L'eredità

[Nome Cognome]

-"Signorina [Cognome]?"

La voce del signor Yamamoto in quel momento sembrava così lontana, tuttavia riuscì a ridestarmi.

L'uomo mi fissava con la fronte corrucciata, come se cercasse di leggermi dentro e scoprire a cosa stessi pensando. Nonostante sapessi che non fosse in grado di farlo, feci di tutto per scacciare tutti i pensieri che avevo per la testa e concentrarmi esclusivamente su ciò che stava accadendo.

-"Va tutto bene?" mi domandò con un velo di preoccupazione. -"Preferisce rimandare il nostro incontro a un'altra volta?"

Schioccai la lingua, sinceramente infastidita da quella domanda. Non credevo minimamente al suo interesse per il mio stato d'animo. Non ero certo stata io a programmare quel colloquio.

Quel pomeriggio il signor Yamamoto era comparso dal nulla sostenendo di essere un conoscente dei miei genitori. Non lo avevo mai visto in vita mia, mentre lui sapeva bene chi fossi. Mi costrinse a seguirlo dicendo di dovermi parlare di una questione importante. Arrivati nel suo ufficio, mi fece accomodare e tirò fuori un fascicolo, ancora chiuso e abbandonato a se stesso sulla scrivania.

Per nulla intimorito dal mio silenzio, allungò il braccio e mi strinse calorosamente una mano.

-"Posso capirla, la perdita dei genitori è un duro colpo..."

Non aveva tutti i torti, ma nel mio caso era leggermente diverso. La notizia della loro dipartita ovviamente mi sconvolse, ma non mi rattristò più di tanto. Non eravamo mai stati una famiglia unita: i miei genitori erano troppo impegnati con il lavoro per dedicarmi le loro attenzioni; non avevano mai tempo per me, mi riempivano di libri e giocattoli come se potessero colmare la loro assenza.

Per me non era sufficiente, ogni bambino ha bisogno della presenza dei genitori.

L'unica cosa che sembrava interessare a mio padre e a mia madre era la mia istruzione. Mi iscrissero solamente alle scuole che ritenevano migliori e si assicurarono che studiassi diligentemente. Di questo fui loro molto grata, amavo la conoscenza e desideravo sapere il più possibile su ogni cosa.

Mi diplomai con il massimo dei voti e frequentai una buona università. Il mio rendimento era così eccellente che ottenni una borsa di studio, con la quale potei permettermi un appartamento vicino l'ateneo e un minimo di indipendenza. Sembrava andare tutto bene, almeno fino alla notizia della loro morte.

Fu così che quel pomeriggio, dovetti partecipare al loro funerale, il quale aveva attirato molti parenti di cui ignoravo l'esistenza. Probabilmente erano venuti più per educazione che per affetto: infatti mi rivolsero solo qualche frase di circostanza e, appena finita la cerimonia, se ne andarono semplicemente. L'unico rimasto fu appunto il signor Yamamoto.

-"Veniamo al punto... Perché mi ha fatta venire qui? Di cosa vuole parlarmi?"

Egli ritirò immediatamente la mano e si decise finalmente ad aprire il fascicolo, dal quale tirò fuori un foglio.

-"Mi sembra ovvio: del testamento dei suoi genitori."

-"Testamento!?"

-"Esattamente ed essendo la loro unica figlia, hanno lasciato tutto a lei."

Non sapevo come reagire a quella notizia. Non mi sarei mai aspettata quel gesto e non avevo la più pallida idea di ciò che avrei ricevuto.

-"Dunque, stando alle loro ultime volontà, le lasciano la casa e i loro risparmi in banca."

Mi limitai ad annuire, mi ero preoccupata per nulla. Non c'era niente di strano.

-"A quanto ammonta il conto?" domandai incuriosita.

Il notaio stava per rispondere, quando si bloccò. Afferrò un pezzo di carta, ci scrisse sopra qualcosa e una volta finito me lo porse.

Quando lessi la cifra, sgranai gli occhi per la sorpresa. Era un numero altissimo, con tanti zeri. Non credevo che fossero così ricchi.

-"Wow!"

Fu la sola cosa che riuscii a dire. Con una somma del genere non avrei avuto problemi economici per molto tempo.

-"C'è dell'altro..." mi informò il signor Yamamoto.

Alzai lo sguardo dal pezzo di carta e vidi che aveva tirato fuori una scatoletta. La aprii e scoprii che al suo interno era custodito un biglietto e una chiave. La tirai fuori e me la rigirai tra le mani, domandandomi cosa aprisse. Guardai il notaio in cerca di aiuto, ma lui si limitò a scrollare le spalle.

-"Non so nulla a riguardo. Dissero che lei avrebbe capito subito di cosa si trattasse."

-"Invece non ne ho la più pallida idea." commentai io. Per quanti sforzi facessi, non ricordavo di averla mai vista. -"Forse ce lo dirà il biglietto..."

Misi per un momento da parte la chiave e dispiegai il foglietto.

"Se stai leggendo questo messaggio, vuol dire che non ci siamo più. È giunto il momento di avere le risposte alle domande della tua infanzia. La chiave che tanto desideravi adesso è tua. Sarai all'altezza di ciò che ti aspetta?"

Guardai sul retro, sperando di trovare qualche indizio, ma non c'era scritto altro. Non riuscivo a comprendere ciò che avevo appena letto. Domande della mia infanzia? Essere all'altezza di ciò che mi aspetta?

-"Allora?"

-"Niente..." dissi rassegnata. Riposi tutto nella scatola e mi appoggiai allo schienale della sedia.

Il signor Yamamoto sembrava deluso quanto me, anche se fece di tutto per non darlo a vedere. Sistemò le sue cose nella borsa e si alzò in piedi.

-"Direi che qui abbiamo finito..."

Mi strinse la mano e mi accompagnò alla porta. Uscii dal suo ufficio e raggiunsi, senza alcuna deviazione, la macchina. Picchiettai con le dita il volante ripercorrendo con la mente gli ultimi avvenimenti.

"È proprio vero... la vita può cambiare totalmente in un solo istante."

Misi in moto e mi diressi verso la casa che da quel giorno era diventata ufficialmente mia: un edificio modesto che si confondeva benissimo nella moltitudine presente in quel quartiere. Arrivata alla porta, scoprii che la chiave era nascosta al solito posto, come se i miei genitori si aspettassero che ci sarei tornata. In fin dei conti era scontato che lo facessi: volevo scoprire qualcosa in più su ciò che mi avevano lasciato e quello era il luogo migliore per iniziare.

Varcata la soglia mi guardai intorno con un fastidioso nodo in gola. Tutto era come lo ricordavo e faceva un certo effetto tornare lì dopo tanto tempo: si trattava comunque della casa nella quale ero cresciuta.

Tirai fuori la chiave che avevo ereditato e la osservai attentamente alla ricerca di qualcosa che potessi aiutarmi, ma non scovai nulla: era normalissima e non aveva alcun segno particolare. Stando al biglietto, doveva aver attirato la mia attenzione quando ero piccola, quindi dovevo aver visto i miei utilizzarla almeno una volta, peccato solo che non ricordassi nulla del genere.

Mi recai alla loro camera da letto, forse avrebbe aperto qualcosa di loro proprietà: un cassetto o magari uno scrigno nascosto con dentro qualcosa di inestimabile valore.

Mi fece uno strano effetto frugare tra le loro cose, ma ciò non mi impedì di setacciare l'intera stanza da cima a fondo, ma la ricerca non diede i risultati sperati. Non c'era nulla di speciale lì dentro.

Demoralizzata andai nella mia camera e mi buttai sul letto, avvertendo improvvisamente le fatiche di quella lunga giornata. Mi sentivo esausta, ma non volevo dormire, avevo così tante domande per la testa che aspettavano una risposta. Mi girai su un lato e qualcosa sul comodino attirò la mia attenzione.

-"Non ci credo! Questo è il mio diario!"

Non ricordavo di averlo ancora. Mi aveva fatto molta compagnia quando ero una bambina, ricordavo che passavo molto tempo a scrivere sulle sue pagine. Non resistetti alla tentazione e iniziai a sfogliarlo.

Mano mano sentii la tensione di quel momento allentarsi e un sorriso comparve sulle mie labbra. Quante cose sciocche avevo scritto, anche se ai tempi mi sembravano di vitale importanza. Molti episodi raccontati erano spensierati e divertenti tipici di una bambina piccola, ma improvvisamente arrivò il turno di una pagina totalmente diversa.

Caro diario,

sono tanto triste, i miei genitori non vogliono passare il loro tempo con me e come se non bastasse sono tutti e due arrabbiati con la sottoscritta. Stamattina giocavo in camera quando uno strano rumore attirò la mia attenzione e la mia curiosità. Sono uscita fuori e l'ho sentito nuovamente. Non indovinerai mai da dove provenisse... dal seminterrato e non è finita qui: la porta era socchiusa! Non potevo credere ai miei occhi! Era la prima volta che succedeva. Mamma e papà nascondono qualcosa lì sotto, ne sono più che sicura. Non si separano mai dalla chiave. Mi hanno sempre proibito anche solo avvicinarmi a quella porta e si sono sempre rifiutati di raccontarmi cosa ci fosse. Presa dalla curiosità, mi avvicinai in punta di piedi, volevo scoprire la verità. Prima che potessi dare anche solo un'occhiata, la porta si aprì ed uscì mia madre. Inutile dire che non fu felice di vedermi lì. Mi prese per un braccio furiosa e mi trascinò in camera. Mi sgridò ed ignorò le mie spiegazioni. Non volevo fare nulla di male, perché era così arrabbiata? Mi chiuse in camera mia e raccontò tutto a papà. Perché vogliono che io stia lontano da quella stanza? Quale segreto celerà? Forse un giorno lo scoprirò e tu sarai il primo a saperlo.

Con affetto [Nome Cognome]

"Abbiamo un seminterrato?" pensai spaesata. "Non ricordavo che ci fosse una stanza del genere."

Lentamente tanti ricordi tornarono a galla. Quella porta c'era per davvero e aveva sempre stuzzicato la mia curiosità, peccato che fosse sempre chiusa a chiave e i miei genitori si erano sempre rifiutati di aprirla davanti a me.

Stando alla data scritta su quella pagina, quell'evento avvenne tanti anni fa e in qualche modo ero riuscita a rimuoverlo. Controllai le pagine seguenti, ma a quanto pare non feci nessun altro accenno a riguardo.

Ero molto confusa. Come avevo fatto a dimenticare una cosa del genere? I miei non potevano certo averlo fatto sparire nel nulla. Doveva essere ancora lì.

Il seminterrato... che sia la stanza che può essere aperta con la chiave ereditata? Probabilmente sì.

Quel frammento di ricordi aveva tracciato una nuova pista da seguire ed ero più che sicura che mi avrebbe condotta alla soluzione del dilemma.

Mi alzai di scatto dal letto, l'adrenalina aveva spazzato via la stanchezza di poco prima sostituendola con nuove energie. Uscii dalla mia camera e perlustrai l'ingresso e il salotto. Nessuna delle porte lì presenti era quella che cercavo, ma questo non smorzò il mio entusiasmo, ormai sapevo con certezza della sua esistenza.

"Se con il tempo dimenticai che esistesse, vuol dire che l'hanno nascosta..." pensai e così decisi di controllare dietro ai mobili più grandi.

Giunta davanti a una libreria, mi inginocchiai e tastai con la mano sotto lo scaffale. Al tatto sentii il pavimento, ma arrivata in fondo non toccai il muro, bensì un'altra cosa.

-"Trovata!" esclamai trionfante.

Con tutte le mie forze spostai il mobile, pesantissimo, ma una volta fatto la vista di una porta ripagò ogni mio sforzo.

Infilai la chiave che girò senza alcuno intoppo facendo scattare la serratura. La porta si socchiuse. Sentii il cuore martellare violentemente nel mio petto e, nell'animo, un sentimento di esitazione. Ce l'avevo fatta, ma avrei fatto ancora in tempo a tornare sui miei passi.

Alcuni segreti era meglio lasciarli tali.

La testa mi suggeriva di lasciare perdere, ma il mio istinto si rifiutò di obbedirle a un passo dal traguardo.

Aprii la porta molto lentamente: la stanza era buia e si intravedevano degli scalini che andavano verso il basso. Le risposte alle mie domande erano lì sotto, immerse nell'oscurità e aspettavano solo che io le riportassi alla luce.

Scesi cautamente le scale e una volta arrivata in fondo tastai il muro alla ricerca di qualche interruttore per la luce. Non appena lo trovai, tirai un sospiro di sollievo e lo azionai.

Le luci si accesero immediatamente, illuminando l'intera stanza, e io non potei credere ai miei occhi...

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