi una bugia. «La verità è che sono indeciso.» Poggia un braccio sulla groppa di Fly, che tira indietro le orecchie. «Hai davanti un gran cavallo con poca testa.»

«Un tuo cavallo con poca testa?» Troppo bravo, il vecchio Walker, a determinare le scommesse a cui dedicarsi per permettere a un cavallo niente meno che brillante di restare al suo ranch fino a questa età. «Stento a crederlo.»

«Ha una buona linea di sangue e un buon fisico, anche se è grande quanto una scatoletta di tonno e non so chi metterci in sella» ribatte. «Però quando Sali è come avere a che fare con un asino. Testardo e lento a capire che vuoi da lui.»

Sono sempre stata una grandissima amante degli asinelli, così come di muli e bardotti. Nei prossimi anni mi piacerebbe selezionare un bel mulo da usare quando vado insieme a Jackson a inseguire le mucche per i campi, sono animali eccezionali e molto più affidabili di tanti cavalli. Di sicuro non per gareggiare, però, questo a Walker lo concedo ed è questo che si fa qui.

Alzo il mento. «Che ci guadagno a sistemarlo e a trovarti un acquirente?»

«L'italiana avrà un cavallo su cui fare pratica.» Con un gesto del pollice che pensavo facessero solo nei film, Walker mi indica Rosalba che sta camminando verso di noi. Ha una gamba sporca di letame e Thomas sta ridendo sotto i baffi. Chissà se è caduta da sola o è stato lui a farle uno sgambetto. «E se una volta che l'hai sistemato il cavallo ti piace lascerò che ti copra qualche fattrice gratuitamente. Lo metterò anche a contratto con l'acquirente insieme al mio diritto di prelazione.»

Non ho ancora visto l'albero genealogico di Fly, ma se è davvero qualcosa di straordinario, cosa che non stento a credere, potrei guadagnare un bel gruzzolo da questo accordo.

«Affare fatto.» Porgo la mano a Walker, che la stringe e mi fa eco.

«Affare fatto.»

«Ma prima lo voglio montare qui» aggiungo. «Per essere sicura che non ci sia qualche fregatura.»

Un sorriso sotto i baffi bianchi come se avesse già previsto tutto. «Ho giusto giusto tre barili in campo...»

#

"Guarda che non te lo riporto più" ho scherzato smontando da cavallo dopo che il breve riscaldamento fatto così, tanto per testare il cavallo, si è trasformato in un allenamento di un'ora sotto le indicazioni magistrali di Walker, lo sguardo interessato di Thomas e quello indecifrabile di Rosalba.

"In quel caso sarei felice di vedervi sui campi di gara" ha ribattuto Walker, scaldandomi il cuore con un altro sorriso quasi preveggente. "Monti come Teddy" ha aggiunto, e il cuore un po' me lo ha spezzato. Certo che monto come il mio allenatore, come l'uomo che mi è stato più padre del mio stesso genitore.

Siamo tornati al ranch in un'atmosfera particolare che so riassumere solo con il dubbio. Il mio, che nel far correre Fly ho provato di nuovo la scarica del campo di gara; quello di Rosalba a cui avevo detto che quel cavallo sarebbe stato per lei. Forse anche quello di Thomas che sta assistendo da vicino a un mio mutamento inaspettato, a un'incertezza che non volevo provare, figuriamoci mostrare.

Non ho parlato con nessuno tutto il resto del giorno, ho mangiato di corsa per non rischiare che Jackson rientrasse e mi chiedesse della mattinata, ho cercato di non guardare troppo nemmeno Fly, libero nel paddock dedicato alla brevissima quarantena dei cavalli che portiamo al ranch. Avevo come l'impressione che sarei scoppiata a piangere o urlare al minimo confronto, ma ora è sera e siamo tutti a casa davanti al caminetto. Non c'è fuga dal conforto delle mie mura.

Rosalba si siede sul divano con la sua enorme tazza di camomilla. «Chi è Teddy?»

Jackson, seduto vicino a me a tavola, si immobilizza. Non è un nome che abbiamo mai pronunciato tanto in giro per casa, i miei hanno sempre pensato che Teddy stesse cercando di allontanarmi da loro, ma lui per me voleva solo il meglio. Voleva solo la vittoria e, ancor di più, la soddisfazione. La realizzazione di ogni sogno, per quanto selvaggio.

Thomas e Raelynn sanno di chi parliamo, anche se Teddy per loro è un fantasma nei miei discorsi e nell'istruzione che impartisco loro, una sagoma in qualche fotografia che non ho avuto cuore di staccare dalle mura.

Remi mi stringe la mano. Eravamo inseparabili e Teddy era quella strana sorta di padre, di protettore, anche per lei. Anche se lei non competeva e non aveva intenzione di farlo.

«Era il mio allenatore» taglio corto, o almeno tento di farlo. «È morto d'infarto cinque anni fa.»

Aveva ottant'anni e la pipa in bocca. Stava sorridendo a una mia battuta mentre, in sella a Blue, gli facevo vedere che alla fine ero riuscita a insegnarle il passo spagnolo e gli spiegavo che ormai aveva una certa età e se non le avessi fatto fare stretching, dopo, il giorno dopo sarebbe rimasta a letto con l'acido latto. Stava sorridendo a una mia battuta e l'attimo dopo era a terra e sorrideva comunque. Sorrideva anche mentre lo coprivano con un telo per caricarlo in ambulanza, si vedeva dalla strana piega che prendeva il tessuto sul suo viso. Sorrideva anche nella camera ardente e sorride ancora perché nessuno poteva strappargli il sorriso e nessuno avrebbe avuto interesse a farlo. Ma il suo sorriso o l'assenza di quell'espressione non cambia le cose: stava sorridendo a una mia battuta quando è morto, eppure non gli ho potuto dire addio.

«Oh.» Il mormorio di Rosalba mi arriva a malapena alle orecchie oltre il suono, che non ricordo, della risata di Teddy. «Mi dispiace.»

«Teddy era una leggenda» interviene Jackson, quando lo guardo ha un sorriso tiepido sulle labbra, non amava Teddy ma amava e ama me. «In tutto il circuito era secondo solo a Walker, e solo perché voleva esserlo.»

«Ti va di... parlare di lui?» Rosalba non molla.

«Proprio no.» Una risata alta, triste. Non l'ho mai pianto in pubblico. Non gli ho mai detto addio ad alta voce. Gli ho detto che gli volevo bene, però, tante di quelle volte che ormai Teddy rideva e mi diceva "Anch'io, anch'io" prima di cominciare a fare il verso di un disco rotto. «Avevo dieci anni. Non montavo qui al ranch, i miei erano e sono bravi a cavallo ma non credevano sarebbero riusciti a insegnarmi, quindi mi hanno iscritta a un maneggio specializzato in barrel racing. Oggi non esiste più, la proprietaria si è data ai tori, pare guadagni di più. Avevo dieci anni e giravo attorno ai barili al passo...» Che visione. «Quel giorno mi avevano assegnato il mio pony preferito. Ero in un brodo di giuggiole, la lezione era andata malissimo ma non mi importava. Mentre lo riportavo nel suo box gli stavo facendo chissà che promesse di gloria all'orecchio, non guardavo nemmeno la strada. Sono inciampata su uno stivale di Teddy e sono ruzzolata giù, ho ancora la cicatrice al mento.»

Una piccola saetta. Come quella di Harry Potter ma più eroica.

«L'ho rivisto quando avevo quattordici anni. Avevo iniziato ad allenarmi con più serietà e a fare qualche garetta locale. Teddy ha cominciato ad allenarmi quando di anni ne avevo sedici. Blue a quei tempi era ancora una puledra, ma appena è stata domata Teddy ha lasciato che fossi solo io a montarla. Una follia, visto che la cavalla non era mia e lui non mi faceva pagare niente.» Ancora oggi mi chiedo cosa io abbia fatto per meritare un mentore simile. Una fortuna così.

Rosalba non ha smesso un attimo di annuire, come fanno gli interlocutori che non vogliono interromperti ma vogliono dimostrarti che stanno ascoltando. «Quando hai smesso di gareggiare?»

Gli altri questa storia la conoscono già, anche se per vie traverse.

«Cinque anni fa. Morto lui non avevo più una guida, qualcuno a dirmi cosa fare e come, e quindi che senso aveva?» Scuoto la testa. «Forse lo avrei trovato, un senso, con il tempo. Ma mi va bene così.»

«E il ranch?»

«Era un progetto di famiglia, era ovvio che ci avrei passato tutta la mia vita.» Mi è costato una relazione e ogni altro sogno. Era ovvio che ci sarei anche crepata, se necessario. «Ed era un po' il nostro sogno allevare dei Quarter degni di questo nome, anche se Teddy non aveva i soldi per avviare una nuova struttura e non voleva intromettersi negli affari della mia famiglia. Sognavamo a occhi aperti, buttavamo giù i nomi di qualche stallone promettente, e poi diceva "No, no, non ti voglio mettere il fallimento nel piatto". Ma io lo sapevo, che non avremmo fallito. Tutto quello che faccio lo faccio per noi.»

Per dei sogni che altrimenti, senza nessuno a credere in loro, morirebbero.

«Sarebbe fiero di te» dice, l'italiana, e non lo sa davvero, è una frase di circostanza, eppure...

«Lo so.» Sorrido. «Bastava poco per renderlo felice.»

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